“Elementare Ermellini…”: Ginzburg e Conan Doyle alla ricerca del nesso causale nel reato omissivo improprio

Il giudizio di certezza del ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili, culminando nel giudizio di elevata probabilità logica.

Nel reato omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica che deve essere fondato, oltre che su di un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo circa il ruolo salvifico della condotta omessa, elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e focalizzato sulle particolarità del caso concreto. I poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Nel primo caso il giudice ha l’obbligo di uniformarsi alla decisione sui punti di diritto indicati dal giudice di legittimità e su tali punti nessuna delle parti ha facoltà di ulteriori impugnazioni nel secondo caso il giudice di rinvio conserva la libertà di decisione mediante autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato anche se è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente od esplicitamente enunciato nella sentenza di rinvio. Il caso. La Suprema Corte, chiamata ad esprimersi su ricorso presentato dal responsabile civile in relazione a sentenza di condanna resa in tema di cd. responsabilità medica”, pronuncia una sentenza che, respingendolo, si occupa di affrontare due distinte ed interessantissime tematiche, l’una di carattere strettamente processuale e l’altra invece inerente il nesso causale”, delicatissimo argomento con cui il penalista è obbligato a confrontarsi, declinato sub specie di nesso causale nei reati omissivi impropri. Il valore obbligatorio” della sentenza di rinvio. La massima sopra riportata rende, credo in modo assai diretto e chiaro, esplicito il pensiero degli Ermellini in relazione alle caratteristiche proprie della sentenza di rinvio ed agli obblighi che, in forza di essa gravano sul giudice di rinvio. Non si tratta certamente di una novità, riaffermando la Corte un insegnamento ben noto afferente alla vincolatività dei principi di diritto espressi nelle sentenze che, in virtù del potere nomofilattico attribuito alla Cassazione, divengono percorso obbligatorio cui uniformarsi per il giudice del rinvio. L’assenza di detti principi, rinvenibile nel caso di annullamento per vizio di motivazione, rende più libero il giudice del rinvio sempre però tenuto ad esplicitare il proprio convincimento seguendo lo schema tratteggiato, indicato o sotteso dalla pronuncia di annullamento. Si tratta di una ri-affermazione del potere nomofilattico o, se vogliamo, del potere di coniare diritto vivente che ormai, esplicitamente, gli Ermellini riconoscono a sé stessi. Il nesso causale. La sentenza in commento trae le mosse da due vere e proprie pietre miliari in tema di nesso causale, la sentenza Franzese e la sentenza Cozzini. Nel ripercorrerne brevemente i principi si sofferma su di un punto di particolare interesse, almeno per me, e che, sempre a mio parere, è poco trattato ed approfondito a livello dottrinale e financo giurisprudenziale. Si tratta del cd. paradigma indiziario”. Il paradigma indiziario l’espressione, coniata da Carlo Ginzburg, fa riferimento ad un metodo, da seguirsi al fine di giungere alla determinazione di una causa. Come molti degli incliti lettori di questa rivista sapranno, Ginzburg nel descrivere il paradigma indiziario fece riferimento a tre figure della seconda metà dell’ottocento e precisamente a Morelli, Freud e Conan Doyle per interposta persona Sherlock Holmes . Di Freud ogni avvocato sa, non foss’altro che per la necessità di affidarsi alle cure di bravi professionisti che dipende quasi direttamente dal mestiere che svolgiamo, di Conan Doyle e Sherlock Holmes altrettanto, quantomeno per averne letto su Topolino”, ma di Morelli Morelli era un medico che al fine di elaborare un metodo capace di riconoscere false opere d’arte decise di affidarsi all’analisi dei piccoli particolari lobi delle orecchie, dita, piedi ed altri dettagli che risultavano più difficile da replicare per i falsari. Il filo conduttore che lega i tre personaggi e la loro metodologia di ragionamento è costituito dalla ricerca del particolare da cui trarre deduzione, e non induzioni, di carattere generale. Dunque il paradigma indiziario altro non è che la capacità di analisi del particolare, ovviamente riferito al caso concreto, in grado di esplicare funzione quasi epistemologica in riferimento allo svolgersi dei fatti. Ovvero dall’analisi del dettaglio, da intendersi qui come riferito alle concrete modalità di svolgimento dei fatti ed alle conoscenze esistenti in capo all’agente anche nella forma delle conoscenze che doverosamente egli avrebbe dovuto possedere si può e deve dedurre la possibile funzione salvifica della condotta omessa, che deve poi sfociare, o culminare, nel giudizio di elevata probabilità logica. Interessante dunque notare come la Corte ancora una volta ribadisca i concetti contenuti nelle numerose pronunce che sono seguite alla capostipite Franzese, richiamando l’attenzione dei giudici di merito ad una lettura del fatto concreto che deve essere posta al centro d’ogni successiva ricostruzione di carattere logico giuridico, affidando la parte logica del binomio appena citato a quel ragionamento deduttivo, che, con il paradigma indiziario, entra ed occupa prepotentemente la scena della ricerca del nesso causale. Caratterizzazione del fatto storico e particolarità del caso concreto. L’essere il centro della scena occupato dal paradigma indiziario impone all’interprete di incentrare la propria analisi sul caso concreto. Detta analisi è da effettuarsi sulla scorta di due linee guida il paragone mi apre calzante soprattutto in questo momento storico ed in tema costituite dalla sua caratterizzazione e dalle sue particolarità. Dunque il fatto storico deve essere caratterizzato, ovvero debbono esserne ben individuati i connotati fattuali e giuridici salienti, calato nel tempo e nel luogo in cui esso fu sommesso e, una volta completata detta analisi, occorre valutarne le particolarità, ovvero l’esistenza di caratteristiche proprie del caso concreto che sono in grado di differenziarlo dagli altri casi e, quindi, dagli elementi che ne hanno condotto alla caratterizzazione. Effettuata l’operazione occorrerà verificare quale sia l’azione salvifica possibile. Individuatala, indurre se essa fosse praticabile e se fosse in grado di espletare la propria azione. Il tutto alla luce del criterio della elevata probabilità logica”. Elementare Watson, elementare .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 marzo – 30 maggio 2017, numero 26922 Presidente Amoroso – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26.2.2016, la Corte di appello di Milano, pronunciando in sede di giudizio di rinvio a seguito della sentenza di annullamento di questa Suprema Corte numero 11601/2015, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano in data 6.7.2011, con la quale R.F.M.B. era stata dichiarata responsabile del reato di cui all’art. 589 commesso in danno di M.V. perché quale infermiera addetta al triage presso la clinica omissis , per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, assegnava a M.V. un errato codice di accettazione al triage e, in particolare, un codice verde anziché giallo, nonostante lo stesso lamentasse un dolore toracico atipico, non registrando e quindi non rilevando la sudorazione, il pallore e la dispnea e omettendo di monitorare le variazioni delle condizioni del paziente ogni 30-60 minuti, come richiesto dai protocolli di triage applicati dalla clinica e nonostante le pressanti richieste dei parenti, e in ogni caso nel non aver chiesto l’intervento o la consulenza del medico di supporto, nonché nell’aver omesso nel passaggio di consegne di menzionare alla infermiera addetta al triage montante nelle ore successive la presenza di paziente con dolore toracico in sala di attesa e condannata, in solido al responsabile civile, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputata in ordine al reato contestategli per essere lo stesso estinto per prescrizione e confermava le statuizioni civili di cui alla sentenza impugnata. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, limitatamente ai soli interessi ed effetti civili, il responsabile civile Istituto Clinico Città Studi s.p.a., a mezzo di difensore munito di procura speciale, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. penumero . Con il primo motivo deduce violazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione agli art. 238 bis e 627 cod.proc.penumero . Argomenta che la sentenza di annullamento di questa Corte di legittimità ha riguardato la sola posizione della R.F. e del responsabile civile e, quindi, si è formato il giudicato sull’assoluzione dell’altra coimputata N.H. l’assoluzione del coimputato, con la formula perché il fatto non sussiste, secondo la prospettazione del ricorrente, dovrebbe riverberarsi anche sulla posizione della R.F. in base al disposto dell’art. 238 bis cod.proc.penumero e condurre ad analogo esito assolutorio nel merito anche dell’infermiera R.F. . Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al nesso di causalità. Espone che con la sentenza di annullamento questa Suprema Corte aveva demandato al giudice del rinvio una rivalutazione della sussistenza del nesso causale con riguardo alla posizione della R.F. ed argomenta che sul punto la motivazione della sentenza impugnata sarebbe apodittica ed illogica nonché omessa in relazione alla considerazione del comportamento alternativo lecito che si assume essere stato omesso dall’imputata in particolare la Corte di appello avrebbe omesso di valutare se l’omesso monitoraggio delle condizioni del paziente avrebbe evitato o significativamente ritardato con alto grado di probabilità logica il decesso del paziente inoltre, la motivazione sarebbe illogica nella parte in cui si affermava una colposa omessa rivalutazione del paziente con riguardo all’infermiera che per prima aveva preso in carico il paziente mentre era stato assolto il collega subentrato ed al quale il paziente era rimasto affidato molto più a lungo. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza limitatamente ai soli interessi ed effetti civili nella parte in cui sono state confermate le statuizioni civili della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Milano il 6.7.2011. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità. Il motivo prospetta deduzioni del tutto generiche, che non si confrontano specificamente con le argomentazioni svolte pag.5 nella sentenza impugnata confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 c.p.p., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso Sez. 6, sent. 20377 dell’11.3 14.5.2009 e Sez.6, sent. 22445 dell’8 28.5.2009 . Trova dunque applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato Sez. 5, numero 28011 del 15/02/2013 dep. 26/06/2013, Sammarco, Rv. 255568 . La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c , all’inammissibilità Sez. 4, 29/03/2000, numero 5191, Barone, Rv. 216473 Sez. 1, 30/09/2004, numero 39598, Burzotta, Rv. 230634 Sez. 4, 03/07/2007, numero 34270, Scicchitano, Rv. 236945 Sez. 3, 06/07/2007, numero 35492, Tasca, Rv. 237596 . 2. Il secondo motivo di ricorso è infondato. 2.1. Va premesso che, nel caso in esame, l’annullamento della sentenza del giudice di secondo grado è intervenuto per difetto di motivazione e, in particolare, per quanto qui rileva, per il ritenuto deficit motivazionale in merito alla valutazione di sussistenza del nesso di causalità con riferimento alla posizione dell’imputata R.F. . Va, quindi, ricordato che costituisce insegnamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Invero, nel primo caso, il giudice di rinvio ha sempre l’obbligo di uniformarsi alla decisione sui punti di diritto indicati dal giudice di legittimità e su tali punti nessuna delle parti ha facoltà di ulteriori impugnazioni, pur in presenza di una modifica dell’interpretazione delle norme che devono essere applicate da parte della giurisprudenza di legittimità. Nel caso, invece, di annullamento per vizio di motivazione come nella specie il giudice di rinvio conserva la libertà di decisione mediante autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato anche se è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento. In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte ex multis, Sez.4, 21 giugno 2005, Poggi, rv 232019 , il giudice di rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata. Ciò in quanto spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, senza essere condizionato da valutazioni in fatto eventualmente sfuggite al giudice di legittimità nelle proprie argomentazioni, essendo diversi i piani su cui operano le rispettive valutazioni e non essendo compito della Corte di cassazione di sovrapporre il proprio convincimento a quello del giudice di merito in ordine a tali aspetti. Del resto, ove la Suprema Corte soffermi eventualmente la sua attenzione su alcuni particolari aspetti da cui emerga la carenza o la contraddittorietà della motivazione, ciò non comporta che il giudice di rinvio sia investito del nuovo giudizio sui soli punti specificati, poiché egli conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di merito relativamente all’individuazione ed alla valutazione dei dati processuali. Ed invero, eventuali elementi di fatto e valutazioni contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine della individuazione del vizio o dei vizi segnalati e, non, quindi come dati che si impongono per la decisione a lui demandata Sez.4, numero 20044 del 17/03/2015, Rv. 263864 Sez. 4, numero 44644 del 18/10/2011, Rv. 251660 Sez. 5, numero 6004 del 11/11/1998, dep. 16/02/1999, Rv. 213072 Sez. 3, numero 9454 del 10/07/1995, Rv. 202879 . 2.2. Con riferimento all’accertamento del rapporto di causalità, va, poi, osservato che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva cfr. Sez. U, numero 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138 . È stato affermato che deve considerarsi utopistico un modello di indagine causale, fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali. Ciò in quanto, nell’ambito dei ragionamenti esplicativi, si formulano giudizi sulla base di generalizzazioni causali, congiunte con l’analisi di contingenze fattuali. In tale prospettiva, si è chiarito che il coefficiente probabilistico della generalizzazione scientifica non è solitamente molto importante e che è invece importante che la generalizzazione esprima effettivamente una dimostrata, certa relazione causale tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi Nella verifica dell’imputazione causale dell’evento, cioè, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta. Con particolare riferimento alla casualità omissiva che pure viene in rilievo nel caso di specie si osserva poi che la giurisprudenza di legittimità ha enunciato il carattere condizionalistico della causalità omissiva, indicando il seguente itinerario probatorio il giudizio di certezza del ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili, e culmina nel giudizio di elevata probabilità logica Sez. U, numero 30328 del 10.7.2002, cit. . Si è precisato, inoltre, che le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche possono essere in qualche caso superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarità del caso concreto quando l’apprezzamento conclusivo può essere espresso in termini di elevata probabilità logica Sez. 4, numero 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Cozzini, Rv. 248943 . Ai fini dell’imputazione causale dell’evento, pertanto, il giudice di merito deve sviluppare un ragionamento esplicativo che si confronti adeguatamente con le particolarità della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto all’imputato dall’ordinamento cfr. Sez. U, numero 38343 del 24.04.2014, dep. 18.09.2014, Rv. 261103 . Nel reato colposo omissivo improprio, quindi, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica, che, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo circa il ruolo salvifico della condotta omessa, elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e focalizzato sulle particolarità del caso concreto Sez. 4, numero 49707 del 04/11/2014, Rv. 263284 Sez. 4, numero 26491 del 11/05/2016, Rv. 267734 . 2.3. Nella specie, la Corte territoriale, ha osservato che l’erronea classificazione delle condizioni del paziente in codice verde era frutto della condotta omissiva-imperita e negligente tenuta dall’infermiera R. , che trascurava del tutto di apprezzare le condizioni del paziente, sia all’arrivo in pronto soccorso sia successivamente nella doverosa rivalutazione che si imponeva, in ragione della sintomatologia lamentata rapportata all’età. Nel ritenere comprovato il nesso causale, poi, non ha dato valore esclusivo al dato statistico, che esprimeva percentuali di sopravvivenza del paziente in caso di tempestivo intervento rilevanti e sicuramente non trascurabili, ma ha valorizzato anche tutte le peculiarità del caso concreto in particolare ha rilevato che il paziente si trovava già in pronto soccorso e, quindi, l’intervento specialistico cardiologico era garantito con assoluta tempestività l’ospedale era attrezzato con metodiche di emodinamica all’avanguardia, sicché sarebbero state immediatamente eseguibili le indagini invasive, quali la coronarografia, e non invasive, quali l’ecocardiografia, nonché l’intervento di angioplastica l’esame della documentazione medica e delle risultanze delle consulenze in atti dava prova che l’intervento cardiologico praticato al paziente, una volta conclamata l’urgenza, era stato rapidissimo e corretto. Ha, quindi, conclusivamente valutato che, ove assicurato un tempestivo intervento al paziente, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo con minore intensità lesiva in tal modo ha implicitamente ritenuto che, ove correttamente apprezzate le reali condizioni del paziente presente in pronto soccorso da parte dell’imputata, tale condotta avrebbe avuto, con alta probabilità logica, un ruolo salvifico. Tali valutazioni risultano adeguatamente argomentate, immuni dalle dedotte aporie di ordine logico e del tutto congruenti in relazione al compendio probatorio acquisito esse, inoltre, sono in linea con i suesposti principi di diritto affermati in subiecta materia da questa Suprema Corte. 3. Il ricorso, pertanto, va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali in base al disposto dell’art. 616 cod.proc.penumero . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.