Le possibili compressioni del contraddittorio nel giudizio di rinvio

Qualora, come nel caso in esame, vi siano, a seguito di un giudizio di rinvio, due condanne penali basate su fatti e condotte diversi, può configurarsi una mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, che è invece prescritta dall’art. 521 c.p.p

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22296/17 depositata il 9 maggio. Il caso. In un giudizio di rinvio legato ad un caso di infortunio sul lavoro, un soggetto era stato condannato ad un anno di reclusione per la violazione di norme antifortunistiche. Il cambio della qualifica soggettiva dell’imputato. Il due volte condannato ricorre in Cassazione lamentando che tra giudizio originario e giudizio di rinvio, la propria qualifica soggettiva era cambiata da coordinatore per la sicurezza ad assuntore di fatto della posizione di garanzia . Tale cambiamento sarebbe in contrasto con l’art. 521 c.p.p. correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza e avrebbe compresso il diritto di difesa dell’imputato, impossibilitato a contestarlo. Inoltre, aggiunge la difesa, la direzione dei lavori era collegiale e quindi non si comprende come mai la funzione di garanzia sia attribuibile solo al ricorrente e non anche agli altri direttori dei lavori . La Corte di Cassazione, quindi, enuncia il seguente principio di diritto qualora intervenga una modifica della posizione soggettiva rilevante per la colpa dal giudice d’appello, senza che l’imputato abbia potuto preventivamente interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa fattispecie mediante il ricorso per cassazione . E, infine, qualora la nuova qualificazione dell’addebito, sotto il profilo della posizione soggettiva, abbia inciso in concreto sulle strategie difensive, l’imputato dovrà essere restituito nelle facoltà di esercitare pienamente il diritto di difesa anche attraverso la proposizione di richieste di prova rilevanti in relazione al diverso contenuto dell’accusa . Pertanto la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello per un nuovo giudizio sul punto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 marzo – 9 maggio 2017, n. 22296 Presidente Amoroso – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza della Corte di appello di Salerno dell’8 aprile 2016 si confermava la decisione del Tribunale di Matera sezione di Pisticci, del 9 giugno 2011 che aveva condannato B.V. alla pena di anni 1 di reclusione, con pena sospesa, oltre alla condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, relativamente al reato di cui all’art. 113 e 589 cod. pen. con la violazione di norme antinfortunistiche in danno di Pi.An.Do. Commesso in omissis . La Cassazione 4 sezione con la sentenza dell’8 luglio 2014, n. 11367, aveva annullato con rinvio la sentenza della Corte di appello di Potenza che aveva confermato la decisione del giudice di primo grado. 2. Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Salerno e l’imputato propongono ricorso per Cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen Procuratore Generale presso la Corte di appello di Salerno. 2.1. Violazione di legge in riferimento agli art. 13, comma 1, d. P.R. 164/1956 e 5, comma 1, d. lgs. 494/1996, oggi trasfusi nel d. lgs. 8172008 e vizio di motivazione sul punto. La Corte di appello con la sentenza impugnata ha rilevato che il B.V. non rivestiva il ruolo - precedentemente attribuito con la sentenza annullata dalla Corte di Cassazione - di coordinatore per la sicurezza in assenza di un atto attributivo. Tuttavia allo stesso viene attribuita una posizione di garanzia di fatto in relazione non alla qualifica formale, ma alla funzione in concreto esercitata nel caso in giudizio. Il B. era il direttore dei lavori, e si recava quotidianamente sul cantiere. Non ricorrono, però, nel caso in giudizio gli obblighi di cui agli art. 13, comma 1, d. P.R. 164 del 1956 e 5, comma 1, d. lgs. 494/1996, dai quali dovrebbe desumersi la norma cautelare violatae quindi il profilo di colpa dell’imputato. La norma vuole evitare che gli scavi più profondi di 1,50 m. possano costituire un pericolo per i lavoratori, e richiede l’apposizione di idonei armature. La norma si applica solo se sia prevista anche occasionalmente la presenza di lavoratori all’interno dello scavo. Non avrebbe senso predisporre armature se nello scavo non sia affatto contemplato un ingresso, anche solo occasionale. La Corte di appello non ha motivato sul punto, essendosi limitata a constatare la profondità della buca superiore a 1,5 m. Nessun intervento umano era previsto, nel caso concreto, all’interno della buca, quindi la norma non avrebbe dovuto trovare applicazione. Gli interventi nel fosso erano tutti eseguibili a distanza con l’escavatore collocazione di tombini . 2.2. Violazione di legge nonché contraddittorietà ed illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva dell’imputato e l’evento verificatosi. La sentenza impugnata non ha considerato la norma dell’art. 41, cod. pen. causa sopravvenuta idonea a cagionare l’evento. La condotta abnorme del lavoratore risulta idonea ad interrompere il nesso causale. Nel caso in giudizio se fossero ritenuti non rilevanti le previsioni di cui all’art. 119 d.lgs. 81/2008 la condotta del lavoratore sarebbe in sé abnorme, con esclusione della responsabilità dell’imputato ex art. 41, comma 2, cod. pen Se invece fosse ritenuta operante la norma antinfortunistica che prevede le armature di sostegno dovrebbe valutarsi la accertata condotta del dipendente che ha violato inopinatamente e senza prevedibilità l’ordine tassativo esplicita proibizione di non accedere nella buca. L’acqua si stava togliendo con elettropompa e non a mano e quindi nessuno poteva sospettare - prevedere - la discesa nel fosso la pompa poteva e doveva essere tirata fuori per l’eventuale controllo. B.V. . 3. Violazione dell’art. 627 comma 3, del cod. proc. pen Violazione del giudicato progressivo. La Corte di appello con la sentenza impugnata esclusa la ricorrenza della qualifica di coordinatore per la sicurezza riteneva la responsabilità del ricorrente nell’assunzione di fatto di una posizione di garanzia. I principi di diritto della sentenza della Cassazione che aveva annullato la precedente decisione sono stati totalmente disattesi. Infatti una volta accertata l’assenza in capo al ricorrente della qualifica di coordinatore per la sicurezza le conclusioni erano obbligate assoluzione, come richiesto anche dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Salerno. 3.1. Violazione degli art. 521 e 522 cod. proc. pen Nullità della decisione per difetto di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza. L’imputazione e le due precedenti condanne riguardano la colpa specifica nella qualità di coordinatore per la sicurezza dell’imputato. La condanna nella sentenza oggi impugnata è invece avvenuta per la funzione di garanzia di fatto del ricorrente. Si tratta di fatti e condotte assolutamente diversi per cui è venuta a mancare la correlazione tra accusa e sentenza richiesta dall’art. 521 cod. proc. pen Su eventuali assunzioni dell’incarico in punto di fatto il ricorrente non ha potuto svolgere alcuna difesa per assoluta mancanza di contestazione. Inoltre una eventuale responsabilità nei fatti ci sarebbe, ma la stessa non è del ricorrente ma di chi ha omesso di nominare la figura del coordinatore per la sicurezza. La direzione dei lavori era collegiale e quindi non si comprende come mai la funzione di garanzia sia attribuibile solo al ricorrente e non anche agli altri direttori dei lavori. L’omessa contestazione ha evitato una difesa effettiva, che avrebbe potuto far accertare, con le prove necessarie le rispettive attività in punto di fatto e quindi le singole responsabilità o le corresponsabilità . Ciò in palese violazione degli art. 521 cod. proc. pen 3.2. Violazione dell’art. 2 del cod. pen. con riferimento all’art. 299 d. lgs. 81 del 2008. La norma in oggetto è successiva ai fatti in giudizio e quindi la stessa non doveva applicarsi in violazione dell’art. 2 del cod. pen Hanno chiesto quindi l’annullamento della decisione impugnata. Considerato in diritto 4. È fondato il motivo di ricorso sub 3.1. che assorbe gli altri, la violazione degli art. 521 e 522 cod. proc. pen La Corte di appello con la sentenza impugnata esclusa la ricorrenza della qualifica di coordinatore per la sicurezza riteneva la responsabilità del ricorrente nell’assunzione di fatto di una posizione di garanzia. La precedente decisione, annullata dalla Cassazione con sentenza della 4 sez., 8 luglio 2014, n. 11367, invece aveva condannato il ricorrente su un presupposto rivelatosi non sussistente, la qualifica di coordinatore della sicurezza del B. . La Corte di appello ha ritenuto che la condanna per la posizione di garanzia di fatto del ricorrente non violasse il principio di correlazione tra l’imputazione e la decisione giacché la responsabilità è stata accertata proprio in relazione ai profili di colpa specifica richiamati nel capo di imputazione e rispetto ai quali lo stesso ha avuto modo di difendersi nel corso del dibattimento. Anche l’accertamento dell’assunzione di fatto della posizione di garanzia in luogo della sua assunzione di diritto quale coordinatore per la sicurezza, erroneamente individuata nella sentenza impugnata , non integra un’ipotesi di fatto nuovo o diverso da quello contestato . 4.1. Punto di partenza per l’analisi è il capo di imputazione che non è stato modificato tra la prima decisione della Corte di appello e la seconda oggi impugnata del reato p.ep. dall’art. 131, 589 cod. pen. perché in cooperazione colposa fra loro, il D.G. in qualità di titolare di impresa individuale esercente attività di movimento terra lavori stradali idrici e fognanti, esecutrice dei lavori di completamento della rete fognaria della zona D1 di XXXXXXXX . ed in particolare per uno scavo per la successiva posa di pozzetti quadrangolari in cemento armato nonché di responsabile per la sicurezza e dei cantieri, il B.V. in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei suddetti lavori, per colpa generica imprudenza negligenza ed imperizia e specifica violando, rispettivamente, l’art. 13, comma 1, del d.P.R. n. 164 del 1956 e l’art. 5, comma 1, del d. lgs. n. 494/1996 cagionavano la morte del lavoratore Pi.An.Do. , il quale impegnato nello svuotamento dell’acqua presente nei pozzetti a mezzo di una elettropompa del tipo ad immersione, dopo essersi calato all’interno di una coppia di essi rimaneva intrappolato e sepolto dalla massa terrosa improvvisamente distaccatasi dalla parete dello scavo. In particolare, nonostante lo scavo a sezione obbligata largo metri 2.50 e lungo metri 9.50 avesse raggiunto una profondità di metri 4.50 ossia oltre 1.50 mt , fosse ubicato in terreno friabile misto a terreno di riporto, fosse nelle immediate adiacenze del canale di bonifica e si fossero verificate copiose piogge dei giorni precedenti, il D. ometteva di applicare le necessarie armature di sostegno alle pareti verticali man mano che lo stesso veniva realizzato e il B. di controllare la suddetta avvenuta applicazione delle misure di sicurezza atte ad evitare il distacco del blocco della parete, contravvenendo all’art. 13, comma 1, del d.P.R. n. 164 del 1956, all’art. 5, comma 1, d. lgs. n. 494/1996 e alle prescrizioni contenute nel Piano Operativo di Sicurezza e Coordinamento. Quello che risulta diverso nelle due decisioni è la qualifica soggettiva del ricorrente, da coordinatore per la sicurezza prima decisione annullata ad assunzione di fatto della posizione di garanzia. Invero non cambiano i profili della colpa sia specifica e sia generica, ma la posizione soggettiva del ricorrente. Nel ricorso si sostiene che questa modifica ha comportato una difesa non effettiva, in quanto la direzione dei lavori era collegiale, e quindi la funzione di garanzia dovrebbe essere individuata anche nei confronti degli altri conseguentemente l’omessa contestazione non ha consentito di far accertare con le prove necessarie le rispettive attività in punto di fatto e quindi le singole responsabilità o le corresponsabilità . 5. La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione ritiene che In tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa Fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l’omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014 - dep. 19/08/2014, Denaro e altro, Rv. 26016101 vedi anche Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013 - dep. 20/12/2013, Miniscalco e altro, Rv. 25790201 e Sez. 3, n. 19741 del 08/04/2010 - dep. 25/05/2010, Minardi, Rv. 24717101 . Inoltre la garanzia del contraddittorio non avvenuta in appello ben potrebbe essere assicurata in sede di ricorso per Cassazione, ma solo nelle ipotesi dove non risulti necessario assumere e valutare nuove prove Qualora il fatto venga diversamente qualificato ex officio dal giudice di appello senza che l’imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa definizione normativa mediante il ricorso per cassazione, a seguito del quale la Corte di legittimità può pronunciarsi in via definitiva sulla questione, salvo che risulti necessario assumere e valutare nuove prove vertenti su fatti in grado di rendere priva di fondamento la diversa qualificazione giuridica, nel qual caso è tenuta ad annullare la sentenza con rinvio al giudice di merito per un nuovo giudizio sul punto Sez. 2, n. 46401 del 09/10/2014 - dep. 11/11/2014, Destri e altri, Rv. 26104701 vedi anche Sez. 2, n. 12612 del 04/03/2015 - dep. 25/03/2015, Bu e altro, Rv. 26277801 . 5.1. Nel caso in esame è mutata la posizione soggettiva del ricorrente, da coordinatore per la sicurezza ad assuntore di fatto della posizione di garanzia nei confronti del lavoratore deceduto. Può conseguentemente ritenersi violato il principio della correlazione tra l’accusa e la sentenza poiché non sono aggiunti agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo nella stessa posizione soggettiva di coordinatore della sicurezza ma è mutata radicalmente la posizione soggettiva rilevante per tutti i profili di colpa, generica e specifica. Il ricorso per Cassazione inoltre non è da solo idoneo ad assicurare la garanzia del contraddittorio poiché, come rappresentato nel ricorso introduttivo sono necessarie nuove prove, relativamente alla posizione di garanzia assunta dall’imputato, e alla direzione dei lavori che si assume essere collegiale anche eventualmente ai fini dell’art. 133 del cod. pen. . È quindi necessario un nuovo giudizio sul punto per la garanzia del contraddittorio Qualora il fatto venga diversamente qualificato dal giudice di appello senza che l’imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio - prevista dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU così come interpretato dalla Corte EDU - resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa definizione mediante il ricorso per cassazione e, qualora la nuova qualificazione dell’addebito abbia inciso sulle strategie difensive, l’imputato dovrà essere restituito nella facoltà di esercitare pienamente il diritto di difesa, anche attraverso la proposizione di richieste di prova rilevanti in relazione al diverso contenuto dell’accusa. Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza di merito, che aveva riqualificato l’originaria imputazione di appropriazione indebita in quella di truffa senza consentire all’imputato una adeguata difesa dall’accusa di aver frodato gli enti previdenziali Sez. 2, n. 47413 del 17/10/2014 - dep. 18/11/2014, Grasso, Rv. 26096001 . 5.2. Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto Qualora il fatto venga diversamente qualificato con la modifica della posizione soggettiva rilevante per la colpa nel caso da coordinatore per la sicurezza ad assuntore di fatto della posizione di garanzia dal giudice di appello nel caso, dopo un annullamento della Cassazione relativo alla posizione di coordinatore per la sicurezza senza che l’imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio - prevista dall’art. 111 della Costituzione e dall’art. 6 CEDU così come interpretato dalla Corte EDU resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa fattispecie mediante il ricorso per Cassazione e, qualora la nuova qualificazione dell’addebito, sotto il profilo della posizione soggettiva, abbia inciso in concreto sulle strategie difensive, l’imputato dovrà essere restituito nelle facoltà di esercitare pienamente il diritto di difesa, anche attraverso la proposizione di richieste di prova rilevanti in relazione al diverso contenuto dell’accusa . La sentenza deve conseguentemente annullarsi con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli.