Conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, il giudice di appello può intervenire d'ufficio?

Una pragmatica e completa sintesi, nell’ordinanza di rimessione alle SS.UU., del contrasto esistente in ordine alla possibilità, per il Giudice della Corte di appello, di convertire la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria allorquando, pur non essendo stata formulata richiesta in tal senso nell’atto di appello, sia stato impugnato il punto relativo al trattamento sanzionatorio.

La fattispecie. Il Collegio ha ritenuto indispensabile rimettere allo scrutinio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la soluzione del contrasto interpretativo riguardo alla possibilità di disporre la conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria, di specie corrispondente, allorquando, pur non essendo stata formulata espressa richiesta in tal senso con l'atto di appello, al giudice dell'impugnazione sia stato rimesso il punto relativo al trattamento sanzionatorio. La soluzione di tale questione –spiega il Collegio assume rilievo per la definizione della vicenda portata alla propria attenzione perché l'imputato, tra i vari motivi di ricorso, ha introdotto la circostanza che, con l'atto di appello, aveva richiesto la riforma della sentenza di primo grado anche nella parte relativa al giudizio di bilanciamento tra le circostanze, dichiarate tra loro equivalenti dal primo giudice, chiedendo che le circostanze attenuanti generiche fossero dichiarate prevalenti sulla aggravante ex art 349, comma 2, c.p In questo modo, precisava il ricorrente, egli aveva devoluto alla Corte di Appello, di fatto ed in diritto, anche la questione del trattamento sanzionatorio e potendo discendere, da un diverso giudizio di bilanciamento nei termini di prevalenza così per come prospettati dall'appellante, una riduzione di pena. Tuttavia, la Corte Territoriale aveva ritenuto inammissibile la richiesta di conversione della pena detentiva formulata dalla difesa dell'imputato, affermando che l'impugnazione riguardava esclusivamente il beneficio della sospensione condizionale della pena ma non anche la misura della stessa. Conversione d’ufficio delle pena detentiva in pena pecuniaria? Il Collegio, a questo punto, nello specificare il problema giuridico, espone le differenti tesi che hanno trovato l’avallo anche in giurisprudenza e che giustificano la necessaria devoluzione della questione alla Corte a Sezioni Unite. Secondo il primo orientamento continua il Collegio esiste la possibilità per il giudice di appello, cui sia stato devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio, di intervenire sulla pena e, quindi, anche di concedere di ufficio, nei congrui casi, la sanzione sostitutiva, della cui mancata applicazione deve essere data idonea motivazione, nell’ipotesi in cui di essa vi sia stata esplicita richiesta da parte dell'imputato. Ma è stato seguito, in dottrina e in giurisprudenza, da ultimo con due pronunce della Cassazione del 2013 e del 2015, anche il concetto diametralmente opposto secondo cui il giudice di appello non ha il potere di applicare d'ufficio le pene sostitutive di quelle detentive brevi, in assenza di motivi di impugnazione in ordine alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva. E secondo tale orientamento tale divieto per il giudicante esiste anche quando, nel giudizio di appello, la parte ne abbia addirittura fatto richiesta. Il Collegio, a questo punto, esprime il proprio parere evidenziando come il contrasto de quo discenda sostanzialmente da differenti interpretazioni dell'art. 597 c.p.p. che, al quinto comma, prevede espressamente che con la sentenza pronunciata in appello possono essere applicate, anche d'ufficio, la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, una o più circostanze attenuanti, e la possibilità di effettuare, quando occorre, il giudizio di comparazione ex art. 69 c.p., mentre manca alcun riferimento alla facoltà di applicare d'ufficio le pene sostitutive ex art. 53 della L. n. 689/81. A sostegno dell'orientamento favorevole al riconoscimento del potere di applicare d'ufficio le sanzioni sostitutive allorquando al giudice di appello sia stata devoluta la questione del trattamento sanzionatorio, è stato sottolineato che l'art. 58 della citata legge riconosce in via generale il potere discrezionale del giudice della sostituzione della pena detentiva, e della scelta, tra le sanzioni sostitutive, di quella più idonea al reinserimento sociale del condannato. Tanto poiché – evidenzia tale orientamento le stesse comportano benefici meno consistenti rispetto a quelli derivanti dall'esercizio di altri poteri esercitabili d'ufficio, quali quello concernente la concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale oppure l'effettuazione del giudizio di comparazione ex art. 69 c.p Invece, secondo l'opposto orientamento interpretativo, le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi vanno considerate un beneficio la cui applicazione non può avvenire in deroga al limite dell'effetto devolutivo del giudizio di appello, così per come disciplinato dall'art. 597, comma 5, c.p.p Sicché, in assenza di specifica investitura, con i motivi di impugnazione della mancata applicazione della sanzione sostitutiva, al giudice di appello non sarebbe affatto consentito di intervenire d'ufficio. E tanto anche nell’ipotesi in cui l'imputato ne abbia fatto espressa richiesta nel corso del giudizio di secondo grado. Non resta che attendere, dunque, l’ardua sentenza delle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, ordinanza 8 – 23 novembre 2016, n. 49631 Presidente Fiale – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 22 maggio 2015 la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena del 20 gennaio 2011, con cui, in esito a giudizio abbreviato, P.G. era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 800 di multa in relazione al reato di cui all’art. 349, comma 2, cod. pen. contestatogli per avere violato, rimuovendoli, i sigilli apposti dai Carabinieri alla automobile di sua proprietà all’atto del sequestro amministrativo della stessa , ed era stato assolto dal concorrente reato di cui all’art. 334, comma 2, cod. pen., in quanto fatto non più previsto dalla legge come reato. 1.1. La Corte territoriale, nel disattendere l’impugnazione dell’imputato, mediante la quale non erano state sollevate censure in ordine alla affermazione di responsabilità ma solamente a proposito del diniego della sospensione condizionale della pena, del giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti generiche e la circostanza aggravante contestata, della mancata dichiarazione di particolare tenuità del fatto e della omessa conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria corrispondente, ha evidenziato che l’imputato aveva già riportato nove condanne, e che ciò escludeva la possibilità di concedere la sospensione condizionale della pena, essendo tali condanne indice di personalità incline a violare la legge ha, inoltre, sottolineato il notevole disvalore insito nell’utilizzo del veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, con la conseguente insussistenza dei presupposti per la declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., e rilevato l’inammissibilità della richiesta di conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria di specie corrispondente, in quanto non contenuta nei motivi di appello, ma formulata per la prima volta con la memoria depositata prima dell’udienza di discussione, sottolineando che l’impugnazione riguardava unicamente il beneficio della sospensione condizionale della pena e non anche la misura della pena. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso personalmente l’imputato, affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo ha denunciato mancanza di motivazione a proposito del diniego del riconoscimento della non punibilità del fatto a cagione della sua lieve entità, ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., avendo la Corte d’appello motivato la non configurabilità di tale ipotesi con l’elevato disvalore del fatto, derivante dall’utilizzo del bene sottoposto a sequestro, sia pure per ragioni di lavoro, con motivazione apodittica, consistente nella mera descrizione degli elementi costitutivi della fattispecie. 2.2. Con il secondo motivo ha denunciato ulteriore vizio di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento tra le circostanze, evidenziando come anche a tale proposito la Corte d’appello avesse del tutto omesso di prendere in considerazione tale punto della decisione impugnata, nonostante l’espressa formulazione di uno specifico motivo d’appello al riguardo. 2.3. Con il terzo motivo ha denunciato violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. e dell’art. 53 I. 689 del 1981, per l’omessa pronuncia in ordine alla richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, considerata nuova dalla Corte d’appello e dichiarata quindi inammissibile, omettendo di considerare che era stato devoluto alla Corte d’appello anche il punto della decisione impugnata relativo al trattamento sanzionatorio, e che quindi la richiesta di conversione avrebbe potuto essere esaminata ed era erroneamente stata dichiarata inammissibile. Considerato in diritto 1. Ritiene il Collegio che il ricorso in esame debba essere rimesso allo scrutinio delle Sezioni Unite di questa Corte, riguardo alla possibilità di disporre la conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria di specie corrispondente allorquando, pur non essendo stata formulata espressa richiesta in tal senso con l’atto d’appello, al giudice della impugnazione sia stata rimesso il punto relativo al trattamento sanzionatorio. Tale questione assume rilievo nella vicenda in esame in quanto l’imputato, con l’atto d’appello, aveva, tra l’altro, richiesto la riforma della sentenza di primo grado anche nella parte relativa al giudizio di bilanciamento tra le circostanze, dichiarate tra loro equivalenti dal primo giudice, chiedendo che le circostanze attenuanti generiche fossero dichiarate prevalenti sulla aggravante di cui all’art. 349, comma 2, cod. pen., in tal modo devolvendo alla Corte d’appello anche la questione del trattamento sanzionatorio cfr. Sez. U, n. 5978 del 12/05/1995, P., Rv. 201034 , potendo discendere da un diverso giudizio di bilanciamento, nei termini di prevalenza prospettati dall’appellante, una riduzione della pena. La Corte d’appello ha, tuttavia, ritenuto inammissibile la richiesta di conversione della pena detentiva formulata dalla difesa dell’imputato nel corso dell’udienza del 22 maggio 2015, affermando che l’impugnazione riguardava unicamente il beneficio della sospensione condizionale della pena, ma non anche la misura della stessa. 3. Rileva dunque il Collegio che a proposito del potere del giudice della impugnazione, cui come nella specie risulta essere avvenuto sia stato devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio, di concedere sanzioni sostitutive, vi è un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, già segnalato dall’Ufficio del Massimario con la relazione n. 64 del 4 novembre 2015. Nel senso della possibilità, per il giudice d’appello, cui sia stato devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio, di intervenire sulla pena, e quindi anche di concedere di ufficio, nei congrui casi, la sanzione sostitutiva, della cui mancata applicazione deve essere data idonea motivazione, qualora di essa vi sia stata esplicita richiesta da parte dell’imputato, si è già espressa questa stessa Sezione III, con la sentenza n. 26710 del 5 marzo 2015, n. 26710, Natalicchio, RV. 264022. Alle medesime conclusioni erano giunte Sez. IV, n. 6526 del 05/05/1995, Marchetti, Rv. 201708 Sez. IV, n. 6892 del 19/06/1996, Falchi, Rv. 205216 Sez. VI, n. 786 del 12/12/2006, Moschino, Rv. 235608 Sez. IV, n. 22789 del 9/04/2015, Ligorio, RV. 263894. Nel medesimo senso si è di recente espressa Sez. 4, n. 33586 del 22/03/2016, Mogini, Rv. 267441. In senso contrario è stato affermato da Sez. IV, n. 12947 del 20/02/2013, Pilia, Rv. 255506, che Il giudice di appello non ha il potere di applicare d’ufficio le pene sostitutive di quelle detentive brevi in assenza di motivi di impugnazione in ordine alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva, e ciò pur quando nel giudizio di appello la parte ne abbia fatto richiesta in senso conforme, Sez. V, n. 2039 del 17/01/1997, Amici, Rv. 208671 Sez. VI, n. 4302 del 20/03/1997, Manzella, Rv. 208887 Sez. I, n. 166 del 26/09/1997, Gargano, Rv. 209438 Sez. V, n. 9391 del 04/06/1998, Margiotta, Rv. 211446 Sez. VI, n. 9704 del 20/04/2000, Ricci, Rv. 217644 Sez. IV, Ordinanza n. 31024 del 10/01/2002, Ravaglia, Rv. 222313 Sez. V, n. 44029 del 10/10/2005, Della Cerra, Rv. 232536 Sez. VI, n. 35912 del 22/05/2009, Rapisarda, Rv. 245372 . Ancora recentemente nel medesimo senso si sono espresse questa stessa Sezione III, n. 43595 del 09/09/2015, Russo, Rv. 265207 nella quale in motivazione è stato chiarito come il limite alla cognizione del giudice d’appello, in assenza di specifica impugnazione in ordine alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva, si giustifica in ragione della eccezionalità delle deroghe al principio devolutivo e della natura della sanzione sostitutiva, costituente pena autonoma e non, invece, semplice modalità esecutiva della pena sostituita , e Sez. VI, n. 6257 del 27/01/2016, Sapiente, Rv. 266500 nella quale in motivazione è stato precisato che la decisione sulla concessione delle sanzioni sostitutive, implicando la risoluzione di una pluralità di specifiche questioni distinte da quelle che attengono alla commisurazione della pena, tanto da poter richiedere il compimento di accertamenti istruttori, costituisce un punto di decisione autonomo rispetto a quello relativo alla quantificazione della pena . 4. Tale contrasto discende da differenti interpretazioni dell’art. 597 cod. proc. pen. che, al comma 5, prevede espressamente che con la sentenza pronunciata in appello possano essere applicate - anche di ufficio - la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, una o più circostanze attenuanti, e la possibilità di effettuare, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell’articolo 69 del c.p., mentre manca alcun riferimento alla facoltà di applicare d’ufficio le pene sostitutive di cui all’art. 53 della L. n. 689/81. 4.1. A sostegno dell’orientamento favorevole al riconoscimento del potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive allorquando al giudice d’appello sia stata devoluta la questione del trattamento sanzionatorio, è stato sottolineato che l’art. 58 della legge n. 689 del 1981 riconosce in via generale il potere discrezionale del giudice della sostituzione della pena detentiva, e della scelta, tra le sanzioni sostitutive, di quella più idonea al reinserimento sociale del condannato, evidenziando che le stesse comportano benefici meno consistenti rispetto a quelli derivanti dall’esercizio di altri poteri esercitabili d’ufficio, quali quello concernente la concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, o la effettuazione del giudizio di comparazione a norma dell’articolo 69 del c.p 4.2. Secondo il diverso orientamento interpretativo, le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi vanno considerate un beneficio la cui applicazione non può avvenire in deroga al limite dell’effetto devolutivo del giudizio di appello, come disciplinato dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., sicché, in assenza di specifica investitura con i motivi di impugnazione della mancata applicazione della sanzione sostitutiva, al giudice d’appello non sarebbe consentito intervenire d’ufficio, anche se l’imputato ne abbia fatto espressa richiesta nel corso del giudizio di secondo grado. 5. La soluzione di tale contrasto interpretativo influenza anche la vicenda in esame, nella quale il ricorrente ha sottolineato di aver devoluto alla Corte d’appello anche la questione relativa al trattamento sanzionatorio, ed ha richiamato l’orientamento interpretativo favorevole, per tale evenienza, al riconoscimento del potere d’ufficio del giudice d’appello in ordine alla conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria nella specie espressamente sollecitato dall’imputato . Ne consegue la necessità di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite. P.Q.M. Rimette gli atti alle Sezioni Unite.