Esce dal domicilio coatto in mutande per spazzare il cancello: è evasione

Il domicilio coatto va inteso come il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, quali aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non ne costituiscano parte integrante.

In questo senso la S.C. con la sentenza n. 47317/16 depositata il 10 novembre. Il caso. Un imputato era dichiarato colpevole del reato di evasione dal luogo di detenzione domiciliare aggravato dalla recidiva reiterata specifica infraquinquennale. La Corte territoriale riteneva provata la materialità della condotta di evasione e infondate le giustificazioni addotte dall’imputato riguardo alla sussistenza di un errore scusabile circa l’appartenenza dell’area esterna in cui era stato sorpreso all’abitazione costituente luogo di detenzione domiciliare. L’imputato ricorre per cassazione deducendo violazione degli artt. 47 e 385 e l’insussistenza del reato, essendo stato sorpreso in mutande, canottiera e ciabatte e con una scopa in mano sulla strada adiacente l’abitazione, vicino la recinzione, intento a spazzare il cancello, situazione incompatibile con il dolo di evasione. Il domicilio coatto. Il ricorso va rigettato. Ancorché formalmente riferito al dolo del reato di cui all’art. 385 c.p.c., il primo motivo evoca implicitamente il tema dell’estensione spaziale del luogo deputato a domicilio coatto, già definito dalla Cassazione come il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, quali aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non ne costituiscano parte integrante ex multis , Cass. n. 3212/07 . Limitate eccezioni hanno portato ad affermare che non può essere escluso dal concetto di abitazione un’area condominiale, un giardino o un cortile che non presentino soluzioni di continuità con la medesima Cass. n. 4143/07 . Mentre, a contrario , Cass. n. 5770/95, ha affermato che l’abitazione va intesa soltanto come il luogo in cui il soggetto conduce la propria vita domestica e privata escludendo tutte le aree di cui sopra che non siano di stretta pertinenza dell’abitazione stessa . Dal punto di vista funzionale, il fine primario e sostanziale della misura coercitiva [] è quello di impedire i contatti con l’esterno e il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni Cass. n. 4830/14 . Piena equiparazione con la misura intra muraria. La piena equiparazione stabilita dall’ordinamento tra arresti domiciliari e custodia cautelare in carcere come affermato da Cass. n. 16098/16 richiede che la misura domiciliare si svolga con modalità analoghe a quelle proprie della misura intra muraria, dovendosi dare esclusiva rilevanza allo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa indicata dall’interessato ed autorizzata dal giudice, mimesi in senso giuridico e giustificata dal favore per le esigenze di vita ed affettive dell’indagato o del condannato dello spazio concluso tipico della detenzione in ambito penitenziario, suscettibile come tale di consentire eccezioni unicamente in relazione agli ambiti parzialmente aperti come balconi o cortili ma costituenti parte integrante dell’unità immobiliare di riferimento. Il ricorso è rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 ottobre 10 novembre 2016, n. 47317 Presidente Paoloni Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Bari ha confermato quella emessa dal Tribunale di Foggia, Sezione Distaccata di Manfredonia il 15/05/2008 con cui D.D.C. è stato dichiarato colpevole del reato di evasione dal luogo di detenzione domiciliare artt. 385 cod. pen. in relazione all'art. 47-ter, comma 3 I. n. 354 del 1975 aggravato dalla recidiva reiterata specifica infra quinquennale e per l'effetto condannato alla pena nove mesi di reclusione. La Corte territoriale ha condiviso le valutazioni del giudice di primo grado, rite nendo provata la materialità della condotta di evasione e infondate le giusti ficazioni addotte dall'imputato riguardo alla sussistenza di un errore scusabile circa l'appartenenza dell'area esterna in cui era stato sorpreso all'abitazione costituente luogo di detenzione domiciliare. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, che deduce inosser vanza ed erronea applicazione degli artt. 47 e 385 cod. pen. e l'insussistenza dei reato, essendo stato sorpreso in abbigliamento casalingo mutande, canottiera e ciabatte e con una scopa in mano sulla strada adiacente l'abitazione, vicino alla recinzione che ne delimita la proprietà, intento a spazzare il cancello e a libe rarlo dai frutti caduti sul binario di scorrimento che ne impedivano la chiusura, situazione di per sé stessa incompatibile con il dolo di evasione. Deduce, inoltre, l'intervenuta prescrizione del reato già nella fase dibattimen tale di merito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e come tale deve essere rigettato. 2. Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che ancorché formalmente riferito al dolo del reato di cui all'art. 385 cod. pen., esso evoca implicitamente ma chia ramente il tema dell'estensione spaziale del luogo deputato a domicilio coatto, più volte affrontato dalla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione in termini in genere rigoristici, nel senso che Sez. 6, sent. n. 4143 del 17/01/2007, Bompressi, Rv. 236570 e Sez. 6 del 10/07/2014, Sgura non massimata , con previsione di un'ulteriore eccezione all'eccezione per cui Sez. 6 del 25/09/ 2014, Peritore non massimata . Talora è stata valorizzata a contrario la nozione di 'stretta pertinenza', nel senso che d'abitazione dalla quale la persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari non deve allontanarsi va intesa soltanto come il luogo in cui il sog getto conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza del tipo di aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili, che non siano di stretta pertinenza dell'abitazione stessa& gt Sez. 6, sent. n. 5770 del 10/02/1995, Chimenti, Rv. 201670 Sez. 6, sent. n. 11000 del 04/10/1994, Bulgarini, Rv. 199932 . Più raramente ai fini dell'esclusione tout court della responsabilità per art. 385 cod. pen. si è fatto, invece, ricorso alla nozione di 'pertinenza esclusiva' Sez. 1, sent. n. 17962 del 30/03/2004, Maritan, Rv. 228292 , categoria al pari in verità di quella di 'stretta pertinenza' di dubbia origine normativa ed incerta applica zione sul piano pratico. Dal punto di vista, invece, funzionale e in senso maggiormente restrittivo del concetto di abitazione destinata allo svolgimento degli arresti domiciliari, è stato stabilito che Da ciò deriva l'impossibilità di ipotizzare la sussistenza di ogni seria questione inerente l'atteggiamento psicologico dell'imputato in fattispecie come quella og getto del presente giudizio. 3. Quanto alla dedotta prescrizione, va rilevato che il reato risulta commesso il 18/07/2006 ma che all'imputato è stata contestata la recidiva reiterata specifica infraquinquennale di cui all'art. 99, comma 4 cod. pen. in ragione dei plurimi precedenti penali risultanti a suo carico, recidiva ritenuta rilevante da entrambi i giudici di merito. La recidiva reiterata, infatti, costituendo a tutti gli effetti un'aggravante ad effetto speciale, rileva tanto ai sensi dell'art. 157, comma 2 cod. pen. ai fini della individuazione del termine di prescrizione ordinario quanto ai sensi dell'art. 161, comma 2 cod. pen. ai fini della determinazione del termine massimo in tal senso v. Sez. 3, sent. n. 3391 del 12/11/2014, dep. 2015, P.M. in proc. Pollicoro, Rv. 262015 Sez. 5, sent. n. 22619 del 24/03/2009, Baron e altri, Rv. 244204 Sez. 2, sent. n. 19565 del 09/04/2008, PG in proc. Rinallo, Rv. 240409 , sempre che, come nella specie, sia stata contestata e ritenuta dal giudice Sez. 2, sent. n. 40978 del 21/10/2008, PG in proc. Coviello e altro, Rv. 242245 . Ne consegue che tempo di prescrizione ordinaria del reato in addebito va indi viduato in dieci anni sei anni più aumento di 2/3 a titolo di recidiva qualificata 18/07/2016 , mentre quello di prescrizione massima di sedici anni e otto mesi di cui all'art. 161, comma 2 cod. pen. è ovviamente lungi dal maturare. 4. Al rigetto dell'impugnazione segue, come per legge, la condanna del ricor rente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.