Ragionevole dubbio circa il dolo dell’imputato nel delitto di peculato

Nel caso di specie posto all’esame della Suprema Corte, gli Ermellini si pronunciano in ordine alla sussistenza di un ragionevole dubbio circa il dolo dell’imputato nel delitto di peculato.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 42956/16, depositata l’11 ottobre. Il caso. La Corte d’appello di Catanzaro confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza che aveva assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato, dall’accusa relativa al reato di peculato, contestato per essersi impossessato di una certa somma derivante da pignoramenti presso terzi effettuati per la riscossione della tassa sui rifiuti solidi urbani per conto dell’Unione dei Comuni Pandosia. Ha presentato ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Catanzaro in riferimento alla sussistenza del ragionevole dubbio” circa il dolo dell’imputato. Si deduce, in particolare, che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della consapevolezza dell’imputato della debenza di una certa somma sin dal febbraio 2010, in quanto riconosciuta ed esattamente quantificata con nota sottoscritta dal medesimo a seguito di ripetuti solleciti, e del mancato riversamento dell’importo così definito all’Unione dei Comuni. Ragionevoli dubbi. Per il Collegio il ricorso è fondato. La sentenza impugnata ha affermato la sussistenza di dubbi ragionevoli” in ordine alla sussistenza del dolo del delitto di peculato osservando che risulta dimostrato e non contraddetto il dato della momentanea collocazione delle somme su un conto corrente acceso ad hoc e destinato esclusivamente alle somme riscosse in esecuzione della convenzione. Tuttavia, la riferita motivazione non si confronta con le circostanze indicate dal pm per cui, nonostante il riconoscimento del debito, i plurimi successivi solleciti a corrispondere le somme indicate e, addirittura la risoluzione della convenzione di riscossione per il mancato riversamento delle stesse, disposto con provvedimento adottato in data giugno 2010, il numerario non era stato messo a disposizione dell’unione dei Comuni fino al 4 ottobre 2010. Di conseguenza l’omessa valutazione delle circostanze appena indicate impone alla Corte l’annullamento della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 settembre – 11 ottobre 2016, n. 42956 Presidente Carcano – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 8 aprile 2014, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Cosenza che aveva assolto perché il fatto non costituisce reato L.P.M. dall’accusa relativa al reato di peculato, contestato al medesimo per essersi impossessato della somma di Euro 77.568,07, derivante da pignoramenti presso terzi effettuati per la riscossione della tassa sui rifiuti solidi urbani per conto dell’Unione dei Comuni Pandosia, e di cui aveva la disponibilità quale presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della società concessionaria del relativo servizio di riscossione. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Catanzaro, articolando due motivi, nei quali, congiuntamente, si lamenta violazione di legge, in rapporto all’art. 314 cod. pen., e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., in riferimento all’affermata sussistenza del ragionevole dubbio circa il dolo dell’imputato. Si deduce che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della consapevolezza dell’imputato della debenza della somma in questione sin dal 25 febbraio 2010, in quanto riconosciuta ed esattamente quantificata con nota dal medesimo sottoscritta in pari data a seguito di ripetuti solleciti, e del mancato riversamento dell’importo così definito all’Unione dei Comuni fino al successivo 4 ottobre del 2010, nonostante i brevissimi termini fissati dalla convenzione per tale adempimento decimo giorno lavorativo del mese successivo a quello di incasso e, addirittura, l’avvenuta risoluzione della convenzione di riscossione disposta dall’Unione di Comuni Pandosia con provvedimento del 16 giugno 2010 proprio per il mancato versamento degli importi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto per le ragioni di seguito indicate. 2. La sentenza impugnata ha affermato la sussistenza di dubbi ragionevoli in ordine alla sussistenza del dolo del delitto di peculato osservando che a il riconoscimento della debenza della somma è fatto idoneo a corroborare la linea difensiva dell’imputato, espressa sin dalla fase ex art. 415-bis c.p.p. secondo cui il riversamento non era stato effettuato proprio per la difficoltà di quantificare le somme recuperate per l’ente pubblico b risulta dimostrato e non contraddetto per tabulas il dato della momentanea collocazione delle somme su un conto corrente acceso ad hoc e destinato esclusivamente alle somme riscosse in esecuzione della convenzione c la mancata visualizzazione del conto da parte dell’ente pubblico non è idoneo ad escludere la collocazione delle somme sullo stesso . La riferita motivazione, tuttavia, non si confronta con le seguenti circostanze indicate dal pubblico ministero a l’imputato, quale legale rappresentante della SO.GE.FI.L. Riscossione s.p.a., sin dal 25 febbraio 2010 aveva formalmente riconosciuto ed esattamente quantificato, a seguito di ripetuti solleciti, le somme riscosse mediante pignoramenti presso terzi andati a buon fine, per un importo complessivo pari ad Euro 77568,07, mediante nota da lui sottoscritta, contenente anche l’elenco dei pignoramenti b nonostante tale riconoscimento del debito, i plurimi successivi solleciti a corrispondere le somme indicate e, addirittura, la risoluzione della convenzione di riscossione per il mancato riversamento delle stesse, disposto con provvedimento adottato in data 16 giugno 2010, il numerarlo non era stato messo a disposizione dell’Unione dei Comuni fino al 4 ottobre 2010 c il riversamento dell’importo in contestazione all’Unione di Comuni era avvenuto appunto in data 4 ottobre 2010, ossia solo dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari da parte dell’ufficio del Pubblico ministero per il reato in contestazione. Trattasi di circostanze potenzialmente ed immediatamente decisive per l’esito della controversia in senso opposto a quello espresso dalla Corte d’appello, e con le quali, quindi, quest’ultima aveva il dovere di confrontarsi. 4. Di conseguenza, l’omessa valutazione delle circostanze appena indicate impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro, per nuovo giudizio sul punto. Ovviamente, il giudice del rinvio avrà il dovere di confrontarsi con le circostanze non considerate, ma resta impregiudicato l’esito finale della sua valutazione, che, a differenza di quella compiuta da questa Corte, impinge il merito della regiudicanda ed implica un rinnovato esame dell’intero materiale istruttorio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro.