Errore giudiziario: in mancanza di prova certa quale criterio adottare per il computo del danno subito?

In materia di errore giudiziario, pur non potendo applicarsi, in analogia con la riparazione per ingiusta detenzione, un criterio indennitario puro, deve parlarsi comunque di equa riparazione del danno patito da computarsi perlomeno in via equitativa, qualora non sia possibile individuare una prova certa ai fini della quantificazione del danno subito.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 42749/16, depositata il 10 ottobre. Il caso. La Corte d’appello di Reggio Calabria, pronunciandosi sulla richiesta avanzata da due procuratori speciali del ricorrente, condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’errore giudiziario accertato dalla sentenza di revisione della Corte d’appello di Reggio Calabria al pagamento in favore del ricorrente di 6miliono di euro, accordando allo stesso una provvisionale immediatamente esecutiva sull’indennizzo liquidato pari 500mila euro. Con l’originaria istanza di riparazione ex art. 643 c.p.p. formulata nell’interesse del ricorrente veniva richiesta la liquidazione della somma di 56mila euro, in quanto egli era stato ingiustamente condannato alla pena dell’ergastolo per concorso nell’omicidio di due carabinieri dalla Corte d’appello di Reggio Calabria. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione l’imputato. Richiesta di riparazione. Il ricorrente deduce che la dinamica inquisitoria manifestamente illegale che è rimasta nel governo del magistrato inquirente si pone in netto contrasto con l’assunto dell’ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta derivazione causale del danno da fatto lecito, quale è l’esercizio dell’azione giudiziaria. Inoltre deduce che l’ordinanza impugnata va annullata perché contraddittoria in ordine alla negazione totale della richiesta di riparazione delle spese legali sostenute dal ricorrente stesso nel giudizio di cognizione. Riparazione per l’errore giudiziario. Per la Suprema Corte il ricorso è infondato. L’ordinanza impugnata, infatti, nel liquidare la somma a titolo di riparazione per l’errore giudiziario, ha correttamente affermato il principio secondo cui nel caso in esame, pur caratterizzato dalla presenza di gravi fatti illeciti perpetrati nei confronti dell’istante da parte di appartenenti all’Arma dei Carabinieri, debba essere applicato, ai fini della determinazione del quantum , un criterio indennitario in via equitativa, non essendo possibile individuare una prova certa di tipo civilistico . L’ordinanza impugnata si è giustamente attenuta a tale principio laddove ha affermato che in materia di errore giudiziario, pur non potendo applicarsi, in analogia con la riparazione per ingiusta detenzione, un criterio indennitario puro, deve parlarsi comunque di equa riparazione del danno patito da computarsi perlomeno in via equitativa, qualora non sia possibile individuare una prova certa ai fini della quantificazione del danno subito, fermo restando in ogni caso l’obbligo del giudice di motivare i criteri posti a fondamento della liquidazione dei danni. La Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 settembre 10 ottobre 2016, n. 42749 Presidente Romis – Relatore Tanga Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza n. 1/14 Err. Giud. del 29/02/2016, la Corte di Appello di Reggio Calabria pronunciando sulla richiesta avanzata dai procuratori speciali di G.G. , condannava il Ministero della Economia e delle Finanze in persona del Ministro pro tempore, per l’errore giudiziario accertato dalla sentenza di revisione 13/02/2012 della Corte di Appello di Reggio Calabria irr. il 17/06/2014 al pagamento in favore del predetto G. della complessiva somma di Euro 6.530.031,70, accordando al G. sull’indennizzo liquidato, una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad Euro 500.000,00 e dichiarando interamente compensate tra parti le spese processuali salvo che per le spese di perizia che, liquidate nella misura indicata in parte motiva, poneva a carico del resistente Ministero della Economia e delle Finanze. 1.1. Con l’originaria istanza di riparazione ex articolo 643 c.p.p., formulata nell’interesse del G. , veniva richiesta la liquidazione della complessiva somma di Euro 56.088.250 in quanto il G. era stato ingiustamente condannato alla pena dell’ergastolo scontando circa 20 anni di reclusione per concorso nell’omicidio di due carabinieri consumato il 27/01/1976 sentenza poi oggetto di revocazione solo il 13 febbraio 2012 irr. il 17/06/2014 dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria che riconosceva, in sostanza, la sussistenza di un apparato probatorio del tutto alterato a seguito di pratiche adottate dagli inquirenti quali sevizie e torture con contestuale violazione della convenzione Europea dei diritti umani ratificata con legge n. 848 del 1955. 2. Avverso tale ordinanza, propone ricorso per cassazione G.G. , lamentando in sintesi giusta il disposto di cui all’articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p. I violazione e falsa applicazione dell’articolo 606 lett. b ed e c.p.p. in relazione agli artt. 24 Cost., 314 e 643 c.p.p., nonché in relazione all’articolo 3 del protocollo nr.7 aggiuntivo alla convenzione EDU, e all’articolo 9 del patto internazionale dei diritti civili e politici. Deduce che la dinamica inquisitoria manifestamente illegale che è rimasta nel governo del magistrato inquirente, si pone in netto contrasto con l’assunto dell’ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta derivazione causale del danno da fatto lecito, quale è l’esercizio dell’azione giudiziaria. Afferma che vero è che i fatti che si attribuiscono ai carabinieri sono stati accertati incidentalmente nel processo di revisione, quindi senza le garanzie previste per gli incolpati, ma è innegabile che questi fatti sono stati oggetto di una archiviazione per intervenuta prescrizione dei relativi reati, e nella richiesta del P.M. si dà atto della sussistenza dei reati configurati, le cui evidenze sono state riversate nel processo di revisione intercettazioni, prove dichiarative . Sostiene che egli, secondo le affermazioni contenute nell’ordinanza impugnata, rimarrebbe privo di tutela non potendo più esercitare alcuna azione per responsabilità aquilana nei confronti dei responsabili dei gravi atti illegali protetti dal silenzio del magistrato presente , attesa la prescrizione di esse, pag. 15, così come prescritta è ormai l’azione penale . Conclude che la confessione del G. è alla luce delle evidenze un atto illegale che integra la violazione dell’articolo 3 della CEDU Alla luce di ciò, appare davvero irragionevole il giudizio della Corte di Appello di Reggio Calabria che ha respinto le considerazioni sviluppate dal G. per sostenere, in ordine all’an debeatur, il proprio diritto ad ottenere il risarcimento integrale di ogni danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto dell’errore giudiziario cui è rimasto vittima . Secondo il ricorrente, infine, il deficit logico del provvedimento impugnato è, dunque, costituito dalla considerazione del danno esistenziale quale pregiudizio derivante dalla sola libertà personale, e non invece come avrebbe dovuto dalla considerazione del protrarsi della detenzione stessa come danno esponenziale, e non proporzionale alla durata del singolo giorno di cella II violazione e falsa applicazione dell’articolo 606 lett. b ed e c.p.p. in relazione all’articolo 643 c.p.p., nonché in relazione all’articolo 115 c.p.c. e all’articolo 2043 c.c Deduce che l’ordinanza impugnata va annullata perché manifestamente illogica ed immotivata in relazione ai canoni di giudizio adottati anche per il risarcimento del danno patrimoniale subito dal ricorrente giunge a quantificare il danno patrimoniale, costituito dal reddito non percepito, nella misura della pensione sociale pari dunque ad Euro 5.825,00 per il periodo di 5 anni fino al 1996, esposto in Euro 32.000,00 . Sostiene che la corte territoriale non espone i criteri seguiti nella quantificazione del danno patrimoniale, anche sotto forma di perdita di chance, patiti dal G. , poi assertivamente ricondotti alla soglia della pensione sociale, strumento quest’ultimo di tipo solidaristico previsto per gli anziani fuori dal mondo del lavoro, non avente dunque alcun carattere reddituale III violazione e falsa applicazione dell’articolo 606 lett. b ed e c.p.p. in relazione alla compensazione totale delle spese del giudizio nonché in relazione all’omessa liquidazione delle spese del giudizio di cognizione, di cui alla sentenza di condanna poi revocata. Deduce che l’ordinanza impugnata va annullata, perché manifestamente contraddittoria, in ordine alla negazione totale della richiesta di riparazione, avanzata dal G. , delle spese legali sostenute da questi nel giudizio di cognizione . Afferma, infine, che l’ordinanza impugnata va, ancora, annullata, perché manifestamente illogica, in ordine alla ritenuta soccombenza totale delle parti, il ricorrente ed il Ministero resistente, e consequenzialmente alla totale compensazione delle spese del giudizio . appare evidente come a fronte di una soccombenza parziale del ricorrente sul quantum delle richieste la soccombenza del Ministero debba intendersi totale, e purtuttavia le statuizioni della corte territoriale sono identiche per le due parti nonostante la diversità delle situazioni considerate . 2.1. Con memoria pervenuta il 14/09/2016, la difesa ha ribadito e corroborato i motivi del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato e se ne impone il rigetto. 4. In ordine alle doglianze sub I e II - da trattarsi congiuntamente poiché logicamente avvinte - si osserva quanto segue. 4.1. L’ordinanza impugnata, nel liquidare la somma a titolo di riparazione per l’errore giudiziario, ha correttamente affermato il principio secondo cui, nel caso in esame, pure caratterizzato dalla presenza di gravi fatti illeciti perpetrati nei confronti dell’istante da parte di appartenenti all’Arma dei Carabinieri, debba essere applicato, ai fini della determinazione del quantum, un criterio indennitario in via equitativa, non essendo possibile individuare una prova certa di tipo civilistico. Il giudice della riparazione ha, altresì, sottolineato, confutando l’istanza difensiva di applicabilità al caso de quo del solo criterio civilistico del risarcimento del danno, che l’accertamento del fatto illecito altrui, svolto in sede di giudizio di revisione, non può fondare, nel giudizio di riparazione, la richiesta di integrale risarcimento dei danni derivanti dalla condotta illecita di terzi. È stato rimarcato, in questo senso, che il fatto illecito altrui, pur avendo provocato il danno derivante dalla instaurazione della vicenda cautelare e del processo penale, non ha avuto incidenza sulla durata della vicenda processuale e sull’errore giudiziario, dovuti anche all’alternanza di contrastanti decisioni giurisdizionali, frutto, almeno in parte, delle contrastanti valutazioni in tema di prova nel processo penale. 4.2. La riparazione dell’errore giudiziario articolo 643 c.p.p. e segg. , come quella per l’ingiusta detenzione articolo 314 c.p.p. e segg. , si ricollega alla figura dell’ atto lecito dannoso l’atto lesivo che ne sta alla base è stato, infatti, emesso nell’esercizio di un’attività legittima e doverosa da parte degli organi dello Stato, anche se, in tempi successivi, ne è stata dimostrata non l’illegittimità ma l’erroneità o l’ingiustizia. Dalla rilevata costruzione giuridica dell’istituto discende che il giudice è normalmente costretto ad utilizzare, prevalentemente se non esclusivamente, criteri equitativi per la liquidazione dell’indennizzo anche se, peraltro, non è esclusa la possibilità di utilizzare anche i criteri normativi previsti per il risarcimento del danno. In altri termini, il giudice ben può utilizzare, a tal fine, anche i criteri risarcitori per la determinazione dei danni subiti, patrimoniali o non patrimoniali, limitando il criterio equitativo alle voci di danno non esattamente quantificabili così come può, diversamente, utilizzare un criterio esclusivamente equitativo, con una liquidazione globale di tutte le conseguenze dell’errore giudiziario. In quest’ultimo caso, il giudice deve esplicitare i criteri o parametri utilizzati che rendano la sua decisione logicamente motivata e trasparente, ancorché fondata esclusivamente sull’equità qualora invece ritenga di utilizzare i criteri risarcitori, il giudice è comunque tenuto a procedere con il rispetto delle regole civilistiche applicabili al risarcimento del danno, ferma restando la possibilità di applicare criteri equitativi per la liquidazione delle voci di danno che non possano essere provate nel loro preciso ammontare artt. 1226 c.c. e 2056 c.c., comma 1 v. l’approfondita analisi svolta sul tema da Sez. 4, n. 2050/2004 del 25/11/2003 . La riparazione è, pertanto, un istituto strutturalmente diverso dal risarcimento del danno. L’obbligo di risarcimento scaturisce da un inadempimento contrattuale o da un fatto illecito e presuppone la prova rigorosa del danno che ne è derivato e del suo preciso ammontare. La riparazione non ha natura risarcitoria ma configura un equo indennizzo che lo Stato si accolla per ragioni di solidarietà civile e, come tale, prescinde da rigorose prove del danno subito, restando affidata ad una determinazione equitativa. È evidente la finalità di tale impostazione se il legislatore avesse costruito la riparazione della ingiusta detenzione come risarcimento dei danni avrebbe dovuto richiedere, per coerenza sistematica, che il danneggiato fornisse la dimostrazione dell’elemento soggettivo della colpa o del dolo in capo alle persone che hanno agito e quindi dei magistrati che hanno adottato o mantenuto la misura coercitiva o hanno emanato la sentenza di condanna ma ciò si sarebbe posto in un quadro di conflitto con l’esigenza fondata su una precisa disposizione della nostra Costituzione l’articolo 24, comma 4 ma anche sul diritto comunitario e internazionale l’articolo 5, comma 5 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e l’articolo 9, comma 5, del Patto internazionale dei diritti civili e politici di garantire un adeguato ristoro a chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale senza costringerlo a defatiganti controversie sulla esistenza dell’elemento soggettivo e sulla determinazione dei danni cfr. sez. 4, n. 7787 del 04/11/2015 in relazione ad un caso di annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio, in presenza di vizio di motivazione circa la prova dei danni lamentati dal ricorrente, con riferimento proprio ai principi appena ricordati sez. 4, n. 22444 del 19/03/2015 in relazione ad un caso di annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio, esclusivamente con riferimento al diniego da parte del giudice di merito della liquidazione del danno biologico a titolo di riparazione dell’errore giudiziario, danno invece correttamente riconosciuto nei confronti del G. . 4.3. L’ordinanza impugnata si è giustamente attenuta a tale principio laddove ha affermato che in materia di errore giudiziario, pur non potendo applicarsi, in analogia con la riparazione per ingiusta detenzione, un criterio indennitario puro, deve parlarsi comunque di equa riparazione del danno patito da computarsi perlomeno in via equitativa, qualora non sia possibile individuare una prova certa ai fini della quantificazione del danno subito, fermo restando in ogni caso l’obbligo del giudice di motivare adeguatamente i criteri posti a fondamento della liquidazione dei danni, sia nell’ipotesi di liquidazione esclusivamente equitativa sia in quella in cui ritenga di utilizzare i criteri risarcitori in cui deve procedere con il rispetto delle regole civilistiche applicabili al risarcimento del danno. 4.4. Non è condivisibile la tesi difensiva secondo la quale nel caso in esame il quantum della liquidazione dovrebbe essere computato seguendo il solo criterio civilistico di risarcimento del danno da fatto illecito altrui, emergendo dagli atti processuali la prova di gravi condotte di rilievo penale poste in essere da appartenenti all’Arma dei Carabinieri non risultano, peraltro, presentate tempestive denunce - da parte di alcuno - a carico di quei carabinieri o esercitate - altrettanto tempestive - azioni civili nei loro riguardi . A prescindere dalle considerazioni in fatto svolte dalla Corte territoriale, circa l’insussistenza di sentenze definitive che abbiano accertato responsabilità penali in capo agli autori degli illeciti, emergenti dal giudizio di revisione, va chiarito che, sia per la riparazione a seguito di revisione che per quella per l’ingiusta detenzione, le conseguenze che vengono in rilievo non sono quelle riconducibili alla consumazione di un reato nei confronti della vittima dell’errore giudiziario e della ingiusta detenzione ma i pregiudizi ingiustamente subiti a seguito di un’attività legittima e doverosa da parte degli organi dello Stato, anche se, in tempi successivi, ne è stata dimostrata non l’illegittimità, ma l’erroneità o l’ingiustizia cfr. ancora sez. 4, n. 7787/2015 e sez. 4, n. 22444/2015, citate . 4.4.1. Coerentemente a tale principio il giudice della riparazione ha sottolineato che l’errore giudiziario trova solo origine in un fatto illecito, ma si fonda essenzialmente su un errato accertamento giurisdizionale definitivo di condanna emesso sulla scorta di prove contrastanti che presentavano sin dall’inizio aspetti di inquinamento rilevabili e comunque passibili di una valutazione che comportasse perlomeno il dubbio sul raggiungimento di un parametro probatorio esaustivo. 4.4.2. Non si vede, d’altro canto, per quale ragione lo Stata debba essere ritenuto responsabile - al di là dei limiti costituiti dall’aver pronunciato un’ingiusta condanna - dei danni conseguenti ad una condotta criminale e non giudizialmente accertata di terzi ai quali non sia riconducibile la sua attività cfr. anche sul punto sez. 4, n. 22444/2015, cit. . 4.5. Mette, inoltre, conto rammentare che non compete certamente al giudice di legittimità rivalutare gli elementi di giudizio presi in considerazione dai giudici di merito. In questa sede è solo possibile verificare la manifesta illogicità della motivazione o la carenza della stessa cfr. ex multis sez. 4, n. 22444 del 19/03/2015 . 4.5.1. Appare, ancora, utile ribadire che, in tema di ingiusta detenzione e di errore giudiziario, il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione è sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta cfr. sez. 4, n. 24225 del 04/03/2015 sez. 4, n. 10690 del 25/02/2010 sez. 4, n. 25901 del 21/04/2009 . E nel caso che occupa la Corte della riparazione ha motivatamente utilizzato, nella liquidazione, criteri equitativi supportati da solidi e oggettivi parametri di riferimento, adottando criteri certamente non arbitrari o immotivati né ha liquidato in modo simbolico la somma dovuta v. ad esempio pagg. 16 e ss. della motivazione . 4.6. Quanto, in particolare, al danno patrimoniale ex articolo 643 c.p.p. il giudice del merito ha ineccepibilmente e dettagliatamente dato conto del solido iter logico seguito v. pagg. 21 – 22 – 23 - 24 della motivazione rappresentando, tra l’altro, che il punto di partenza non avrebbe potuto che essere l’apprezzamento dell’entità del reddito lecito del G. negli anni precedenti la sua carcerazione in esecuzione della condanna inflittagli dalla Corte d’Assise di Appello di Catania con sentenza 29/11/1989, giungendo, in guisa favorevole al ricorrente, ad affermare che andava abbandonato il criterio risarcitorio evidentemente sfavorevole alla domanda , ritenendo conforme ad equità immaginare che il G. , in aggiunta ai redditi formalmente dichiarati, percepisse, prima della ingiusta condanna, un reddito annuo ulteriore e che l’intervento della carcerazione in esecuzione della stessa abbia comunque determinato una perdita patrimoniale, almeno per il periodo compreso tra il novembre 1990 ed il febbraio 1996. Si legge, infatti, nella motivazione Nella determinazione di tale danno, occorre peraltro considerare come in quello stesso periodo il G. percepì somme pari a circa il doppio di quelle formalmente percepite nel quadriennio precedente, sicché pare equa l’integrazione di tale reddito con una somma di poco superiore all’attuale ammontare della pensione sociale fissato dall’INPS per l’anno 2016 in 5.825,00 Euro , moltiplicato per il periodo in considerazione di anni cinque e mesi quattro dal novembre 1990 al febbraio 1996 , sino alla concorrenza di complessivi Euro 32.000,00 . Quanto alla c.d. perdita di chances , si rinviene - in motivazione - l’esatta considerazione secondo cui l’andamento gravemente decrescente della redditività dell’impresa artigiana dell’istante, non consentiva di assegnare valori di particolare crescita ed incremento alla attività del ricorrente, e dunque di ipotizzate una qualche perdita di chance imprenditoriale derivante dalla carcerazione, precisando che avrebbe potuto essere indennizzato, appunto quale perdita di chance, solo un pregiudizio concreto e attuale e non ricollegato a un’ipotesi congetturale , non ricorrente nella fattispecie cfr. sez. 4, n. 24359 del 23/02/2006 sez. 3, n. 26739 del 21/06/2011 . 4.7. Circa il danno non patrimoniale, lo stesso giudice del merito, combinando il criterio risarcitorio e quello equitativo, ha fondato la propria decisione - per la liquidazione del c.d. danno biologico - sugli esiti della perizia medico - legale e psichiatrica disposta nel procedimento per altro incontestata ed alla stregua dei chiarimenti resi in udienza dal prof. D.N. sia in ordine all’inquadramento nosografico delle psicopatologie che affliggevano il G. descritte come depressione reattiva ricorrente con subentrata sindrome da disadattamento , sia in ordine all’inabilità temporanea parziale indicata come progressivamente decrescente e mediamente valutabile al 50% - della durata di dodici mesi -, sia infine in relazione al quantum percentuale di danno biologico accertato 30% di invalidità permanente , non emergendo compromissioni alla capacità lavorativa specifica o generica riduttivi di reddito ascrivibili alla vicenda processuale. Quanto, poi, al ristoro del danno morale e del danno esistenziale, la Corte territoriale ha diffusamente - quanto in questa sede di legittimità incensurabilmente - motivato, affermando, tra l’altro non può esservi dubbio che proprio i tratti connotanti le voci del danno in esame, ed in particolare quelle del danno c. d. esistenziale, non possono che portare a ritenere la lesione/compressione recata ai beni ed agli interessi tutelati, sul piano quantitativo e qualitativo, una funzione direttamente proporzionale al grado di afflittività della detenzione massima nel caso di carcerazione in isolamento, via via più contenuta nel caso di carcerazione in comune, nel momento di ammissione al lavoro interno, quindi ai benefici dell’ordinamento penitenziario, permessi premio, semilibertà, etc. avendo anche cura di specificare quanto segue pur nella consapevolezza che la disciplina di cui agli artt. 643 e 646 c.p.p. non individua massimali nella determinazione dell’indennizzo in parola, reputa la Corte non si possa prescindere totalmente dalla considerazione della disciplina fissata dagli artt. 314-315 dello stesso codice in relazione all’istituto della riparazione dell’ingiusta detenzione, il quale pure con le note differenze di presupposti e finalità, prevede notoriamente un limite all’indennizzo quantunque oggettivamente sia funzionale al ristoro della lesione/aggressione delle medesime situazioni giuridiche rivenienti nella riparazione ex articolo 643 c.p.p. e soprattutto in ragione di modalità e profondità di incisione praticamente sovrapponibili se non identiche . Nella determinazione del quantum per dette voci di danno, pertanto, la Corte territoriale ha valutato quale equo indennizzo la somma di Euro 1.175,00 pari a poco meno di cinque volte l’importo notorio di Euro 235,82 per ciascun giorno di ingiusta detenzione in carcere per ciascun singolo giorno di piena carcerazione subito dal G. , provvedendo, poi, a detrarre da tale somma, di volta in volta, le percentuali diverse in ragione della progressiva attenuazione del regime carcerario e per i periodi di non carcerazione effettiva. Va qui utilmente soggiunto proprio per confermare la rigorosa legittimità della decisione impugnata che la stessa Corte del merito ha poi precisato quanto segue in relazione alla misura non custodiate applicata al G. in esito alla sua scarcerazione per decorrenza termini del 1981, reputa la Corte che debba essere accolta la richiesta di indennizzo anche di tale periodo di compressione della libertà personale, potendone rinvenirsi fondamento giuridico proprio nella previsione di cui all’articolo 643, primo comma, c.p.p., che diversamente da quanto previsto dall’articolo 314 c.p.p. che non conosce tale inciso annette all’errore giudiziario la riparazione pure commisurandola alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna, e non sembra potersi revocare in dubbio che anche le limitazioni alla libertà personale e di spostamento di che trattasi sostanziarono conseguenza personale e familiare della condanna . 5. In ordine alla doglianza sub III , valgono le osservazioni che seguono. 5.1. Dopo aver correttamente rigettato la richiesta di corresponsione degli interessi sulla somma liquidata, in applicazione del dictum di questa Corte secondo cui in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione o errore giudiziario, gli interessi al tasso legale sulla somma attribuita all’istante - non già moratori, bensì corrispettivi - vanno riconosciuti, se richiesti, dal passaggio in giudicato del provvedimento attributivo, atteso che solo da tale momento il credito - avente natura non risarcitoria - può ritenersi certo, liquido ed esigibile v. sez. 4, n. 22444 del 19/03/2015 sez. 4, n. 24359 del 23/02/2006, rv. 234612 , la Corte del merito ha ineccepibilmente motivato il rigetto della richiesta di rimborso delle spese di difesa sostenute per l’ingiusto processo quantificate equitativamente in richiesta in Euro 300.000,00, affermando l’istante non ha offerto alcuna dimostrazione dei pagamenti effettuati per spese processuali, né del fatto che sia rimasto debitore dei relativi compensi verso i suoi difensori o altri soggetti. Né sembra che al riguardo si possa fare ricorso a presunzioni non v’è dubbio infatti che le spese legali potrebbero essere state sostenute mediante ricorso al patrocinio gratuito, ovvero al patrocinio a spese dello Stato, ovvero corrisposte da familiari od anche elargite dai difensori pro bono o in ragioni di rapporti amicali del resto, tale conclusione trova conferma nella sentenza Sez. 4, 25.11.2003, Barillà, cit. secondo la quale il criterio equitativo assume carattere residuale ma esclusivamente per quei danni di cui sia certa l’esistenza ma che non possono essere provati nel loro preciso ammontare. Il che, evidentemente, non si verifica nel caso in esame nel quale i compensi pagati ben possono essere documentati con regolari fatture o, quanto meno, con dichiarazioni di coloro che hanno effettuato le prestazioni o con altri mezzi di prova idonei a dimostrare l’avvenuto pagamento . 5.2. È, invece, inammissibile il punto della doglianza relativo alla totale compensazione delle spese del giudizio di riparazione. A ben vedere, infatti, detta compensazione non appare totale dato che le spese di perizia, risultano poste a carico del resistente Ministero. 5.2.1. Deve al riguardo, comunque, rilevarsi che le spese del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione o per errore giudiziario - per le connotazioni civilistiche che afferiscono a tale istituto - vanno regolate secondo i criteri indicati dagli artt. 91 e 92 c.p.c. e non 541 c.p.p. . In tale contesto, il sindacato di legittimità, in tema di regolamento delle spese processuali, è limitato alla violazione del principio per cui le spese non possono esser poste a carico della parte totalmente vittoriosa esula da tale sindacato, e rientra, invece, nei poteri del giudice del merito, la valutazione della opportunità o meno di disporre la compensazione, sicché è inammissibile il motivo di ricorso per Cassazione con il quale si contesti il provvedimento del giudice che abbia disposto la compensazione delle spese, non essendo l’istante totalmente vittorioso quanto al petitum esplicitato e richiesto, sensibilmente ridotto dal giudice della riparazione v. in tal senso sez. 4, n. 38163 del 10/07/2013 si veda anche Sez. Un., n. 34559 del 26/06/2002, Rv. 222264 . 5.2.2. Mette conto, a tal proposito, affermare che gli arresti appena citati ed i principi in essi contenuti valgono anche per il caso che occupa posto che l’istanza di riparazione è stata depositata in data 24/06/2014, la modifica dell’articolo 92 c.p.c. è successivamente avvenuta ad opera del D.L. 12 settembre 2014 n. 132, convertito in L. 10 novembre 2014 n. 162 e, in tema di procedimento per ingiusta detenzione ed errore giudiziario, la compensazione delle spese processuali può essere disposta applicando la norma nella formulazione vigente alla data del deposito dell’originaria istanza dell’interessato in quanto atto introduttivo del procedimento cfr. Sez. 4, n. 5833 del 28/12/2015, Rv. 265832 . 6. Per le considerazioni svolte il ricorso va rigettato. 6.1. Alla declaratoria di rigetto del ricorso consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.