Speciale causa di non punibilità: il giudice deve attenersi ai criteri stabiliti dal legislatore

La causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. implica che sia stato commesso un fatto conforme al tipo ed offensivo ma con un tasso di lesività tenue il legislatore detta poi i criteri ai quali il giudice si deve attenere per ritenere o escludere la sussistenza della speciale causa di non punibilità.

Così ha disposto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38833/16, depositata il 20 settembre. Il caso. L’imputata proponeva appello, convertito in ricorso per cassazione, impugnando la sentenza con la quale il Tribunale di Grosseto condannava la ricorrente alla pena di 1.000,00 euro di ammenda per il reato di cui agli artt. 63, comma 1, e 68, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008, per non aver predisposto mezzi idonei di estinzione e per non averli mantenuti in efficienza con controlli semestrali. In particolare erano stati rinvenuti estintori scaduti o mancanti. Per l’annullamento della sentenza impugnata la ricorrente solleva due motivi di gravame. Violazione del principio di offensività. Con il primo motivo, la ricorrente deduce l'erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 21 e 24 del d.lgs. n. 758/2008 per violazione del principio di offensività in ordine alla affermazione della penale responsabilità dell'imputata. Sostiene che il Tribunale con la sua decisione, facendo mal governo anche del principio di offensività, quale criterio ermeneutico per il giudice, avrebbe erroneamente ritenuto la penale responsabilità della ricorrente, confondendo l'eccezione di adempimento alle prescrizioni imposte dall'organo di vigilanza, con l'effetto estintivo del mancato pagamento della sanzione pecuniaria, laddove ha ricollegato la lesività del fatto al pregiudizio insito genericamente negli episodi sanzionabili, senza considerare, sotto il profilo della concreta offensività, l'avvenuta ottemperanza, da parte della ricorrente, alle prescrizioni atte a far cessare il pericolo . Nel caso di specie, la ricorrente aveva regolarizzato la condizione degli estintori ma non aveva provveduto al pagamento della sanzione amministrativa, senza che ciò rilevasse ai fini della reclamata inoffensività della condotta, determinando soltanto l'estinzione della contravvenzione. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta, invece, l'erronea applicazione della legge penale in relazione al fatto contestato e il difetto di motivazione su un punto decisivo per il giudizio sul rilievo che il Tribunale avrebbe omesso di indicare le ragioni logico-giuridiche, per cui, in relazione al disvalore oggettivo concrete modalità dei fatto e soggettivo comportamento tenuto , la ricorrente stessa non potesse essere assolta ex art. 131 -bis c.p., così come chiesto ed invocato dalla difesa. Causa di non punibilità. Il primo motivo è infondato. Secondo la Suprema Corte è infatti corretto l'approdo cui è pervenuto il Tribunale, laddove ha precisato come, da un lato, l'inoffensività della condotta in concreto accertata non potesse scaturire, secondo l'assunto della ricorrente, dall'adempimento postumo e come, dall'altro, il pregiudizio insito nelle omissioni sanzionate ed accertate integrasse la necessaria offensività della condotta . Merita accoglimento invece il secondo motivo. La causa di non punibilità di cui all'art. 131 -bis c.p. implica che sia stato commesso un fatto conforme al tipo ed offensivo ma con un tasso di lesività tenue ed il legislatore ha dettato i criteri ai quali il giudice si deve attenere per ritenere o escludere la sussistenza della speciale causa di non punibilità, che la ricorrente ha espressamente reclamato con la precisazione delle conclusioni, ma che il Tribunale ha escluso con un'affermazione apodittica senza alcuna valutazione dei parametri normativi elencati nell'art. 131 -bis c.p A ciò dovrà dunque porre riparo il giudice di rinvio cui vanno trasmessi gli atti per l'esame sul punto. La Corte annulla dunque la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 131 -bis del c.p. e rinvia al Tribunale di Grosseto.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 luglio – 20 settembre 2016, n. 38833 Presidente Amoresano – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. P.C. ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione, impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Grosseto ha condannato la ricorrente alla pena di euro 1.000,00 di ammenda per il reato previsto dagli articoli 63, comma 1, e 68, comma 2, decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 per non aver predisposto idonei mezzi di estinzione e per non averli mantenuti in efficienza con controlli semestrali. In particolare durante il controllo sono stati rinvenuti estintori scaduti e/o mancanti. In Massa Marittima il 12 luglio 2011. 2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza la ricorrente solleva, tramite il difensore, due motivi di gravame, qui enunciati ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce l'erronea applicazione della legge penale articolo 606, comma 1, lettera b , del codice di procedura penale in relazione agli artt. 21 e 24 del D.lgs. n. 758 del 2008 per violazione del principio di offensività in ordine alla affermazione della penale responsabilità dell'imputata. Sostiene che il Tribunale con la sua decisione, in violazione degli artt. 21 e 24 del D.Lgs. n. 758 del 2008, e facendo mal governo anche del principio di offensività, quale criterio ermeneutico per il giudice, avrebbe erroneamente ritenuto la penale responsabilità della ricorrente, confondendo l'eccezione di adempimento alle prescrizioni imposte dall'organo di vigilanza, con l'effetto estintivo del mancato pagamento della sanzione pecuniaria, laddove ha ricollegato la lesività del fatto al pregiudizio insito genericamente negli episodi sanzionabili, senza considerare, sotto il profilo della concreta offensività, l'avvenuta ottemperanza, da parte della ricorrente, alle prescrizioni atte a far cessare il pericolo. Nel caso di specie, la C. aveva regolarizzato la condizione degli estintori ma non aveva provveduto al pagamento della sanzione amministrativa pari ad € 1.200,00 ai sensi dell'art. 21, secondo comma, dei d.lgs. n. 758/1994, senza che ciò rilevasse ai fini della reclamata inoffensività della condotta, determinando il pagamento soltanto l'estinzione della contravvenzione. Invocando il principio di offensività, canone fondamentale per un diritto penale coerente con le istanze garantiste e di stretta legalità, la difesa aveva invece sostenuto che, nel caso di specie, i fatti alla medesima contestati non meritassero pena, in ragione del loro scarso disvalore in concreto, per aver la stessa adempiuto alle prescrizioni, risultando ininfluente il mancato pagamento della sanzione. Conclude la ricorrente che, se il giudice avesse valutato in concreto il fatto, alla luce della sua concreta inoffensività, atteso che aveva comunque regolarizzato la condizione degli estintori, sarebbe pervenuto ad una pronuncia assolutoria. 2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l'erronea applicazione della legge penale in relazione al fatto contestato e il difetto di motivazione su un punto decisivo per il giudizio articolo 606, comma 1, lettere b ed e , dei codice di procedura penale in relazione all'articolo 131-bis dei codice penale , sul rilievo che il Tribunale avrebbe omesso di indicare le ragioni logico-giuridiche, per cui, in relazione al disvalore oggettivo concrete modalità dei fatto e soggettivo comportamento tenuto , la C. non potesse essere assolta recte dichiarata non punibile ex art. 131-bis cod. pen., così come chiesto ed invocato dalla difesa. La valutazione giudiziale in ordine alla particolare tenuità dell'offesa fenomeno descritto come depenalizzazione in concreto , doveva essere effettuata, per espressa indicazione normativa, sulla base dei parametri inerenti la gravità del reato di cui al primo comma dell'art. 133 cod. pen. e, in assenza di condizioni ostative, la fattispecie di reato contestata alla C. rientrava ampiamente nel paradigma normativo di cui all'art. 131-bis cod. pen., dovendosi perciò escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto sia sulla base della tenuità dell'offesa, a sua volta deducibile dalle modalità della condotta e dalla esiguità del danno o dei pericolo, e sia sulla base della non abitualità del comportamento. La condotta tenuta dall'imputata volta, con l'ottemperanza alle prescrizioni impartite, a far cessare il pericolo, la non abitualità del comportamento unico episodio senza particolare capacità criminale , integravano, infatti, gli indici-criteri e gli indici-requisiti della tenuità dell'offesa e della non abitualità del comportamento. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato sulla base dei secondo motivo. 2. II primo motivo è infondato. Le argomentazioni teoriche sviluppate nel ricorso, in materia di principio di offensività, sono corrette, essendo tuttavia errata la prospettiva pronosticata dalla ricorrente in ordine alle conseguenze che deriverebbero nel caso di specie dall'applicazione del principio di offensività, quale generale canone interpretativo offerto al giudice per l'accertamento della necessaria lesività o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla condotta in concreto realizzata. La ricorrente deduce l'inoffensività in concreto della condotta per il solo fatto di aver ottemperato alle prescrizioni antinfortunistiche e rimprovera al giudice del merito di aver confuso l'inesistenza in concreto della messa in pericolo dei bene giuridico tutelato con l'effetto estintivo scaturente dal pagamento della sanzione pecuniaria irrogata dall'organo di accertamento della violazione. Al di là di quanto sostenuto sinteticamente in sentenza, i dicta della Corte costituzionale in proposito sono nel senso che la verifica dei rispetto del principio dell'offensività come limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore ordinario nel perseguire penalmente condotte segnate da un giudizio di disvalore implica la ricognizione della astratta fattispecie penale, depurata dalla variabilità del suo concreto atteggiarsi nei singoli comportamenti in essa sussumibili. Operata questa astrazione degli elementi essenziali della contravvenzione in esame, risulta una condotta quella dell'omessa predisposizione degli estintori che a ragione deve valutarsi come pericolosa, ossia idonea ad attentare all'incolumità dei lavoratori e di tutti coloro che si trovano ad operare nei luoghi di lavoro. Si tratta quindi di un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività proprio perché non è irragionevole la valutazione prognostica - sottesa alla astratta fattispecie criminosa - di attentato al bene giuridico protetto. E - come la Corte costituzionale ha avuto occasione di rilevare sentenze n. 360 del 1995 n. 133 del 1992 n. 333 del 1991 n. 62 del 1986 - non è incompatibile con il principio di offensività la configurazione di reati di pericolo presunto né nella specie è irragionevole od arbitraria la valutazione, operata dal legislatore nella sua discrezionalità, della pericolosità connessa alla condotta omissiva de qua. Diverso profilo è quello dell'offensività specifica della singola condotta in concreto accertata ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, proprio perché la indispensabile connotazione di offensività in generale di quest'ultima implica di riflesso la necessità che anche in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente, in difetto di ciò la fattispecie rifluisce nella figura del reato impossibile art. 49 cod. pen. . La mancanza dell'offensività in concreto della condotta dell'agente implica, secondo la Corte costituzionale, soltanto un giudizio di merito devoluto al giudice ordinario sentenze n. 360 del 1995 n. 133 del 1992 e n. 333 del 1991 cit. , il quale con un giudizio ex ante deve ritenere la condotta accertata inoffensiva e quindi dei tutto inidonea a compromettere il bene giuridico tutelato. È pertanto corretto l'approdo cui è pervenuto il tribunale, laddove ha precisato come, da un lato, l'inoffensività della condotta in concreto accertata non potesse scaturire, secondo l'assunto della ricorrente, dall'adempimento postumo e come, dall'altro, il pregiudizio insito nelle omissioni sanzionate ed accertate integrasse la necessaria offensività della condotta. 3. E' invece fondato il secondo motivo. La causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. implica che sia stato commesso un fatto conforme al tipo ed offensivo ma con un tasso di lesività tenue ed il legislatore ha dettato i criteri ai quali il giudice si deve attenere per ritenere o escludere la sussistenza della speciale causa di non punibilità, che la ricorrente ha espressamente reclamato con la precisazione delle conclusioni, ma che il tribunale ha escluso con un'affermazione apodittica senza alcuna valutazione dei parametri normativi elencati nell'art. 131-bis cod. pen. A ciò dovrà porre riparo il giudice di rinvio cui vanno trasmessi gli atti per l'esame sul punto. Il ricorso va rigettato nel resto, con la precisazione che nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, limitatamente alla verifica, come nella specie, della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio non può dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale Sez. 3, n. 50215 del 08/10/2015, Sarli, Rv. 265434 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'applicabilità dell'articolo 131-bis del codice penale e rinvia al tribunale di Grosseto. Rigetta nel resto il ricorso.