Il club è privato, ma la pubblica incolumità viene comunque violata

Integra il reato di cui all’art. 681 c.p. l’esercizio – in assenza delle prescritte autorizzazioni amministrative – di un’attività di intrattenimento e spettacolo in un locale formalmente concepito come club privato e come tale apparentemente accessibile solo a una ristretta cerchia di aderenti, ma sostanzialmente aperto senza discriminazioni a una generalità indiscriminata di soggetti, e dunque a chiunque sia disposto al pagamento della quota di adesione richiesta.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26526/16, depositata il 24 giugno. Il fatto. Viene proposto ricorso in Cassazione contro la decisione con la quale gli imputati venivano condannati per il reato di cui all’art. 681 c.p. apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo o trattenimento , consistito nell’aver tenuto aperto un locale all’interno del quale consentivano attività di intrattenimento e spettacolo senza osservare le prescrizioni dell’autorità a tutela della pubblica incolumità. Apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo o trattenimento. Per i Giudici di legittimità, il ricorso non merita accoglimento in quanto la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto già espresso dalla Corte di Cassazione, alla luce del quale integra il reato di cui all’art. 681 c.p. l’esercizio – in assenza delle prescritte autorizzazioni amministrative – di un’attività di intrattenimento e spettacolo in un locale formalmente concepito come club privato e come tale apparentemente accessibile solo a una ristretta cerchia di aderenti, ma sostanzialmente aperto senza discriminazioni a una generalità indiscriminata di soggetti, e dunque a chiunque sia disposto al pagamento della quota di adesione richiesta . Per i Giudici di legittimità, è incensurabile la valutazione compiuta dai Giudici di merito sulla natura di gestione di un locale di intrattenimento aperto al pubblico dell’attività in concreto esercitata dal circolo, soggetta perciò al rilascio delle autorizzazioni prescritte in materia di pubblica incolumità. Incolumità pubblica. La Cassazione prosegue il suo ragionamento andando a chiarire che, la norma incriminatrice di cui all’art. 681 c.p. tutela in via autonoma il bene dell’incolumità pubblica, quindi non vale ad escludere la sussistenza del reato il conseguimento e la titolarità di altre certificazioni o autorizzazioni amministrative, poste a presidio di beni diversi, come la licenza di pubblico spettacolo o quella di somministrazione di bevande, e neppure il certificato di idoneità statica dell’immobile che non incide sul profilo delle uscite di sicurezza. Nella sentenza impugnata viene dato atto, tra l’altro che, a seguito della presentazione della DIA, il funzionario responsabile del Comune aveva comunicato agli odierni ricorrenti che la dichiarazione non esonerava i titolari dall’obbligo di munirsi del nulla osta e delle autorizzazioni eventualmente prescritte da particolare disposizione di legge. Quindi, giustamente i Giudici di merito hanno ritenuto che gli imputati fossero pienamente consapevoli degli obblighi ai quali erano tenuti, agli effetti della sussistenza dell’elemento psicologico del reato. Pertanto, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 gennaio – 24 giugno 2016, n. 26526 Presidente Cortese – Relatore Sandrini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 3.02.2015 la Corte d’Appello di Trieste ha confermato la sentenza pronunciata il 28.05.2013 con cui il Tribunale di Udine aveva condannato gli imputati D.G. e M.A. , concesse ad entrambi le attenuanti generiche, alla pena sospesa di mesi 2 di arresto e Euro 150 di ammenda ciascuno, sostituita quanto alla pena detentiva dalla corrispondente pena pecuniaria di Euro 15.000 di ammenda, per il reato di cui all’art. 681 cod. pen., commesso in permanenza al omissis e consistito nell’aver tenuto aperto il locale denominato all’interno del quale consentivano, nella rispettiva qualita’ di legale rappresentante il D. e di preposto il M. attivita’ di intrattenimento e spettacolo, con esibizione di un gruppo musicale, senza osservare le prescrizioni dell’autorita’ a tutela della pubblica incolumita’, in particolare omettendo di far verificare preventivamente dalla commissione tecnica la solidita’ e la sicurezza dell’edificio e l’esistenza di idonee uscite antincendio. 2. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, personalmente, con distinti atti di impugnazione che deducono i medesimi motivi di censura e possono percio’ essere trattati congiuntamente. I motivi di impugnazione lamentano - violazione di legge in relazione all’art. 24 Cost. e carenza di motivazione, con riferimento alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, censurando l’arbitrarieta’ della decisione con cui la Corte territoriale aveva disatteso le argomentazioni dedotte nei motivi d’appello avverso la motivazione con cui il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’associazione esercitasse un’impresa commerciale anziche’ un circolo privato senza fini di lucro, cosi’ come contestato nel capo d’imputazione - violazione di legge e carenza di motivazione, in relazione all’art. 681 cod. pen., con riguardo all’erronea valorizzazione della contestualita’ del tesseramento degli avventori al momento dell’ingresso nel locale agli effetti del giudizio sulla natura di pubblico spettacolo dell’intrattenimento musicale riservato invece ai soci del circolo privato, in contrasto con la natura di associazione non riconosciuta dell’ente, aperta per statuto all’adesione di nuovi soci - violazione di legge, in relazione agli artt. 110-681 cod. pen. e 27 Cost., nonche’ vizio di motivazione, con riguardo al principio di personalita’ della responsabilita’ penale e all’estraneita’ degli imputati, nelle rispettive vesti di presidente e di vicepresidente e preposto dell’associazione, alla condotta incriminata consistita nell’aver tenuto aperto il locale - carenza di motivazione e inesigibilita’ della condotta, con riguardo all’elemento psicologico del reato, a fronte dell’avvenuta comunicazione dell’apertura del circolo mediante presentazione di D.I.A., cui aveva fatto seguito la ricezione dell’avviso di conclusione del procedimento amministrativo, equivalente all’atto autorizzativo, che non conteneva alcuna prescrizione o invito ad adeguare il locale all’attivita’ da svolgere - violazione di legge, in relazione all’art. 133 cod. pen., nonche’ vizio di motivazione, con riguardo alla misura eccessiva della pena inflitta. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso per cassazione, che si limitano a riproporre le medesime doglianze che avevano costituito oggetto dei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado e che sono state disattese dalla Corte territoriale con argomentazioni congrue e puntuali, immuni da vizi logico-giuridici, sono infondati e talora inammissibili, per le ragioni che seguono. 2. La sentenza impugnata ha chiaramente spiegato che l’indicazione, nel capo d’imputazione, del locale aperto dai ricorrenti come un circolo privato senza finalita’ di lucro adempie a una mera funzione descrittiva della denominazione formale dell’ente, e non corrisponde all’attribuzione di una qualita’ sostanziale di ente non lucrativo, avendo anzi la contestazione che e’ stata formulata in rubrica per oggetto - testuale - la condotta degli imputati consistita nello svolgimento sotto le predette, apparenti, vesti formali di una vera e propria attivita’ di intrattenimento e pubblico spettacolo, con l’esibizione di un gruppo musicale, come tale destinata a un pubblico indeterminato di avventori paganti esorbitante da una mera festa privata con semplici finalita’ ricreative e idonea percio’ ad integrare l’elemento oggettivo del reato ascritto. Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso la stessa configurabilita’ della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza lamentata dai ricorrenti, essendo il fatto ascritto in rubrica ai prevenuti conforme allo schema legale dell’art. 681 cod. pen. e alla condotta tipica dallo stesso punita, sulla quale si e’ svolta l’istruttoria dibattimentale e gli imputati sono stati chiamati a contraddire e difendersi il primo motivo di ricorso e’ dunque infondato. 3. Il secondo motivo di doglianza si esaurisce in una censura in punto di fatto dell’attivita’ di interpretazione delle risultanze istruttorie e di ricostruzione della vicenda fattuale di competenza esclusiva del giudice di merito, che non e’ sindacabile in sede di legittimita’ ove congruamente motivata, come avvenuto nel caso di specie, avendo i giudici di primo e di secondo grado posto in puntuale evidenza, sulla scorta delle emergenze della deposizione del teste oculare di p.g. C. , che l’accesso al locale in cui si svolgeva lo spettacolo musicale, mediante esibizione di una band, era consentito indistintamente a qualsiasi avventore disponibile a compilare un modulo e a versare un corrispettivo in denaro all’atto dell’ingresso, contestualmente al rilascio da parte di tre persone addette di una tessera della cui funzione i clienti del locale apparivano del tutto ignari, e che costituiva un mero espediente per aggirare gli obblighi normativi imposti ai gestori di un esercizio aperto al pubblico. La sentenza impugnata ha cosi’ fatto coerente applicazione al caso di specie del principio di diritto affermato da questa Corte, secondo cui integra il reato di cui all’art. 681 cod. pen. l’esercizio - in assenza delle prescritte autorizzazioni amministrative - di un’attivita’ di intrattenimento e spettacolo in un locale formalmente concepito come club privato e come tale apparentemente accessibile solo a una ristretta cerchia di aderenti, ma sostanzialmente aperto senza discriminazioni a una generalita’ indeterminata di soggetti, e dunque a chiunque sia disposto al pagamento della quota di adesione richiesta Sez. 1 n. 20268 del 28/04/2010, Rv. 247211 . La valutazione compiuta dai giudici di merito sulla natura - di fatto - di gestione di un locale di intrattenimento aperto al pubblico dell’attivita’ in concreto esercitata dal circolo , soggetta percio’ al rilascio delle autorizzazioni prescritte in materia di tutela dell’incolumita’ pubblica, risulta dunque incensurabile dalla Corte di legittimita’, e la doglianza dei ricorrenti sul punto si rivela manifestamente infondata. 4. Anche il terzo motivo di ricorso non supera la soglia dell’ammissibilita’. La doglianza dei ricorrenti omette, sul punto, di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, che non ha attribuito agli imputati una sorta di responsabilita’ di posizione peraltro compatibile con la struttura colposa del reato, di natura contravvenzionale, di cui all’art. 681 cod. pen. derivante dal mero dato formale della carica ricoperta dagli imputati di presidente D. e di vicepresidente M. del circolo , ma ha valorizzato il dato di fatto rappresentato dall’accertata presenza di entrambi all’interno del locale in occasione del sopralluogo di p.g. del omissis , cosi’ da risultare direttamente e personalmente consapevoli dell’attivita’ concretamente esercitata e compartecipi della relativa gestione. La natura aspecifica della doglianza, che discende dall’assenza di correlazione tra le ragioni argomentative della sentenza impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, integra dunque una causa tipica di inammissibilita’ del ricorso per cassazione Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012, Rv. 253893 . 5. Il quarto motivo di censura e’ infondato. La titolarita’, allegata dai ricorrenti per effetto della presentazione della dichiarazione di inizio attivita’ al comune di Udine, di una mera autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande, corrispondente a una generica licenza di pubblico esercizio, non esonerava gli imputati dall’obbligo di munirsi in via preventiva dell’autorizzazione necessaria all’esercizio di trattenimenti danzanti e soprattutto - per quanto qui interessa - della licenza di agibilita’ del locale in cui si svolgeva l’attivita’, che deve essere rilasciata dalla commissione comunale di vigilanza previa verifica della solidita’ e della sicurezza dell’edificio e dell’esistenza di uscite pienamente adatte a sgomberare prontamente il locale in caso di incendio, prescritta dall’art. 80 del T.U.L.P.S. a tutela della pubblica incolumita’ Sez. 1 n. 46400 del 24/10/2013, Rv. 257301 . Questa Corte ha chiarito che la norma incriminatrice di cui all’art. 681 cod. pen. tutela in via autonoma il bene dell’incolumita’ pubblica, cosi’ che non vale a escludere la sussistenza del reato il conseguimento e la titolarita’ di altre certificazioni o autorizzazioni amministrative, poste a presidio di beni diversi, come la licenza di pubblico spettacolo o quella di somministrazione di bevande, e neppure il certificato di idoneita’ statica dell’immobile che non incide sul profilo delle uscite di sicurezza Sez. F n. 38028 del 28/08/2014, Rv. 261095 Sez. 1 n. 25519 del 22/06/2005, Rv. 232108 . La sentenza impugnata ha dato atto che, a seguito della presentazione della d.i.a., il funzionario responsabile del comune di Udine aveva comunicato ai responsabili del circolo che la relativa dichiarazione non esonerava i titolari dall’obbligo di munirsi dei nulla osta e delle autorizzazioni eventualmente prescritte da particolare disposizioni di legge, facendo specifico riferimento in data 4.01.2010 alla necessita’ - in caso di esercizio di attivita’ di intrattenimento e spettacolo - di ricorrere preliminarmente alla verifica di agibilita’, solidita’ e sicurezza dei locali, da compiersi proprio ai sensi dell’art. 80 del T.U.L.P.S. cosi’ che correttamente la Corte territoriale ha ritenuto gli imputati pienamente consapevoli degli obblighi ai quali erano tenuti, agli effetti della sussistenza dell’elemento psicologico del reato. 6. Manifestamente infondata e’, infine, la doglianza sulla misura della pena dedotta nell’ultimo motivo di ricorso, che si risolve in una tipica censura di fatto riguardante una valutazione di competenza del giudice di merito, che ha congruamente argomentato l’irrogazione di una pena superiore al minimo edittale con la gravita’ dell’esposizione a pericolo del bene protetto, in concreto accertata con riguardo al numero elevato di persone di cui era stata riscontrata la presenza dalla p.g. nel locale privo delle necessarie condizioni di sicurezza. 7. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.