Rabbia verso una donna musulmana: “Ti faccio portare via i figli” è una minaccia a sfondo razziale

Condannato un cittadino italiano, fondatore di un’associazione schierata contro l’ipotetica realizzazione di una moschea. Inequivocabili i comportamenti da lui tenuti nei confronti di due donne magrebine.

Ti faccio portare via i figli”. Parole come pietre, parole che, per i giudici, rappresentano a tutti gli effetti una minaccia. A rendere ancora più grave, poi, lo sfogo verbale di un cittadino italiano, il fatto che la rabbia manifestata verbalmente sia stata diretta nei confronti di due donne magrebine. Evidente l’aggravante razzistica nel comportamento tenuto dall’uomo Cassazione, sentenza n. 23592/16, sezione Quinta Penale, depositata il 7 giugno . Razzismo. Scenario della vicenda è il Nord dell’Italia. Lì nasce una associazione per contrastare l’ipotizzata realizzazione di una moschea. Inevitabile l’attenzione dei media. Ma a colpire è anche una vicenda privata del leader del movimento. L’uomo viene accusato di stalking a sfondo razziale nei confronti di due donne magrebine. Per i giudici d’appello, però, è più corretto parlare di ingiurie” e minacce”. Ciò che non appare contestabile, però, è la condanna per il fondatore dell’associazione. Su questo punto concordano ora anche i Magistrati della Cassazione. Nessun dubbio, difatti, sul significato della frase Ti faccio portare via i figli” essa ha prospettato un male ingiusto nei confronti di una delle due donne straniere. E evidente è anche il razzismo che caratterizza quelle parole, soprattutto tenendo presenti i comportamenti dell’uomo, comportamenti indicativi di una sua spiccata avversione per le persone di fede musulmana .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 gennaio – 7 giugno 2016, n. 23592 Presidente Vessichelli – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 27 gennaio 2015 la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della pronunzia di primo grado emessa dal Tribunale di Aosta nel processo a carico di G.M.P.F., ha derubricato le originarie imputazioni di atti persecutori nei reati di cui agli artt. 81, 594 e 612 comma 1 cod. pen., aggravati ex art. 3 d.lvo 122/1993, in danno di S.B. e H.B 2. L'imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, ha proposto ricorso articolato come segue. Vengono denunziati vizi di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei reati di ingiurie e minacce. Sostiene il ricorrente che, nel derubricare i reati di stalking in quelli di ingiurie e minacce, la Corte territoriale non ha motivato sugli elementi probatori fondanti la decisione, considerata anche la inattendibilità delle persone offese, le cui dichiarazioni non sono state riscontrate e comunque sono smentite da quelle rese dai testi a difesa. Vengono quindi indicati elementi a sostegno della tesi difensiva, che minerebbero la ricostruzione dei fatti come operata sulla base delle dichiarazioni delle persone offese. Viene altresì censurata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto configurabile la fattispecie della minaccia nella frase ti faccio portare via i figli . Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Il ricorrente si duole in via generale della valutazione delle risultanze processuali fatta dai giudici di merito, contestando in particolare l'attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese. Si tratta di censure non valutabili in questa sede, giacché in buona parte implicanti valutazioni di merito e comunque finalizzate a una rilettura dei fatti. A questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce dei nuovo testo dell'art. 606, lettera e , cod. proc. pen. la modifica normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia infatti inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, la cui mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal testo dei provvedimento impugnato, ma anche da altri atti dei processo specificamente indicati è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorché si introduce nella motivazione un'informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Solo attraverso l'indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567 . Nel caso in esame non è stato dedotto il travisamento della prova e l'esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la motivazione sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza, proprio con riferimento alla valutazione sia delle risultanze processuali, dalle quali emerge la responsabilità dell'imputato, sia della conseguente infondatezza delle argomentazioni difensive. La Corte territoriale, infatti, ha puntualmente analizzato gli esiti dell'istruttoria dibattimentale di primo grado, dando atto in particolare delle dichiarazioni dei testi escussi e della attendibilità delle persone offese, il cui racconto risulta riscontrato da altri elementi, pure indicati dai giudici di merito pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata . 2. Manifestamente infondata è la censura che peraltro non risulta specificamente dedotta con l'atto di appello secondo la quale non integrerebbe la fattispecie di cui all'art. 612 cod. pen. la frase ti faccio portare via i figli . E' del tutto evidente la prospettazione del male ingiusto che con tale affermazione l'imputato ha posto in essere nei confronti della donna vittima della sua condotta. Infatti, così come desumibile anche dalla riconosciuta sussistenza della aggravante ex art. 3 d.lvo n. 122/1993, la vicenda è maturata nell'ambito di comportamenti posti in essere dal F. in danno di donne magrebine, comportamenti indicativi di una sua spiccata avversione per le persone di fede musulmana, come evidenziato dai giudici di merito sulla base delle risultanze processuali si vedano in particolare pag. 5 della sentenza di appello e 7 della sentenza di primo grado . 3. Sulla base delle suesposte considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese dei procedimento e, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo fissare in mille euro, tenuto conto dei profili di evidente colpa relativi alla manifesta inammissibilità dell'impugnazione cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.