Il giudice di seconde cure ribalta la sentenza di assoluzione: necessaria la motivazione c.d. rafforzata

Nell’ipotesi di assoluzione in primo grado e condanna in secondo grado, ai giudici dell’appello è imposto un obbligo di motivazione c.d. rafforzata per giustificare il differente apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, sulla base di elementi di prova diversi o diversamente valutati a confutazione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie del primo grado di giudizio. D’altronde, gli imputati assolti in primo grado, che ovviamente non hanno presentato appello, non hanno più la possibilità di confutare il nuovo giudizio nel merito, se non nei limiti del vizio motivazionale di cui all’art. 606, comma1, lett. e c.p.p

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 19175/2016, depositata il 9 maggio u.s., mediante una pronuncia avente ad oggetto un omicidio colposo in ambito di responsabilità medica, torna a statuire l’obbligo di c.d. motivazione rafforzata incombente sul giudice d’appello che condanna l’imputato assolto in primo grado. Il caso. La Corte d’appello di Catania, in riforma della sentenza del Tribunale territoriale, a seguito di appello proposto tanto dal Procuratore Generale quanto dalle costituite parte civili, dichiarava la responsabilità penale degli imputati per il delitto di cui all’articolo 589 c.p. con condanna alla pena di anni uno di reclusione. Nella specie, l’addebito contestato ai prevenuti è quello di cui agli articolo 113 e 589 c.p. poiché, per colpa consistita in negligenza ed imperizia cagionavano il decesso di una donna, avvenuto per arresto irreversibile delle funzioni vitali consecutivo a shock da peritonite in paziente con malattia diverticolare inverterata. Più segnatamente, era accaduto che in data 29 ottobre 2008 il medico di turno presso il P.S. dell’Ospedale di Giarre diagnosticava alla paziente una colica renale sinistra”, praticandole terapia antispastica e antidolorifica per poi disporne le dimissioni. Il 30 ed il 31 ottobre 2008, invece, tre specialisti urologi in servizio presso l’Ospedale di Acireale, omettevano di valutare correttamente i segni clinici inequivocabili della peritonite, nonché di procedere ad accertamenti strumentali approfonditi che avrebbero immediatamente imposto una consulenza chirurgica tempestiva, idonea ad evitare l’evento mortale. Secondo l’accusa, dunque, i tre medici specialisti avrebbero commesso, in cooperazione tra loro, l’omicidio colposo della propria paziente. La Corte d’appello sicula, a differenza di quanto concluso dal giudice di prime cure, ha ritenuto fondata la responsabilità penale dei tre medici. Avverso siffatto provvedimento propongono ricorso per cassazione i tre imputati, a mezzo dei propri difensori. Tutti i motivi di doglianza si concentrano, sostanzialmente, nel vizio motivazionale che, secondo i ricorrenti, inficia la sentenza impugnata in punto di riconoscimento della responsabilità penale secondo i principi della responsabilità medica omissiva i giudici di secondo grado avrebbero fornito un iter argomentativo scarno e non conforme al principio del necessario rafforzamento in caso di provvedimento difforme rispetto all’esito assolutorio di primo grado. Le censure sollevate impongono univoco scrutinio. Ebbene, i Giudici di Piazza Cavour ritengono pienamente condivisibili le tesi difensive, poiché la motivazione resa dalla Corte d’appello di Catania è claudicante in ordine al superamento del confine del ragionevole dubbio. In particolare, gli elementi posti alla base del ribaltamento dell’apprezzamento probatorio non presentano un’argomentazione rafforzata, assolutamente necessaria, così come rappresentato anche dalla giurisprudenza europea, nell’ipotesi in cui il giudice d’appello si discosti dalla conclusione del primo giudicante. Nella specie, in una motivazione ineccepibile” sotto tale aspetto, la Corte d’appello dovrà valutare il grado della colpa attribuibile ai medici senza tralasciare alcun dato della vicenda, anche alla luce della complessità del quadro patologico del paziente, della difficoltà di legare le informazioni cliniche, della possibilità di ricondurre la condotta omissiva colposa in confini di lievità, con ogni conseguenza giuridica del caso. Per tali motivi, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata ad altra sezione della Corte territoriale per un nuovo esame della questione.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 21 aprile 9 maggio 2016, n. 19175 Presidente Blaiotta – Relatore Tanga Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 2437/15 del 14/07/2015, la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza del Tribunale di Catania del 13/02/2014, appellata dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catania e dalle parti civili costituite, nei confronti di D.M.G. , V.G. e A.G. , dichiarava gli imputati colpevoli del reato loro ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, li condannava alla pena di anni uno di reclusione ciascuno in relazione al delitto di cui all’articolo 589 c.p 1.1. La Corte territoriale riteneva pienamente provata la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato di cui agli artt. 113, 589 c.p. poiché, per colpa consistita in negligenza ed imperizia segnatamente dopo che il 29/10/2008 il medico di turno presso il P.S. Presidio Ospedaliero di aveva diagnosticando alla paziente R.L. , colica renale sinistra e le aveva praticato terapia antispastica e antidolorifica per poi disporne le dimissioni, il 30 ottobre 2008 e il 31 ottobre 2008 D.M. , A. e V. , quali specialisti urologi in servizio presso l’ospedale di , omettendo di valutare correttamente i segni clinici inequivocabili quali grave rialzo febbrile e dolori addominali, diverticolite del sigma e conseguente occlusione intestinale, oltre che il risultato dell’esame radiologico che evidenziava la presenza di livelli idroaerei in cavità peritoneale ed altresì omettendo di eseguire accertamenti diagnostici approfonditi quali tac o ecografia ed altresì richiedere tempestivamente consulenza tale da impedire con elevata probabilità l’evento, cagionavano il decesso di R.L. per arresto irreversibile delle funzioni vitali consecutivo allo shock e peritonite in paziente con malattia diverticolare inverterata. 2. Avverso tale sentenza d’appello, propongono ricorso per cassazione D.M.G. , V.G. e A.G. , a mezzo dei propri difensori, lamentando in sintesi giusta il disposto di cui all’articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p. D.M.G. I vizi motivazionali. Deduce che la sentenza erroneamente si fonda sulla presunta omissione di una diagnosi differenziale tra la patologia urologica e quella addominale. La Corte ha del tutto omesso di valutare la consulenza medico-legale di parte del Prof. M.M. , già direttore della clinica di urologia dell’Università di , e del Dott. Di.Ma.Lu. i quali, già nella relazione del 21/06/2013 e, successivamente, nelle dichiarazioni rese alle udienze del 21/05/2013 e del 02/07/2013, hanno evidenziato che i c.d. livelli idroaerei si palesano con tutta evidenza all’esame radiologico dell’addome anche nei pazienti affetti da colica renale e può essere indice rilevatore della necessità di una diagnosi differenziale solo in presenza di dolori addominali e/o di addome acuto. Tale ultima evenienza addome acuto si è verificata solo dopo l’allontanamento del Dott. D.M. dall’ospedale posto che D.M. cessò il turno alle ore 18.30 del 30/10/2008 e l’insorgenza di un nuovo stato doloroso accompagnato da vomito , è stato registrato nella cartella clinica della paziente R. la vittima solo alle ore 18.45 dal medico che ha sostituito D.M. e cioè il Prof. A. . Né, come per altro affermato dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, vi è prova che il D.M. abbia visionato la radiografia che mostrava la presenza di livelli idroaerei in addome, elemento decisivo che doveva indirizzare verso una diagnosi differenziale II violazione di legge e vizi motivazionali con riferimento alla sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta omissiva ascritta all’imputato D.M.G. e l’evento. Deduce che il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico non può che determinare l’assoluzione dell’imputato. La Corte territoriale non ha considerato neppure le affermazioni provenienti dai periti del G.I.P. T. e Mo. i quali, nell’elaborato scritto a loro firma, escludevano la certezza di un nesso causale tra il ritardo diagnostico e l’evento. Ciò esclude che il giudice dell’appello abbia fornito una motivazione rafforzata per ribaltare la sentenza assolutoria di quello di primo grado non avendo spiegato perché, dopo il confronto puntuale con quanto di diverso ritenuto ed argomentato dal giudice che ha assolto, il proprio apprezzamento fosse l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano caratterizzato il primo giudizio minandone conseguentemente la permanente sostenibilità III violazione di legge e vizi motivazionali con riferimento determinazione della pena. Deduce che la sentenza appare viziata da mancanza della motivazione in quanto si è discostata sensibilmente dal minimo edittale sei mesi senza addurre alcuna motivazione in ordine alla congruità della misura della pena con riferimento a tutti i parametri previsti dall’articolo 133 c.p V.G. IV violazione di legge e vizi motivazionali. Deduce che la corte dell’appello non ha motivato risoluzione positiva del rapporto di causalità per non averlo mai affrontato in tutta la sua variegata sfaccettatura. La stessa sentenza impugnata dà atto che il V. subentrò alle 14,13 del 31/10/2008 pag. 7 riga 9 al posto del dr. A. mentre i sintomi per orientarsi verso una differente patologia erano divenuti evidenti alle 12,30 del 31/10/08. Proprio a quell’ora le 12,30 la vittima era stata visitata dalla dott.ssa F. , specializzanda in urologia v.pag.9 la quale accogliendo le lamentele della paziente constatava addome poco trattabile e intensamente meteorico facendo somministrare, via flebo, il farmaco Debridat, stimolante la peristalsi trattandosi di un pro cinetico. Tale farmaco per le ore successive confondeva il quadro ovvero il malessere intestinale determinando un miglioramento della diverticolite a livello sintomatologico le coliche causano questi effetti . Gli effetti del Debridat sulla possibilità di non far emergere sintomi di sub-occlusione disvelanti, nella specie, la concorrente patologia non sono stati indagati in sentenza pur in presenza di indiscussi indici probatori che ne conclamano l’importanza per la decisione riguardo la responsabilità del ricorrente. Ne deriva che il V. non solo non partecipò alla visita delle 12,30 come erroneamente sostenuto in sentenza ma, essendo subentrato in servizio solo alle ore 14,13, non avrebbe potuto valutare la sussistenza dell’occlusione a causa degli effetti del Debridat. Né la corte motiva in ordine al successivo intervento chirurgico maldestro a seguito del quale, come già detto dai periti, non essendo stata asportata la causa settica, si ingenerò lo shock tossico esiziale. Né, infine, motiva in ordine alla imprescindibile gravità della colpa così come previsto dal D.L. 13 settembre 2012, n. 158 convertito in Legge 8 novembre 2012, n. 189. V Riguardo la provvisionale stabilita chiede che venga sospesa la liquidazione. Deduce che la cifra complessivamente considerata e le condizioni economiche del ricorrente allo stato è pensionato e il trattamento di quiescenza è l’unica fonte di reddito personale e familiare fanno fondatamente ritenere che l’esecuzione comporterebbe pregiudizio grave e irreparabile a carico del ricorrente. A.G. VI violazione di legge e vizi motivazionali. Deduce che, dalle dichiarazioni dei testi escussi dott.ri S.R. e Ra.Gi. , consulenti del P.M., nonché, i testi dott.ssa F.M. , specializzanda in urologia in servizio presso il reparto di urologia dell’ospedale di il giorno 31 ottobre 2008, l’infermiera S.M. , in servizio presso il reparto urologia il giorno 31 ottobre 2008, la dott.ssa Fa.Ir. , specializzanda in urologia in servizio presso il reparto urologia e in sala operatoria il giorno 31 ottobre 2008 e il consulente Prof. M.M. , emerge l’assenza di qualsivoglia contributo causale e/o concausale di qualunque natura e specie fornito dall’A. nella causazione dell’evento morte della sig.ra R. . Precisa che il ricorrente effettuava il turno di servizio dalle ore 18.31 alle 21.45 del 30/10/2008, con reperibilità notturna, per poi rimontare il 31/10/2008 dalle ore 7.15 e smontare alla ore 14.13 nei pazienti affetti da colica renale può subentrare un indice rilevatore della necessità di una diagnosi differenziale solo in presenza di dolori addominali e/o di addome acuto. Tale sintomo si verificò non prima delle ore 12.30 del 31/10/2008. L’odierno ricorrente in quel periodo di tempo si trovava in sala operatoria, ove rimaneva dalle ore 9.00 e sino alla fine del turno alle ore 14.13, per l’esecuzione di diversi interventi programmati, come comprovato in giudizio attraverso la produzione del registro di sala operatoria in base alle escusse testimonianze cfr. testimonianze F. , Sc. e Fa. , l’addome della R. si rilevava intensamente meteorico e poco trattabile alle ore 12.30 del 31/10/2008, quando, visitata dott.ssa F.M. , specializzanda urologa all’epoca dei fatti presso l’Ospedale di Acireale, le veniva dalla stessa del tutto autonomamente e, dunque, all’insaputa dell’odierno ricorrente, prescritta e fatta somministrare terapia Debridat, farmaco che stimola la peristalsi intestinale, circostanza, quest’ultima, documentata in atti. La stessa dott.ssa F. , in sede di escussione dibattimentale, aveva dichiarato di non aver ritenuto di informare il medico di turno della cosa non avendola valutata di particolare interesse e preoccupazione e comunque la terapia aveva avuto i suoi effetti visto che dopo la somministrazione la sig.ra R. aveva emesso una modesta quantità di feci liquide. Da tutto ciò deriva che il ricorrente mai ebbe l’occasione di esaminare la vittima in condizioni tali da far presumere una diagnosi differenziata rispetto a quella, da altri, precedentemente valutata. Afferma, infine, la rilevanza del maldestro intervento chirurgico di cecostomia decompressiva che non rimuoveva il tratto di intestino infetto come sarebbe avvenuto con maggiori possibilità di successo con l’intervento di Hartman. Ribadisce, comunque, sul punto quanto affermato dai periti secondo i quali mancano dati precisi relativi alla sopravvivenza dei pazienti con addome acuto, essendo estremamente variabile tale dato in particolare il prof. Mo. ha precisato che, pur non negando che in caso di intervento chirurgico più tempestivo le probabilità di sopravvivenza sarebbero aumentate, non può affermarsi che una condotta esente da errori e omissioni avrebbe comprovato con criterio di elevata probabilità la sopravvivenza della R. . Considerato in diritto 3. I ricorso è fondato nei limiti e termini di cui appresso. 3.1. Data l’interconnessione logica di tutti i motivi essi vanno scrutinati congiuntamente. 4. Giova, preliminarmente, rammentare che, nell’ipotesi di assoluzione in primo grado e condanna in secondo grado, ai giudici del secondo grado, è imposto un obbligo di motivazione c.d. rafforzata per giustificare il differente apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, sulla base di elementi di prova diversi o diversamente valutati a confutazione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie del primo giudizio. Ciò anche in considerazione del fatto che gli imputati che, poiché assolti, non hanno presentato appello non hanno più la possibilità di confutare il nuovo apprezzamento di merito, se non nel limitato ambito dell’impugnazione della motivazione ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera e , c.p.p. Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231674 sez. 6, n. 22526 del 10/03/2015 . 4.1. Nel caso che occupa il giudice di appello, ribaltando la decisione assolutoria emessa in primo grado, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero e delle parti civili, ha ritenuto la sussistenza del reato contestato. A sostegno di detta valutazione, la Corte ha richiamato il medesimo compendio probatorio esaminato dal primo giudice, procedendo alla disamina delle risultanze istruttorie nonché delle specifiche situazioni costituenti oggetto delle deposizioni. L’operazione di riesame, gravante sul giudice dell’appello, nel caso in scrutinio, è stata, invero, effettuata in maniera incisiva ma non completa conferendo, riguardo alle parti non condivise della prima sentenza, una diversa struttura della motivazione che ha dato solo parzialmente ragione delle difformi conclusioni assunte ex plurimis, Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327 . 5. Nella specie la motivazione claudica, e perciò insinua il sospetto del mancato superamento del confine del ragionevole dubbio , nei seguenti punti A anche a causa della mancata rinnovazione dibattimentale, non appare delineata con la dovuta certezza l’esigibilità di una diagnosi differenziale tra la patologia urologica e quella addominale almeno sino alle ore 12,30 del 31/10/2008 B alla stregua dei vigenti ed applicabili parametri di cui al D.L. 13 settembre 2012, n. 158 convertito in Legge 8 novembre 2012, n. 189, non risulta solida la motivazione, oltre che sulla sussistenza del nesso casale, anche in ordine alla sussistenza di una colpa grave in capo a ciascuno degli imputati, specie se si considera che il D.M. cessò il turno alle ore 18.30 del 30/10/2008 e l’insorgenza di un nuovo stato doloroso accompagnato da vomito , è stato registrato nella cartella clinica della paziente R. la vittima solo alle ore 18.45 dal medico che ha sostituito D.M. e cioè il Prof. A. la presenza di livelli idroaerei in addome è stata valutata, senza la dovuta critica alle diverse conclusioni dei consulenti, quale elemento decisivo che doveva indirizzare verso una diagnosi differenziale in particolare permane l’incertezza in ordine al fatto che nei pazienti affetti da colica renale possa subentrare la necessità di una diagnosi differenziale solo in presenza di dolori addominali e/o di addome acuto i periti del G.I.P. T. e Mo. , nell’elaborato scritto a loro firma, escludevano la certa sussistenza di un nesso causale tra il ritardo diagnostico e l’evento e il giudice dell’appello non si confronta con tale evenienza il V. subentrò alle 14.13 del 31/10/2008 al posto dell’A. mentre i sintomi per orientarsi verso una differente patologia erano divenuti evidenti alle 12.30 del 31/10/08 mentre, a seguito della somministrazione del farmaco Debridat da parte di altro medico, la F. proprio alle ore 12.30, i successivi effetti di quel farmaco determinavano un miglioramento delle condizioni della paziente dato che, dopo la somministrazione la sig.ra R. , aveva emesso una modesta quantità di feci liquide fatto, questo, non valutato come compatibile o meno con un blocco intestinale l’A. effettuava il turno di servizio dalle ore 18.31 alle 21.45 del 30/10/2008, con reperibilità notturna, per poi rimontare il 31/10/2008 dalle ore 7.15 e smontare alla ore 14.13 e rimaneva in sala operatoria dalle ore 9.00 e sino alla fine del turno alle ore 14.13, per l’esecuzione di diversi interventi programmati l’addome della R. si rilevava intensamente meteorico e poco trattabile alle ore 12.30 del 31/10/2008, quando, visitata dalla dott.ssa F. , specializzanda urologa, le veniva dalla stessa del tutto autonomamente e, dunque, all’insaputa dell’A. , prescritta e fatta somministrare terapia Debridat con gli effetti sopra riportati né completa appare la valutazione circa il rispetto, da parte dei ricorrenti, delle linee guida in materia/ che costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato e rappresentano un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche talché il terapeuta complessivamente avveduto ed informato, attento alle linee guida, non sarà rimproverabile quando l’errore sia lieve, ma solo quando esso si appalesi rimarchevole sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013 . 6. Mette conto, a questo punto, rammentare che, considerato che la colpa costituisce la violazione di un dovere obiettivo di diligenza, un primo parametro attinente al profilo oggettivo della diligenza riguarda la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare cui ci si doveva attenere. 6.1. In buona sostanza, è necessario valutare di quanto gli imputati si sono discostati da tale regola, quanto fosse prevedibile in concreto e per ciascuno di essi la realizzazione dell’evento, quanto fosse in concreto evitabile la sua realizzazione. 6.2. Per quanto concerne il grado della colpa sotto il profilo soggettivo che riguarda l’agente in concreto, sarà necessario determinare la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dello stesso quanto più adeguato il soggetto all’osservanza della regola e quanto maggiore e fondato l’affidamento dei terzi, tanto maggiore il grado della colpa. Il quantum di esigibilità dell’osservanza delle regole cautelari costituisce fattore importante per la graduazione della colpa. Ulteriore elemento di rilievo sul piano soggettivo è quello della motivazione della condotta. Infatti, un trattamento terapeutico sbrigativo e non appropriato è meno grave se compiuto per una ragione d’urgenza. 6.3. In altri termini, alla luce della vigente disciplina, assumono rilevanza penale esclusivamente le condotte connotate da colpa grave, poste in essere nell’attuazione in concreto delle direttive scientifiche, sancite dalle linee guida. Insomma, nell’indicata sfera fattuale, la regola d’imputazione soggettiva è ora quella della sola colpa grave mentre la colpa lieve è penalmente irrilevante. 6.4. Di tutto ciò deve tenersi conto anche ai fini della rideterminazione della pena. 7. Conclusivamente, in una ineccepibile motivazione rafforzata non potrà mancare la valutazione, oltre che di quanto detto ai punti che precedono, della complessità, dell’oscurità del quadro patologico, della difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche, del grado di atipicità o novità della situazione data. E quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del terapeuta che, pur uniformandosi ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e determini la negativa evoluzione della patologia sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013 . 8. Da tutto quanto esposto, ritenuti in ciò assorbiti gli altri motivi di doglianza, deriva l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Catania, per la valutazione della istanza formulata dal V. in ordine alla sospensione dell’esecutività della provvisionale e la regolamentazione delle spese tra le parti per quanto attiene al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Catania cui demanda pure la regolamentazione delle spese tra le parti per quanto attiene al presente giudizio di legittimità.