La conversione della pena è sempre preclusa al conducente ubriaco che cagiona un sinistro stradale

Anche nel caso in cui l’aggravante di cui all’art. 186, comma 2-bis, cds sia giudicata subvalente od equivalente rispetto ad altre circostanze, l’imputato non può beneficiare della conversione della pena in lavori di pubblica utilità, così come previsto dal comma 9-bis della suddetta norma, atteso che il giudizio di bilanciamento tra circostanze non elide la sussistenza dei profili di particolare allarme sociale connessi all’aggravante in parola.

I Giudici della Corte di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi, con la sentenza n. 18211 del 2 maggio u.s., in materia di guida in stato di ebbrezza, con riguardo all’efficacia ostativa dell’aggravante di cui all’art. 186, comma 2- bis , cds rispetto alla concessione del beneficio della conversione della pena in lavori di pubblica utilità il cui buon esito, ai sensi del comma 9- bis dell’art. 186 cds, comporta effetti premiali di non trascurabile rilevanza . Il caso. La Corte d’appello di Brescia confermava la sentenza pronunciata dal Tribunale territoriale, con la quale un soggetto accusato di guida in stato di ebbrezza, che nell’occasione aveva provocato un sinistro stradale, veniva condannato alla pena di mesi sei di arresto ed euro 1.500,00 di multa. Avverso siffatto provvedimento ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, sollevando alcune censure di carattere strettamente processuale. In particolare, qui interessa soffermarsi sul quarto motivo di ricorso, con cui la difesa eccepisce l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 69 c.p. e 186, comma 9- bis , cds rileva il ricorrente l’irragionevolezza della valenza ostativa della circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale laddove il giudice, in sede di giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p., la consideri subvalente. Il ricorso è infondato. Gli Ermellini della Quarta Sezione Penale non accolgono le doglianza difensive. Superati i primi tre motivi di censura con argomentazione celere, il Collegio concentra l’attenzione sulla lamentata inosservanza o erronea applicazione della legge penale nei termini innanzi esposti. La questione è infondata. Nella giurisprudenza di legittimità è principio granitico quello secondo cui il giudizio di comparazione esplica i propri effetti solo in ordine alla determinazione della pena, restando inalterati gli ulteriori aspetti. Dunque, il giudizio di bilanciamento delle circostanze, di per sé, non influisce sugli istituti che non si ricollegano al quantum della pena inflitta, nel senso che le circostanze soccombenti od equivalenti continuano a produrre gli effetti previsti dalla legge, dal momento che anche il giudizio di soccombenza non fa venir meno la sussistenza in concreto della circostanza subvalente ma semplicemente la paralizza e la rende non applicata quod penam . E’ innegabile che sussistono casi in cui e previsto, ex lege , il collegamento di alcuni effetti specifici a talune circostanze, come nel caso della recidiva reiterata che comporta la concessione delle misure alternative non più di una volta. Tuttavia, tale ipotesi non riguarda l’aggravante contemplata dall’art. 186, comma 2- bis , cds. Invero, la littera legis , nel caso che ci occupa, non richiede la concreta applicazione della circostanza aggravante ai fini dell’esplicazione dei propri effetti ostativi. Oltretutto, sulla ragionevolezza di tale previsione normativa si è anche espresso il Giudice delle Leggi Corte Cost., ord. n. 247 del 25 settembre 2013 , perché le conseguenze discendenti dall’aggravante in disamina sono state scientemente volute dal legislatore in ragione della gravità del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice. In definitiva, in ossequio ai principi già esposti in precedenti arresti giurisprudenziali, con la sentenza in commento la Suprema Corte ribadisce che, in materia di guida in stato di ebbrezza, il giudizio di bilanciamento tra circostanze non elide la sussistenza dei profili di particolare allarme sociale connessi all’aggravante contemplata dal comma 2- bis dell’art. 186 cds.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 aprile - 2 maggio 2016, numero 18211 Presidente Bianchi - Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Brescia, che aveva condannato P.V.G. alla pena sospesa di mesi sei di arresto ed euro 1.500,00 di ammenda per il reato previsto dall’articolo 186, commi 2 lett.c e 2-bis, d.lgs. 30 aprile 1992, numero 285. 2. P.V.G. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi a inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 354 cod.proc.penumero e dell’articolo 13 Cost. - inosservanza di norme processuali stabilite a pena d’inutilizzabilità. Il ricorrente deduce l’inutilizzabilità del documento attestante il risultato del prelievo ematico, sostenendo che la relativa eccezione era stata tempestivamente dedotta, in quanto eseguito su persona in stato confusionale che non era, pertanto, in grado di opporsi al controllo ed al trattamento sanitario. Il ricorrente sottolinea che all’udienza dibattimentale del 15 dicembre 2014 il Procuratore Generale nulla ha eccepito in merito alla tempestiva deduzione dell’inutilizzabilità dell’atto e ritiene che l’acquisizione di un documento al fascicolo dibattimentale non impedisca alla parte di argomentare sulla falsità di esso b omessa statuizione sul mancato avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore - inosservanza o erronea applicazione degli articolo 354, 114 disp.att. cod.proc.penumero , 182, comma 2, cod.proc.penumero Il ricorrente deduce che la relativa nullità era stata tempestivamente eccepita in sede di discussione nel giudizio di primo grado e che su tale eccezione i giudici di merito non si sono pronunciati c inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 2700 cod. civ., degli articolo 533 e 530, comma 2, cod.proc.penumero Nel ricorso si contesta la legittimità dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale la data del referto sarebbe frutto di errore materiale pur riconoscendosi la natura di atto fidefaciente del documento. Essendo altrettanto plausibile l’ipotesi che il documento sia stato erroneamente associato al nome dell’imputato, si assume, il giudice di merito avrebbe dovuto assolvere l’imputato quantomeno ai sensi dell’articolo 530, comma 2, cod.proc.penumero d inosservanza o erronea applicazione degli articolo 69 cod. penumero e 186, comma 9-bis, cod. strada. Secondo il ricorrente è irragionevole ritenere che la valenza ostativa alla sostituzione della pena derivante dall’aver provocato un incidente stradale possa operare anche qualora la circostanza aggravante prevista dall’articolo 186, comma 2-bis, cod. strada sia stata ritenuta subvalente in sede di giudizio di bilanciamento. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2. Con riferimento al tema della utilizzabilità del risultato dell’accertamento ematico, al quale sono riconducibili il primo ed il secondo motivo di ricorso, la Corte di Appello ha, correttamente, opposto la preclusione ad ogni ulteriore eccezione derivante dall’assenza di obiezioni da parte della difesa all’udienza del 6 febbraio 2014, quando la pubblica accusa ha chiesto che il documento fosse acquisito agli atti del fascicolo per il dibattimento. Si tratta di rilievo conforme al dettato normativo, segnatamente alla previsione dell’articolo 431, comma 2, cod.proc.penumero , che consente di inserire nel fascicolo per il dibattimento taluni atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero nel caso concreto, dunque, la linea difensiva espressa con l’accettazione che il risultato dell’accertamento ematico venisse inserito nel fascicolo dibattimentale, in aggiunta al verbale che ne fa parte in base al combinato disposto degli articolo 357, comma 2, lett. e e 431, comma 1, lett. b cod.proc.penumero , è stata ritenuta preclusiva di ogni eccezione inerente all’utilizzabilità dell’atto. 2.1. Peraltro, anche di recente questa Suprema Corte ha affermato che il consenso delle parti all’acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti in quello del pubblico ministero può formarsi tacitamente mediante una manifestazione di volontà espressa di chi la propone e l’assenza di opposizione della controparte, qualora il complessivo comportamento processuale di quest’ultima sia incompatibile con una volontà contraria Sez. 3, numero 1727 del 11/11/2014, dep.2015, Pistis, Rv. 261927 . Giova, inoltre, precisare che l’inutilizzabilità di atti erroneamente inseriti nel fascicolo del dibattimento non è automatica, ma consegue alla tempestiva eccezione di parte Sez. 5, numero 15624 del 15/12/2014, dep. 2015, De Luca, Rv. 263261 Sez. 3, numero 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250806 Sez. 2, numero 23608 del 11/05/2006, La Barbera, Rv. 234904 e, nel caso in esame, il ricorrente nulla ha provato in merito alla tempestività dell’eccezione, non potendosi essa desumere, come pretenderebbe il ricorrente, dal silenzio serbato sul punto dal Procuratore Generale nel corso dell’udienza dibattimentale in grado di appello. 2.2. Le deduzioni svolte dal ricorrente risultano inoltre parzialmente inconferenti rispetto al tema in esame, laddove si confonde l’utilizzabilità di un documento con la sua valenza probatoria e con l’attendibilità del suo contenuto, fermo restando il principio secondo il quale non può ritenersi assunto in violazione di un divieto di legge, dunque affetto da inutilizzabilità assoluta, il risultato del prelievo ematico effettuato per le terapie di pronto soccorso successive ad incidente stradale, ancorché non vi sia il consenso dell’interessato Sez. 4, numero 10605 del 15/11/2012, dep.2013, Bazzotti, Rv. 254933 Sez. 4, numero 26108 del 16/05/2012, Pesaresi, Rv. 253596 . 2.3. In merito al secondo motivo di censura, giova sottolineare che, a prescindere dalle scansioni procedurali entro le quali, in base alla recente pronuncia delle Sezioni Unite citata nel ricorso Sez. U, numero 5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263023 , la relativa eccezione può essere proposta, l’esame degli atti, consentito dalla natura della censura, ha permesso di rilevare la presenza dell’avviso annotazione del Comando di Polizia locale di Gardone del 15 maggio 2013 asseritamente omesso. 3. Il terzo motivo di ricorso è infondato. 3.1. Nella sentenza impugnata si sono esposte, con ragionamento logicamente ineccepibile, le ragioni per le quali l’indicazione della data del 4 maggio 2013, anziché quella del 3 maggio 2013, dovesse considerarsi un errore materiale emergente dal contesto dell’atto pag. 6 . 3.2. È sufficiente, sul punto, richiamare il principio più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale è consentito al giudice di rilevare l’errore materiale in sede di interpretazione di un atto pubblico qualora dal contesto dell’atto l’errore risulti in modo evidente, senza che l’eventuale divergenza tra dati imponga di metterne in discussione il valore fidefaciente Sez.2 civile, numero 1063 del 21/01/2015, Rv. 634326 Sez.2 civile, numero 8032 del 27/04/2004, Rv. 572362 Sez.1 civile, numero 9313 del 05/09/1995, Rv. 493900 . 4. Il quarto motivo di ricorso è infondato. 4.1. La questione posta dal ricorso riguarda la possibilità o meno di procedere alla sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità ex articolo 186, comma 9-bis, cod. strada allorquando risulti contestata l’aggravante prevista dall’articolo 186, comma 2-bis, ossia l’aggravante dell’aver procurato un incidente stradale. La questione si pone in ragione della formulazione della clausola di riserva contenuta nell’articolo 186, comma 9-bis, cod. strada Al di fuori dei casi previsti dal comma 2 bis dello stesso articolo”, che rimanda senza ulteriori indicazioni al caso”, ossia al mero fatto, dell’essersi verificato un incidente stradale in concomitanza con l’accertato stato di ebbrezza del conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Il punto da affrontare, pertanto, è, se, in presenza della aggravante speciale, sia comunque e sempre precluso procedere alla sostituzione. 4.2. Nella giurisprudenza di legittimità è ricorrente il principio secondo il quale il giudizio di comparazione spiega i suoi effetti soltanto in ordine alla determinazione della pena, lasciando inalterata la valutazione deteriore dell’azione e della personalità dell’imputato. Ed è in tal senso che deve intendersi il richiamo all’incidenza del giudizio di bilanciamento sulla determinazione della pena operato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione Sez. 4, numero 38141 del 11/07/2013, Polverini, Rv. 256402 . In particolare, nella sentenza impugnata si è affermato che l’aggravante in parola, sebbene subvalente rispetto alle circostanze attenuanti, incide comunque quale condizione ostativa alle misure alternative alla detenzione, trattandosi di aspetto connesso ad apprezzamenti di politica criminale e specialmente all’allarme sociale generato dai singoli reati, in quanto tale oggetto di valutazione riservata al legislatore. 4.3. Va ricordato che, secondo i principi generali, il giudizio di bilanciamento delle circostanze, di per sé, non influisce sugli istituti che non si ricollegano al quantum della pena inflitta, nel senso che le circostanze soccombenti o equivalenti continuano a produrre gli effetti previsti dalla legge, dal momento che anche il giudizio di soccombenza non fa venire meno la sussistenza in concreto della circostanza subvalente ma semplicemente la paralizza e la rende non applicata quoad poenam ”. 4.4. Tale principio è valido purché non si sia in presenza, e non è il caso in esame, di una di quelle ipotesi che si discostano dalla regola generale succitata, in cui già la formulazione normativa appare indiziante della volontà del legislatore di ricollegare l’effetto della circostanza al fatto che la stessa sia stata concretamente applicata e non meramente ritenuta dal giudice. In tal senso è opportuno richiamare il disposto degli articolo 7 bis e 58 quater legge 26 luglio 1975, numero 354 del 1975, ove è previsto che le misure alternative alla detenzione non possono essere concesse più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva reiterata prevista dall’articolo 99, comma 4, cod. penumero . Riguardano simili ipotesi le pronunce di legittimità in cui si trova affermato il distinto principio secondo il quale, ai fini dell’esatta interpretazione del concetto di applicazione”, una circostanza aggravante deve essere ritenuta, oltre che riconosciuta, come applicata non solo quando esplichi il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’articolo 69 cod.penumero , un altro degli effetti che le sono propri, cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare. Altrettanto è a dirsi del principio per cui l’aggravante non è da ritenere applicata allorquando, verificata la configurabilità delle circostanze fattuali dalla medesima descritte, essa non manifesti concretamente alcuno degli effetti che le sono propri, a causa della prevalenza attribuita all’attenuante, che non si limita a paralizzarla, ma prevale su di essa, in modo che, sul piano dell’effettività sanzionatoria, l’aggravante risulti tamquam non esset Sez. U, numero 17 del 18/06/1991, Grassi, Rv.187856 Sez.1, numero 2303 del 21/05/1992, Castellano, Rv.192017 Sez. 1, numero 43019 del 14/10/2008, Buccini, Rv. 241831, in materia di indulto . 4.5. Nel delineare i margini del potere discrezionale del giudice di concedere la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, la lettera della legge non richiede, invece, la concreta applicazione della circostanza aggravante quale condizione ostativa, da cui sarebbe a contrario desumibile il criterio interpretativo proposto dal ricorrente, a differenza di quanto avviene, ad esempio, nel caso di applicazione della recidiva ai fini dell’operatività del divieto di sospensione dell’esecuzione di pene detentive brevi articolo 656, comma 9, cod. proc. penumero , come modificato dall’articolo 9 legge 5 dicembre 2005, numero 251 . Ed in merito alla ragionevolezza di tale diversa disciplina si è pronunciato anche il giudice delle leggi, con pronuncia correttamente richiamata nella sentenza impugnata Corte Cost. ord. numero 247 del 25 settembre 2013 . Sebbene la pronuncia della Consulta fosse, per così dire, decentrata” rispetto alla questione interpretativa qui in esame, l’ordinanza di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 186, comma 9-bis, cod. strada risulta tuttavia significativa anche rispetto a tale questione perché, nel sottolineare che la fattispecie aggravata dal fatto di aver cagionato un incidente stradale sia stata dal legislatore, non irragionevolmente, costruita come limite all’applicazione della sanzione sostitutiva, consente di escludere che vi siano dubbi interpretativi, in ipotesi da risolvere in senso costituzionalmente orientato, in merito all’operatività di tale limite sol perché la circostanza aggravante non sia stata in concreto applicata. Nella pronuncia della Corte Costituzionale si legge, peraltro, che la scelta di non distinguere, ai fini dell’operatività della preclusione, in funzione della gravità dell’incidente sembra corrispondere a un criterio di prevenzione generale non irragionevole”, da tale affermazione potendosi desumere l’operatività della preclusione indipendentemente dal percorso seguito dal giudice comune per pervenire, nell’ambito di discrezionalità riconosciutogli dal legislatore, alla determinazione della pena in misura adeguata alle peculiarità del caso concreto. 4.6. Il provvedimento impugnato risulta, dunque conforme ai principi interpretativi espressi dalla giurisprudenza di legittimità che, anche recentemente, ha affermato che il giudizio di bilanciamento tra circostanze non elide la sussistenza dei profili di particolare allarme sociale” connessi all’aggravante in argomento Sez. 4, numero 17679 del 20/03/2014, Lanzo, Rv. 259232 . 5. Le argomentazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.