Sì al sequestro preventivo per equivalente, ma solo se il sequestro diretto è impossibile

Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente quando sia possibile il sequestro diretto finalizzato alla confisca di danaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario. Il giudice che disporrà il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dovrà, dunque, sempre motivare in ordine all’impossibilità del sequestro diretto del profitto di reato.

La Sezione III della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13232 del 2016, si è uniformata alla consolidata giurisprudenza di legittimità di recente confermata dalle Sezioni Unite nel precisare quando può essere legittimamente disposto ed eseguito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Tale misura cautelare reale, normata ai sensi dell’art. 321 del codice di rito, a livello generale presuppone i due requisiti del fumus criminis e del periculum in mora , con la finalità d’impedire che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa agevolare le conseguenze di esso o la commissione di altri reati, sì da interrompere l’ iter criminoso. L’evoluzione del subprocedimento cautelare nel caso di specie. Ponendo mente alla fattispecie concreta posta al vaglio della Cassazione, il ricorrente veniva indagato per il reato di cui all’art. 10- ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, perché, in qualità di amministratore di una società a responsabilità limitata, ometteva di versare – entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo – l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare di euro 615.358,00. In ragione dell’anzidetta ipotesi delittuosa, nei confronti della persona iscritta al registro degli indagati veniva emesso, dal giudice della cautela procedente, decreto di sequestro preventivo per equivalente fino alla concorrenza dell’importo evaso euro 615.358,00 , avente per oggetto beni mobili conti correnti ed immobili case e terreni di esclusiva pertinenza della stessa persona fisica dell’indagato. La difesa di quest’ultimo, avverso l’ordinanza di rigetto pronunciata dal Tribunale del Riesame adito a norma dell’art. 324 c.p.p., proponeva, dunque, in ultima istanza, ricorso per cassazione ex art. 325 c.p.p Il difensore di fiducia lamentava l’illegittimità dell’originario provvedimento limitativo incidente in proporzione sui beni patrimoniali dell’indagato, in quanto da un lato il giudice della cautela aveva omesso di accertare l’inesistenza di beni riconducibili alla compagine societaria quale presupposto per poter aggredire il patrimonio della persona fisica con la misura volta alla c.d. confisca di valore, e poiché dall’altro lato la stessa difesa aveva già per l’appunto dimostrato l’esistenza di beni aggredibili” di pertinenza della società. La nozione di profitto del reato . A norma dell’art. 240 c.p. è disciplinata la misura di sicurezza patrimoniale della confisca diretta” o ordinaria” , quale – tra le altre – espropriazione delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, con la funzione di prevenire la commissione di nuovi reati. Mancando una nozione legislativa di profitto del reato – profitto che nella specie è potenzialmente derivato in capo alla società dalla condotta di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto – il vuoto normativo è colmato da alcuni arresti giurisprudenziali, a detta dei quali esso consiste nel vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato si veda al proposito Cass. Pen., Sez. Un., 24 febbraio 1993, Bissoli, n. 1811 a titolo esemplificativo, qualora sia stato commesso delitto di usura a norma dell’art. 644 c.p., rappresentano profitto del reato i titoli di credito ricevuti dall’usuraio. Prima bisogna verificare l’impossibilità del sequestro diretto. Il provvedimento cautelare di natura reale del sequestro preventivo può essere funzionale anche alla c.d. confisca per equivalente” o di valore” art. 322- ter c.p. , quale figura di origine giurisprudenziale consistente in un provvedimento ablativo disposto su somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità, per un valore proporzionale al prezzo o al profitto del reato. La pronuncia del provvedimento in analisi non richiede l’accertamento dell’effettivo nesso pertinenziale tra l’oggetto della confisca ed il reato in specie fiscale commesso, dal momento che, per l’appunto, si fonda sull’impossibilità di identificare fisicamente le cose che costituiscono il prezzo o il profitto del reato. In considerazione di ciò, la giurisprudenza di legittimità ha cristallizzato il principio di diritto per cui non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente quando sia possibile il sequestro diretto finalizzato alla confisca di danaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario. Il giudice che disporrà il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dovrà, dunque, sempre motivare in ordine all’impossibilità del sequestro diretto del profitto di reato. È tuttavia necessario precisare che l’impossibilità della confisca diretta potrà essere tale anche solo in via transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto del reato, anche per evitare il pericolo di dispersione e distrazione dei beni. L’onere probatorio gravante sul destinatario del provvedimento per equivalente. Con peculiare riguardo al caso di specie, accertata giudizialmente l’impossibilità, anche solo transitoria, di reperire presso la persona giuridica il profitto diretto del reato tributario – il che si mostra con frequenza, consistendo di solito quest’ultimo nella componente negativa del risparmio di spesa – la persona fisica il cui patrimonio è aggredito è onerata di provare documentalmente l’esistenza di beni della società ciò consente di provvedere alla confisca diretta nei confronti della società medesima.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 maggio 2015 – 1 aprile 2016, n. 13232 Presidente Fiale – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con ordinanza del 12 febbraio 2015 il Tribunale di mtì!sem, in funzione di giudice del Riesame rigettava la richiesta di riesame avanzata nell'interesse di D. M. soggetto indagato, unitamente ad A.A., nelle rispettive quali di amministratori della società M. & amp A. s.r.l., del reato di cui all'art. 10 ter del D. Lgs. 74/00 - omesso versamento dell'IVA per un ammontare di € 615.358,00 avverso il decreto di sequestro preventivo per equivalente fino alla concorrenza di € 615.358,00 corrispondente all'omesso versamento dell'IVA, avente per oggetto beni mobili conti correnti ed immobili case e terreni di pertinenza del D 1.2 Propone ricorso avverso il detto provvedimento il D. tramite il proprio difensore di fiducia censurando l'ordinanza impugnata per inosservanza della legge penale avendo il Tribunale ritenuto legittimo il sequestro di beni di esclusiva pertinenza dell'indagato, senza un preventivo accertamento della esistenza di beni direttamente riconducibili alla società la quale aveva tratto profitto dei mancato versamento dell'imposta. Tale censura si ricollega a quella originariamente proposta in sede di riesame con i motivi aggiunti e viene integrata dalla circostanza che in quella sede era stata dimostrata l'esistenza di beni di pertinenza della società che rendevano pertanto illegittimo il disposto sequestro di beni nella disponibilità dell'indagato. Considerato in diritto 1. II ricorso non può trovare accoglimento. Premesso che al D. è stato contestato il reato di cui all'art. 10 ter dei D. Lgs. 74/00 per l'omesso versamento dell'IVA annuale concernente l'anno 2012 per l'importo di € 615.358,00, il Tribunale ha ravvisato il fumus criminis nel mancato - e peraltro documentato - assolvimento di tale specifico obbligo tributario, aspetto non contestato dalla difesa come chiaramente indicato nella parte finale del ricorso in esame. 1.1 Occorre poi ricordare quali siano i limiti propri della impugnabilità in sede di legittimità di provvedimenti cautelari di natura reale, ammessa, come è noto, soltanto per violazione di legge, intendendosi per tale sia quella concernente errores in procedendo che quella concernente errores in judicando ovvero per violazione di legge derivante da vizi motivazionali così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno dei provvedimento o dei tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice tra le tante Sez. 1^ 31.1.2012 n. 6821, Chiesi, Rv. 252430 Sez. 5^ 13.10.2009 n. 43068, Bosi, Rv. 245093 s.u. 29.5.2008 n. 25932, Ivanov, Rv. 239692 . 2. Orbene il Tribunale, nel ricostruire i termini della vicenda ha ravvisato il fumus criminis rimasto incontestato ed ha tenuto conto anche delle deduzioni difensive prospettate in sede propria dalla difesa, con specifico riferimento al tema della confisca dei beni personali dei ricorrente quale legale rappresentante della società. 2.1 I principi cui si è ispirato il Tribunale nel riconoscere - nel caso in esame - la possibilità di ablazione di beni riconducibili all'indagato sono quelli da tempo elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema cui il Tribunale del Riesame si è puntualmente uniformato. 2.2 In effetti è possibile, anche dopo la pronuncia delle Sezioni Unite Gubert, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario, compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, nella loro disponibilità personale o in quella della persona giuridica. 2.3 Già in passato le stesse Sezioni Unite avevano rilevato, in proposito, che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di profitto del reato e che tale. locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un'ampia latitudine semantica da colmare in via interpretativa Sez. Unite, n. 26654 del 2.7.2008, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri . In detta pronuncia con riferimento alla confisca di valore prevista dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 19 sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di profitto dei reato contenuta nell'art. 240 c.p., secondo le quali il profitto a cui fa riferimento l'art. 240 c.p., comma 1, deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato vedi Sez. Unite 24.2.1993, n. 1811, Bissoli 17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir. 2.4 Tuttavia le Sezioni Unite, con la menzionata sentenza 30.1.2013 n. 10561, Gubert Rv. 258646, hanno affermato il principio, come visto, che in ogni caso non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente quando sia possibile il sequestro diretto finalizzato alla confisca di danaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario. Il giudice che disporrà il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dovrà, dunque, sempre motivare in ordine all'impossibilità del sequestro diretto dei profitto di reato. Occorrerà prima verificare la percorribilità di tale strada per poi, con i limiti che hanno individuato le Sezioni Unite per quanto concerne l'aggressione dei beni societari, poter eventualmente percorrere, in via residuale, quella di cui all'art. 322 ter c.p L'impossibilità della confisca diretta, tuttavia, sempre secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite nella richiamata decisione n. 10561/2014 potrà essere tale anche solo in via transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto dei reato, anche per evitare il rischio di possibili dispersioni di beni. 3. Se può dirsi corretta, alla stregua di tali considerazioni l'affermazione dello stesso ricorrente, secondo cui non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari commessi da costoro a vantaggio della società, se non nella residuale ipotesi in cui sia possibile nei confronti della società il sequestro diretto del profitto dei reato commesso, va ribadito che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente sarà possibile qualora non sia stato reperito il profitto dei reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica non costituisca un vero e proprio schermo fittizio. 3.1 Ne consegue che al di fuori di quest'ultima ipotesi è possibile procedere al sequestro ed alla confisca dei beni della persona giuridica laddove venga provato che ci si trovi davanti al profitto del reato, con le difficoltà che ciò comporta in quanto in materia di reati fiscali il profitto è solitamente costituito dal risparmio di spesa. 3.2 Nella fase successiva all'imposizione del vincolo cautelare che presuppone - come si è visto - l'accertata impossibilità, anche transitoria, di reperire presso la persona giuridica il profitto diretto, e prima che sia disposta la confisca per equivalente dei beni di pertinenza della persona fisica, è onere di quest'ultimo fornire documentalmente la prova della esistenza di beni della società, indicandoli in modo da provvedere alla confisca diretta nei confronti della società. 3.3 Su tale punto il Tribunale si è soffermato, prendendo in esame i motivi aggiunti proposti in sede di riesame dall'indagato odierno ricorrente, escludendo che da parte di costui fosse stata fornita la prova della esistenza di beni della società ed affermando, anzi, che era stato lo stesso ricorrente a precisare che la società era priva di risorse e che era stata finanziata esclusivamente con l'apporto economico degli amministratori vds. pag. 3 dell'ordinanza impugnata . 3.4 II ricorrente cointesta tale motivazione indicandola come apparente o inesistente, ma incorre, nella misura in cui non dimostra nemmeno in questa sede la lacuna motivazionale in cui sarebbe incorso il Tribunale nell'escludere la reperibilità di beni di esclusiva persistenza della persona giuridica, in una censura sostanzialmente generica, anche perché si limita ad asserire, in contrasto con quanto detto dal Tribunale, che la società aveva dei beni che avrebbero potuto consentire la confisca diretta e dunque ostare alla confisca per equivalente nei confronti della persona fisica. 4. Alla stregua di tali considerazioni il ricorso va rigettato segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.