Per l’affidamento in prova al servizio sociale occorre un percorso graduale

Nel giudizio prognostico concernente la concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, devono essere valutati anche i procedimenti penali passati ed eventualmente pendenti a carico dell’interessato, al fine di pervenire ad una soluzione di fronteggiabilità della pericolosità sociale residua con gli strumenti indicati.

Con la sentenza n. 8321 depositata il 1° marzo 2016, la Prima sezione Penale della Corte di Cassazione interviene in materia di affidamento in prova al servizio sociale, precisandone limiti e termini. In particolare, gli Ermellini precisano che, nel giudizio prognostico concernente la concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, devono essere valutati in buona sostanza elementi quali la condotta precedente e quella recente dell’interessato, la contiguità ad ambiti devianti, l’insufficienza delle prospettive risocializzanti possono valutarsi ai fini della formulazione di una prognosi sul comportamento futuro del condannato e sul ragionevole esito del beneficio. Rieducazione del reo e prevenzione del pericolo. I Giudici di Piazza Cavour ricordano che il diniego dell’affidamento in prova al servizio sociale è da ritenere adeguatamente motivato anche quando, nell’ambito di un giudizio prognostico che, per sua natura, non può che essere largamente discrezionale, venga indicata una sola ragione, purché plausibile, atta a far ritenere la scarsa probabilità di successo dell’esperimento, in relazione alle specifiche finalità dell’istituto, quali la rieducazione del reo e la prevenzione del pericolo che egli commetta ulteriori reati. Non occorre, pertanto – puntualizzano i Giudici del Palazzaccio - , che il Tribunale prenda necessariamente in esame anche la situazione socio familiare del richiedente, non trattandosi dell’applicazione di un beneficio da elargirsi quasi pietatis causa” , ma la valutazione della sussistenza o meno di valide prospettive di realizzazione delle anzidette finalità, essenzialmente funzionali al vantaggio non del singolo ma della società e rispetto alle quali, pertanto, la sottrazione del soggetto al regime di detenzione rappresenta solo un mezzo e non uno scopo. Percorso positivo intramurario. Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza territoriale aveva rigettato l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale avanzata dal detenuto, oggi ricorrente, ritenuto colpevole di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata a realizzare concussioni, corruzioni, falsi, violazioni urbanistiche e violazione di sigilli. Secondo il giudice il percorso intramurario del condannato, pur considerato positivamente, necessitava di una graduale sperimentazione esterna, tenuto conto della gravità dei reati posti in essere e del principio di progressività trattamentale in questo senso l’apertura al lavoro all’esterno poteva essere l’inizio di questa esperienza, ma occorreva tempo per valutare i risultati e passare ai permesso-premio e soltanto successivamente ad altri benefici più ampli. Inoltre, il rigetto veniva rafforzato dalla connotazione non molto responsabilizzante della prospettiva lavorativa, dalla allocazione della stessa nei medesimi luoghi in cui aveva commesso i reati e dalla disponibilità anche futura dello stesso lavoro. Da qui la proposizione del ricorso in cui si rilevava che l’ordinanza del Tribunale svalutava il percorso positivo intramurario finendo per far prevalere aspetti del passato del condannato a scapito dei progressi e finiva per valorizzare la sola gravità del reato posto in essere, concludendo per la necessità di un percorso graduale e di condizioni per l’accesso alle misure alternative, non previsti dalla normativa. Alle considerazioni e valutazioni sopra indicate, i Giudici della Corte di Cassazione aggiungono ulteriori precisazioni affermando che, ai fini dell’affidamento in prova al servizio sociale, i riferimenti alla gravità del reato commesso o ai precedenti penali e giudiziari del condannato o al comportamento da lui tenuto prima o dopo, o durante, la sottoposizione ad una misura cautelare ben possono essere utilizzati come elementi che concorrono alla formazione del convincimento circa la praticabilità della misura alternativa. Conseguentemente il mantenimento di una condotta positiva, anche in ambiente libero, non è di per sé determinante, soprattutto ove la condanna in espiazione sia stata inflitta per reati di obiettiva gravità, ma deve essere valutato nell’ambito di un giudizio globale di tutti gli elementi emersi dalle indagini esperite e dalle informazioni assunte. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese del procedimento.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 novembre 2015 – 1 marzo 2016, n. 8321 Presidente Cavallo – Relatore Minchella Rilevato in fatto Con ordinanza in data 19.03.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Perugia rigettava le istanze di affidamento in prova al servizio sociale o di semilibertà avanzate da P.R. , detenuto in espiazione della pena di cui alla sentenza in data 04.05.2013 della Corte di Appello di Napoli inflittagli siccome colpevole di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata a realizzare concussioni, corruzioni, falsi, violazioni urbanistiche e violazione di sigilli si rilevava che il condannato aveva utilizzato la propria posizione di appartenente alla Polizia Municipale di OMISSIS per favorire la realizzazione od il completamento di manufatti abusivi patito un periodo di presofferto, aveva fatto ingresso in carcere nel dicembre 2013, tenendo una condotta sempre regolare la relazione di sintesi riportava che egli manifestava consapevolezza del disvalore dei suoi atti devianti, ma che appariva necessario valutare nel tempo le sue dichiarazioni, attraverso un percorso di azioni concrete ammesso al lavoro all’esterno solo tre giorni prima dell’udienza sopra menzionata, egli aveva in precedenza avanzato istanza di affidamento in prova al servizio sociale o di semilibertà, per prestare attività di lavoro presso la ditta di un suo cugino non aveva ancora fruito di permessi premio per la necessità di effettuare approfondimenti personologici. Concludeva il Giudice che il percorso intramurario del condannato era certamente positivo, ma che necessitava di una graduale sperimentazione esterna, tenuto conto della gravità dei reati posti in essere e del principio di progressività trattamentale così l’apertura al lavoro all’esterno poteva essere l’inizio di questa esperienza, ma occorreva tempo per valutare i risultati e passare ai permessi-premio prima e soltanto dopo ad altri benefici più ampli il rigetto veniva rafforzato dalla connotazione non molto responsabilizzate della prospettiva lavorativa, dalla allocazione della stessa nei medesimi luoghi in cui aveva commesso i reati e dalla disponibilità anche futura dello stesso lavoro. Avverso detta ordinanza propone ricorso per Cassazione il condannato a mezzo del suo difensore, deducendo, come primo motivo, la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b , c ed c , cod. proc. pen. in relazione agli artt. 47 e 50 O.P., per erronea applicazione della legge penale e per mancanza della motivazione si rilevava che l’ordinanza svalutava il percorso positivo intramurario finendo per far prevalere aspetti del passato del condannato a scapito dei progressi e rinvia per valorizzare la sola gravità del reato posto in essere, concludendo per la necessità di un percorso graduale e di condizioni per l’accesso alle misure alternative che non sono, invece, previsti dalla normativa. Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato perché infondato. È incontestato che il P. , detenuto in espiazione di una consistente pena restrittiva, ha avanzato istanze dirette ad ottenere i benefici penitenziari di cui agli artt. 47 e 48 O.P. le richieste erano fondate su di una prospettiva risocializzante di tipo lavorativo presso un suo congiunto e su di un buon percorso intramurario. Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, con l’ordinanza sopra indicata, pur prendendo atto di una condotta carceraria sostanzialmente positiva, rilevava però che il ricorrente era stato dichiarato responsabile di reati molto gravi e che gli stessi erano stati posti in essere con abuso della sua posizione di appartenente alla Polizia Municipale di OMISSIS per favorire la realizzazione od il completamento di manufatti abusivi, in adesione ad una subcultura deviante ma proprio questa adesione a valori errati dimostrava una insofferenza del P. alle regole poste dallo Stato a tutela di una ordinata e civile convivenza e questa condizione, secondo il consolidato orientamento della Corte Suprema, costituisce quel disadattamento al quale consegue la necessità di sottoposizione dell’interessato ad un trattamento rieducativo da realizzarsi anche, ricorrendone le condizioni, con le misure alternative alla detenzione. Così, il Giudice sottolineava che il ricorrente - pur se aveva fruito in precedenza di arresti domiciliari - ancora non era stato ammesso ai permessi premio ed il suo percorso espiativo aveva annoverato da pochi giorni l’esperienza del lavoro all’esterno, rispetto alla quale difettava ancora una congrua osservazione in ordine ai risultati risocializzanti, ed appariva pertanto necessario, per il suo completamento, un ulteriore periodo di tempo da trascorrere nella sperimentazione di graduali aperture extramurarie. Il ricorso argomenta le doglianze su di una asserita attenzione sproporzionata, da parte del Tribunale di Sorveglianza, in ordine al reato commesso ed alla gravità dello stesso, con insufficiente attenzione al periodo successivo ed al tenore della condotta di vita che ha fatto seguito alle commissioni degli illeciti inoltre esso si duole di asserite condizioni per l’accesso ai benefici che non sarebbero previste dalla normativa, con rilievo particolare alla gradualità nella concessione dei benefici. Si tratta, però, di argomenti che non possono essere accolti. Appare utile rilevare che attraverso la misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale l’ordinamento ha inteso attuare una forma dell’esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell’osservazione della personalità e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all’esito della misura alternativa. I criteri ed i mezzi di conoscenza utilizzabili da parte del Tribunale di Sorveglianza per pervenire a tale positiva previsione sono indicati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel reato commesso, ineludibile punto di partenza, nei precedenti penali Cass., Sez. 1, 4.3.1999, Danieli, Rv 213062 nelle pendenze processuali Cass., Sez. 1, cit. nelle informazioni di P.S. Cass., Sez. 1, 11.3.1997, Capiti, Rv 207998 ma anche, ed in pari grado di rilievo prognostico, qualora disponibili, dalla condotta carceraria e dai risultati dell’indagine sociofamiliare operata dalle strutture carcerarie di osservazione Cass., Sez. 1, 22.4.1991, Calabrese, in Cass. pen., 1992, 1894 dappoiché in queste ultime risultanze istruttorie si compendia una delle fondamentali finalità della espiazione della sanzione penale, il cui rilievo costituzionale non può in questa sede rimanere nell’ombra. Di questi parametri il Tribunale di Sorveglianza ha fatto un uso corretto è stata valutato tanto il pregresso comportamento del ricorrente in termini di condotta di vita e di peculiarità del reato commesso quanto la contiguità del predetto ad un determinato ambiente deviante suffragata dalla tipologia di delitto posto in essere, indicato in epigrafe quanto ancora l’abuso di una sua particolare posizione di pubblico ufficiale, che imponeva al predetto il mantenimento di un contegno ineccepibile. Oltre a ciò, va anche detto che non risponde affatto al vero la doglianza di una illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, atteso che il Giudice ha anche comparato la possibilità astratta di una misura alternativa - quale quella richiesta - che offre un ampio margine di libertà in ambiente esterno al carcere con le ragioni di poca responsabilizzazione che la tipologia del lavoro prospettato offriva. Il Giudice dà anche atto del comportamento corretto tenuto nel corso degli arresti domiciliari, ma ha anche precisato che il percorso intramurario ancora non forniva prova almeno di un concreto avvio del processo di recupero ai fini che qui interessano, va ribadito che occorre anche accertare nel condannato una adeguata consapevolezza della natura delle sue azioni e delle conseguenze delle stesse nonché la consapevolezza della necessità di rispettare le leggi penali e di conformare, in generale, il proprio agire ai doveri inderogabili sanciti dall’ordinamento. In definitiva, l’ordinanza impugnata ha tenuto conto dei principi consolidati espressi da questa Corte in tema di concessione della più ampia delle misure alternative. Questa Corte ha ripetutamente chiarito che nel giudizio prognostico concernente la concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, devono essere valutati anche i procedimenti penali passati ed eventualmente pendenti a carico dell’interessato, al fine di pervenire ad una valutazione di fronteggiabilità della pericolosità sociale residua con gli strumenti dell’istituto indicato cfr Cass. pen., sez. I, 13.02.1982 n. 1999 in altri termini, elementi quali - esemplificativamente - la condotta anteatta e quella recente dell’interessato, la contiguità ad ambiti devianti, l’insufficienza delle prospettive risocializzanti ben possono valutarsi ai fini della formulazione di una prognosi sul comportamento futuro del condannato e sul ragionevole esito del beneficio. Del resto, poiché non esiste una sorta di presunzione generale di affidabilità di ciascuno al servizio sociale, ma al contrario devono sussistere elementi positivi sulla base dei quali il Giudice possa ragionevolmente ritenere che l’affidamento si riveli proficuo, appare evidente che - in relazione agli obbiettivi di rieducazione e di prevenzione propri dell’istituto - la reiezione dell’istanza di affidamento può considerarsi validamente motivata anche sulla sola base delle informazioni fornite dagli organi di polizia o dai servizi sociali, quando esse, lungi dal dimostrare elementi certi del genere anzidetto, pongano in luce, al contrario, la negativa personalità dell’istante cfr Cass. pen., sez. I, 27.07.1992 n. 2762 . In altri termini, il diniego dell’affidamento in prova al servizio sociale è da ritenere adeguatamente motivato anche quando, nell’ambito di un giudizio prognostico che, per sua natura, non può che essere largamente discrezionale, venga indicata una sola ragione, purché plausibile, atta a far ritenere la scarsa probabilità di successo dell’esperimento, in relazione alle specifiche finalità dell’istituto rieducazione del reo e prevenzione del pericolo che egli commetta ulteriori reati . Non occorre, pertanto, che il Tribunale prenda necessariamente in esame anche la situazione sociofamiliare del richiedente, non trattandosi dell’applicazione di un beneficio da elargirsi quasi pietatis causa , ma la valutazione della sussistenza o meno di valide prospettive di realizzazione delle anzidette finalità, essenzialmente funzionali al vantaggio non del singolo ma della società e rispetto alle quali, pertanto, la sottrazione del soggetto al regime di detenzione rappresenta solo un mezzo e non uno scopo Cass. sez. 1, n. 4137 del 19/10/1992, Gullino, rv. 192368 sez. 1, n. 2061 del 11/05/1992, Menditto, Rv. 190531 sez. 1, n. 2207 del 18/5/1992, Caltagirone, rv. 190628, sez. 1, n. 1704 del 14/4/1994, Gallo, rv. 197463 . Parimenti, ai fini dell’affidamento in prova al servizio sociale, i riferimenti alla gravità del reato commesso o ai precedenti penali e giudiziari del condannato o al comportamento da lui tenuto prima o dopo, o durante, la sottoposizione ad una misura cautelare ben possono essere utilizzati come elementi che concorrono alla formazione del convincimento circa la praticabilità della misura alternativa. Ne consegue che il mantenimento di una condotta positiva, anche in ambiente libero, non è di per sé determinante, soprattutto ove la condanna in espiazione sia stata inflitta per reati di obiettiva gravità come nella fattispecie , ma deve essere valutato nell’ambito di un giudizio globale di tutti gli elementi emersi dalle indagini esperite e dalle informazioni assunte Cass. sez. 1, n. 15064 del 06/03/2003, Chiara, rv. 224029 Sez. 1, n. 20478 del 12/02/2013 - dep. 13/05/2013, Siddique, Rv. 256078 . Quanto, poi alla doglianza circa l’invocata necessità di una gradualità nella concessione dei benefici, va ricordato che, per giurisprudenza di questa Corte, il menzionato criterio di gradualità, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario e ciò vale in particolare quando i reati commessi siano sintomatici di una non irrilevante capacità a delinquere cfr Cass. Pen., sez. I, 26.03.1999 n. 5689 . A conclusioni non dissimili si deve giungere anche con riferimento alla valutazione negativa sul tema della richiesta di semilibertà la semilibertà costituisce una forma tipica di trattamento progressivo individualizzato la sua funzione è duplice propedeutica, da un lato, al ritorno del soggetto in libertà e probatoria, dall’altro, dei risultati conseguiti tramite il trattamento risocializzativo svolto. La sua concessione, infatti, è subordinata alla presenza di un preciso requisito soggettivo, definito dal comma 4 dell’art. 50 O.P. in termini di progressi compiuti nel corso del trattamento . Ciò vale a metterne in luce la funzione promozionale ed il carattere premiale nel connettere la modifica migliorativa dell’esecuzione della pena all’adesione ad un certo modulo comportamentale, la stessa previsione astratta della semilibertà incentiva il condannato all’integrazione della condotta assunta a presupposto della misura, condizionandolo alla collaborazione al trattamento, e la sua concessione ne premia lo sforzo partecipativo concretamente dimostrato. In altri termini, la semilibertà non si fonda tanto su di un giudizio prognostico in ordine al comportamento futuro del condannato, bensì si fonda sulla valutazione positiva di comportamenti già posti in essere e manifestati. In proposito, il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente e congruamente posto in luce l’insufficienza dei dati conoscitivi in ordine ai progressi maturati dal condannato e la necessità di far proseguire le esperienze extamurarie prima di procedere a concessioni di maggior rilievo di quella di cui all’art. 21 O.P. alla quale il ricorrente era stato appena ammesso. Alla stregua di questi parametri, le linee argomentative della decisione impugnata resistono alle censure formulate dal ricorrente, che si risolvono nella generica prospettazione di altre differenti interpretazioni dei dati conoscitivi ed in una non consentita sollecitazione rivolta al Giudice della legittimità, a sostituire il proprio apprezzamento di merito alla valutazione, dello stesso genere, già effettuata in maniera completa e plausibile nella sede competente e pertanto non ulteriormente sindacabile. Il ricorso deve dunque essere rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.