Basta il pericolo … nella sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Il reato di cui all’art. 11 d.lgs. 74/2000 – integrato dall’uso di mezzi fraudolenti per occultare i propri o altrui beni al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto – costituisce fattispecie tipicamente di pericolo, non di danno, in cui vengono posti in essere atti idonei a pregiudicare l’adempimento della obbligazione tributaria, indipendentemente dalla realizzazione del fine programmato dal debitore o dal successivo pagamento dell’imposta.

Questo il principio di diritto ribadito dalla Terza Sezione penale della Cassazione con la pronuncia n. 3881/16, depositata il 29 gennaio. La struttura della fattispecie. Come noto l’art. 11 d.lgs. n. 74/2000 sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a tali imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Come si evince chiaramente dalla lettura della fattispecie, la condotta si risolve nel porre in essere alienazioni simulate, ovvero altri atti fraudolenti, con il dolo specifico di sottrarsi al pagamento di imposte. A caratterizzare ulteriormente la condotta, il legislatore specifica che detti atti devono essere idonei ad impedire il soddisfacimento completo del credito tributario. Appare quindi pacifico, dalla disamina della struttura del delitto, che non ci si trova di fronte ad un reato ad evento naturalistico, non essendo necessario per il suo perfezionarsi che venga effettivamente impedita la soddisfazione del credito tributario in conseguenza della condotta fraudolenta. Ad integrare il reato è sufficiente la idoneità di detta condotta a ledere il bene giuridico tutelato. Il caso di specie. Nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, il ricorrente, che ha impugnato un decreto di sequestro preventivo per equivalente conseguente alla contestazione proprio del delitto di cui all’art. 11 d.lgs. 74/2000, si duole del fatto che il bene ritenuto oggetto della vendita simulata e, dunque, di un atto fraudolento siccome oggetto di un precedente vincolo reale ipoteca per un importo superiore al valore odierno del bene medesimo, sarebbe stato del tutto inidoneo, a prescindere dalla contestata operazione di alienazione, a costituire una garanzia per l’adempimento della obbligazione tributaria. Da ciò ne conseguirebbe, secondo il ricorrente, che se anche la contestata operazione di alienazione non fosse stata posta in essere e dunque l’amministrazione finanziaria dello Stato avesse potuto intervenire nella procedura esecutiva sul bene medesimo, non sarebbe residuato alcun valore sul quale rivalersi e quindi l’operazione non poteva ritenersi idonea a rendere inefficace la procedura di esecuzione, né poteva ritenersi sussistente il dolo specifico che la fattispecie astratta prevede. Un reato di pericolo. Osserva la Cassazione che il delitto in esame costituisce, per pacifica giurisprudenza, un reato di pericolo, rispetto al quale, dunque, la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso. In effetti, anche di recente la stessa Sezione Terza Penale, Cass. n. 15449/2015 ha ritenuto penalmente rilevante la costituzione di un trust allo scopo di tutelare fraudolentemente il patrimonio del contribuente e rendere così inattuabile la procedura di riscossione coattiva. Pertanto – proseguono gli Ermellini – non è necessaria la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva, ma è sufficiente la mera messa in pericolo della stessa. Ne consegue il rigetto del ricorso proposto dall’indagato. Ma di quale natura? L’affermazione della Cassazione, sotto il profilo teorico, appare senza dubbio corretta, non potendo revocarsi in dubbio che la struttura della fattispecie di cui all’art. 11 d.lgs. 74/2000 sia riconducibile al novero dei reati di pericolo e non certo a quelli di danno. Pacifico che, al fine di integrare il delitto de quo , non sia necessario verificare l’effettiva vanificazione della procedura esecutiva. Il vero problema, sul quale invero non pare soffermarsi adeguatamente la pronuncia in esame, è il parametro attraverso il quale deve essere operato il giudizio di idoneità della condotta e, dunque, il tipo di pericolo previsto dalla norma. Vero è che la Cassazione, nella pronunzia in esame, evidenzia come la circostanza che il valore del bene oggetto della alienazione simulata sia coincidente con il debito garantito da ipoteca sul bene medesimo sia giudizio di fatto, non consentito in sede di legittimità, ma è altrettanto evidente come nessuna spiegazione venga fornita dagli Ermellini circa la natura del pericolo astratto, presunto o concreto e il correlativo giudizio ex ante o ex post che si è chiamati ad operare. Seppur nei limiti di una pronuncia resa in sede di legittimità su una misura cautelare reale e, dunque, ex art. 325 c.p.p., unicamente per motivi attinenti alla violazione di legge, la pronuncia in commento non pare fornire adeguati parametri per la valutazione del pericolo. Restano, dunque, le perplessità a fronte di una fattispecie che rischia, caratterizzandosi per il solo dolo specifico, un campo di applicazione assai ampio e che la recente riforma legislativa come noto è stata introdotta una lettera g ter all’art. 1, d.lgs. n. 74/2000, secondo la quale per mezzi fraudolenti si intendono le condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà , contrariamente ad alcune aspettative da parte della dottrina, non pare, alla luce della pronuncia in commento, aver ricondotto in termini di maggior tassatività e determinatezza.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 novembre 2015 – 29 gennaio 2016, n. 3881 Presidente Grillo – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 18-19/5/2015, il Tribunale del riesame di Roma rigettava il ricorso proposto da B.C. e, per l'effetto, confermava il decreto 13/2/2015 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo su un immobile sito in omissis , intestato alla Iside s.r.l. al'indagato - quale legale rappresentante della stessa società - era contestato il delitto di cui all'art. 11, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per aver simulatamente alienato il ramo di azienda della citata s.r.l. alla Ratumena s.r.l. , di cui lo stesso era legale rappresentante, rendendo così inefficace una procedura di riscossione coattiva. 2. Propone ricorso per cassazione il B. , a mezzo del proprio difensore, deducendo un unico motivo, sviluppato su due punti - violazione e falsa applicazione degli artt. 321 cod. proc. pen., 11, d.lgs. n. 74 del 2000. Il Tribunale del riesame - pur in presenza di copiosa documentazione prodotta - non avrebbe verificato che la soglia di punibilità prevista dall'art. 11 in esame - pari ad oltre 50.000 Euro di imposte dovute -non sarebbe stata superata nel caso di specie, dovendosi detrarre numerose somme dall'importo indicato nel capo di imputazione pari a 536.468,39 Euro , fino a pervenire ad una cifra addirittura inferiore a 40.000 Euro al riguardo, il ricorso sviluppa una più che analitica disamina della vicenda - e di tutti i suoi profili contabili - a muovere dalla prima cartella di pagamento notificata alla Iside s.r.l. nell'aprile 2011, specificando in particolare - quanto alla somma di 306.152,00 Euro iscritta a ruolo a titolo di omesso versamento i.v.a. 2007 - che la stessa non individuerebbe in realtà alcuna omissione, ma soltanto il disconoscimento automatico del credito i.v.a. relativo all'anno 2006, allorquando la dichiarazione di imposta non era stata presentata - inidoneità dell'atto dispositivo a rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva. Il Tribunale non avrebbe considerato che il bene sottoposto a vincolo, al momento dell'atto di conferimento del luglio 2011, si trovava già gravato da ipoteca volontaria iscritta nel 2007 fino alla concorrenza di 17,6 milioni di Euro a garanzia di un mutuo ipotecario per 8,8 milioni di Euro e che la Iside era morosa verso lo stesso istituto bancario per circa 2,8 milioni di Euro, ovvero per un ammontare sostanzialmente coincidente con il valore del cespite, come stimato. Ne discenderebbe che, pur potendo in astratto l'Erario intervenire nella procedura esecutiva, non residuerebbe alcun valore del bene pignorato sul quale l'amministrazione finanziaria avrebbe potuto concorrere, si da escludere l'idoneità dei conferimento a rendere inefficace la procedura di riscossione, oltre che il dolo del delitto. Considerato in diritto 3. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge in questa nozione rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e dell'art. 606, stesso codice v., per tutte Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710 Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611 . 4. Ciò premesso, il ricorso è infondato. Al riguardo, occorre innanzitutto rilevare che, per costante e condiviso indirizzo di legittimità, il reato di cui all'art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000 - integrato dall'uso di mezzi fraudolenti per occultare i propri o altrui beni al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, delle sanzioni e relativi interessi - costituisce fattispecie tipicamente di pericolo, non di danno tra le altre, Sez. 3, n. 37415 del 25/6/2012, Tonetto, Rv. 253359 Sez. 3, n. 36290 del 18/5/2011, Cualbu, Rv. 251076 , la cui consumazione si protrae per tutto il tempo in cui vengono posti in essere atti idonei a pregiudicare l'adempimento dell'obbligazione tributaria, indipendentemente dalla realizzazione del fine programmato dal debitore o dal successivo pagamento dell'imposta in tal senso, quindi, la fattispecie risulta diversa rispetto all'omologa figura, oggi abrogata, di cui all'art. 97, comma sesto, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in quanto - a fronte della medesimezza sia dell'elemento soggettivo costituito dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, che della condotta materiale rappresentata dall'attività fraudolenta - da un lato, non richiede il presupposto materiale prima previsto dall'abrogata disposizione, ossia che l'amministrazione tributaria abbia già compiuto un'attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall'altro, non richiede quell'evento che, nella previgente previsione, era invece essenziale ai fini della configurabilità del reato, ossia la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva tra le altre, Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, Ghiglia, Rv. 239971 . Quanto poi al profitto del delitto in esame, confiscabile anche nelle forme per equivalente, lo stesso va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, pertanto, nella somma di denaro la cui sottrazione all'Erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la citata struttura di reato di pericolo Sez. 3, n. 10214 del 22/1/2015, Chiarolanza, Rv. 262754 Sez. 3, n. 33184 del 12/6/2013, Abrusci, Rv. 256850 profitto che - proprio perché costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguente alla consumazione del reato - può consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi e sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario Sez. U, n. 18374 del 31/1/2013, Adami, Rv, 255036 . 5. Così richiamata la natura del reato in oggetto, rileva il Collegio che la motivazione con la quale è stata confermata la misura in atto risulta, per un verso, conforme agli indirizzi ermeneutici appena richiamati, e, per altro verso, sostenuta da un adeguato e logico percorso argomentativo, in alcun modo censurabile come inesistente o meramente apparente. L'ordinanza impugnata, infatti, richiamata la natura di reato di pericolo della fattispecie di cui all'art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000, ha quindi evidenziato che 1 l'11/4/2015, l' Iside s.r.l. aveva ricevuto la notifica di cartelle esattoriali per l'importo di 512.625,42 Euro riferite ad omessi e/o carenti versamenti Ires, Irap ed I.v.a. per l'anno 2007, nonché I.v.a. anche per il 2006 2 il successivo 14/7/2011, la stessa società aveva ceduto alla costituenda Ratumena s.r.l. il ramo d'azienda comprensivo di beni immobili, per un valore di circa 1,06 milioni di Euro 3 il legale rappresentante della cessionaria era ancora il B. , che ne aveva sottoscritto il capitale per 2.000 Euro, a fronte dei restanti 98.000 Euro sottoscritti dalla Iside . Sì da ravvisare il fumus del delitto contestato, a fronte di una alienazione del bene fatta dall'indagato sostanzialmente a sé stesso per mezzo dello schermo costituito dall'impresa acquirente, ed in epoca coincidente con la conoscenza della pretesa erariale”, sì da ledere quella garanzia patrimoniale che la norma intende invece tutelare fumus , peraltro, sul quale il ricorso non spende alcuna considerazione. Quanto, poi, alla soglia di punibilità indicata dall'art. 11 in esame, da valutare in termini complessivi e non distinti per singola imposta od annualità, l'ordinanza impugnata ha evidenziato che dall'importo totale di 536.468,39 Euro doveva essere detratta la somma di 9.686,09 Euro a titolo di Irap, pacificamente non richiamata nella norma in esame il che, però, non ha inciso in alcun modo sul superamento della soglia stessa, comunque ravvisato dal Tribunale. Del pari, ancora con motivazione adeguata, il Collegio di merito non ha tenuto conto delle doglianze difensive in punto di I.v.a., 2007 per 306.152,00 Euro , atteso che - alla luce della citata natura di reato di pericolo – un eventuale annullamento delle cartelle esattoriali non verrebbe in alcun modo ad incidere sulla configurabilità della fattispecie di reato”. E con l'ulteriore precisazione per cui la Iside aveva portato in detrazione un credito i.v.a. relativo all'anno 2006, allorquando, però, non aveva presentato il Modello unico, sì da non consentire alcuna verifica al riguardo quel che - come affermato nel provvedimento impugnato – consente all'ufficio tributario di procedere all'accertamento dell'imposta per l'anno successivo proprio sulla base del rilievo che l'imposta portata in compensazione a quella dovuta non risulta dimostrata”. Da ultimo, e con riguardo all'ipoteca che gravava sul bene in sequestro per 17,6 milioni di Euro a garanzia di mutuo ipotecario, il Tribunale ha affermato - con argomento logico non censurabile in questa sede - che la stessa non incide affatto sulla configurabilità del delitto in esame, atteso che l'Erario ben può concorrere con il creditore ipotecario. Orbene, a fronte di una motivazione così adeguata e sostenuta da solido percorso logico, il gravame invoca a questa Corte una nuova e diversa valutazione delle medesime emergenze in fatto già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una lettura alternativa e più favorevole il che, però, non è consentito, atteso il ristretto - e già richiamato - ambito di intervento del Giudice di legittimità in materia di misure cautelari reali, che non può involgere un diverso esame dei singoli aspetti contabili della vicenda, che il ricorso invece riporta in termini estremamente analitici, distinti per importi, imposte ed annualità, come se si trattasse di un'impugnazione sollevata in sede di merito. Ciò, in particolare, con riguardo al credito I.v.a. 2007, in ordine al quale il B. spende numerose considerazioni sul fatto che, quand'anche disconosciuto perché relativo ad un credito formatosi in un'annualità per la quale non era stata presentata la dichiarazione , lo stesso non si trasformerebbe sic et simpliciter in debito corrispondente argomento motivato con ripetuti richiami contabili, con precisa indicazione delle righe compilate nelle dichiarazioni I.v.a. interessate, ma non certo esaminabile - nei termini in cui è stato proposto - da questa Corte di legittimità. 6. Del pari, non può essere accolto neppure il secondo punto del motivo sollevato, relativo alla dedotta inidoneità dell'atto di cessione a pregiudicare la garanzia per l'Erario ed invero, la stessa doglianza si fonda su una circostanza in fatto - ovvero che la Iside , già al 30/6/2011, fosse morosa nei confronti della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio per circa 2,78 milioni di Euro, ossia per un ammontare sostanzialmente coincidente con il valore del cespite” - che questa Corte non può certo valutare come tale e che, comunque, non pare costituire adeguata censura all'ordinanza impugnata anche in punto di dolo , espressasi - come indicato - sulla possibilità che l'amministrazione concorra sul riparto del valore del bene ipotecato a favore di terzi. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.