Pericolo di reiterazione della condotta fraudolenta per gli impiegati di Sanremo

Il rimando operato dal G.I.P. nella motivazione dell’ordinanza delle misure cautelari, alle richieste del PM, è legittimo se è frutto di una autonoma valutazione sull’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico degli imputati e sulla possibilità di reiterazione delle condotte.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3289/16, depositata il 26 gennaio. Il caso. I ricorrenti contestano la poca specificità nella motivazione dell’ordinanza che impone le misure cautelari, predisposte a causa del pericolo di reiterazione dei reati di truffa aggravata ed interruzione di pubblico servizio ai danni del Comune di Sanremo, e la mancata valutazione autonoma delle risultanze delle indagini da parte del G.I.P Le dettagliate contestazioni. La Cassazione sottolinea che a tutti i 25 ricorrenti sono state attribuite contestazioni dettagliate, riportate dal G.I.P. nell’ordinanza impugnata, contenenti gli specifici addebiti mossi, con persino l’indicazione degli orari in cui si sono svolte le condotte fraudolente. Inoltre fa notare che, nonostante abbia rimandato alla richiesta del PM per la descrizione degli elementi investigativi per ciascun indagato, il Giudice ha indicato gli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria, i risultati provenienti dall’analisi incrociata dei mezzi di prova e indicato le posizioni ricoperte da ciascun indagato all’interno dell’amministrazione sanremese. Bisogna ritenere tale rimando è legittimo, poiché non è frutto di un semplice copia - incolla”, ma di una autonoma valutazione, concorde con quella della pubblica accusa, sull’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dei ricorrenti e sulla possibilità di reiterazione delle condotte. Motivazioni delle misure cautelari. Per quanto riguarda la motivazione delle misure cautelari, la Cassazione ritiene il G.I.P. abbia autonomamente verificato e valutato la rilevanza delle emergenze investigative, considerato fondato il pericolo di reiterazione del reato, la possibilità di manipolazione delle prove e il rischio di versioni difensive concordate soprattutto in considerazione che nell’ufficio comunale l'assenteismo era ormai divento un comportamento abituale, costituente una prassi consolidata , sia per le posizioni apicali che per i lavoratori in ruoli subordinati. Quindi, non è dimostrabile l’appiattimento” del Giudice per le indagini preliminari rispetto alle richieste del Pubblico Ministero e di conseguenza i ricorsi vanno rigettati.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 dicembre 2015 – 26 gennaio 2016, numero 3289 Presidente Esposito – Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il G.I.P. del Tribunale di Imperia ha disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari per tutti i ricorrenti - ad eccezione di Anumero Lu. , N.M. ed Q.E. , ai quali è stata applicata la misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria - in relazione a varie ipotesi di reato di truffa aggravata, falsità ideologica, interruzione di pubblico servizio e del reato di cui all'art. 55 quinquies D.Lgs.165/2001 come modificato da D.Lgs. 150/2009. 2. Agli indagati è stato contestato, con riguardo al ruolo da ciascuno di essi ricoperto quali dipendenti del Comune di Sanremo, di essersi ripetutamente assentati dal luogo di lavoro senza previa timbratura del cartellino personale, nonché di avere successivamente attestato falsamente un orario di entrata ed uscita dall'ufficio diverso da quello reale adducendo l'omessa timbratura per dimenticanza ed, inoltre, di avere consentito la timbratura del cartellino personale da parte di persone diverse in loro assenza, onde consentire il tardivo ingresso o l'anticipato allontanamento rispetto all'orario attestato. 3. Il primo giudice ha tratto i gravi indizi di colpevolezza a carico dei ricorrenti dalle risultanze delle investigazioni effettuate dalla Guardia di Finanza a partire dalla seconda metà del 2013 e fino all'estate del 2014 indagini consistite nell'esame incrociato dei tabulati contenenti il prospetto delle timbrature in entrata ed in uscita dall'ufficio dei dipendenti del Comune e degli esiti di attività di videosorveglianza degli ingressi di alcuni uffici dell'ente, uniti a servizi di pedinamento di alcuni dipendenti. Il G.I.P. segnalava che nella richiesta del PM erano state partitamente indicate le singole risultanze per ciascuno dei ricorrenti, corredate da fotografie e tabelle sinottiche, per il resto rimandando a tale atto e aggiungendo una precisazione, a titolo di esempio, relativa al ricorrente A.F. fg.212 dell'ordinanza impugnata ed altre indicazioni specifiche inerenti il comportamento di altri dipendenti del Comune del pari indagati ma che non si annoverano tra gli odierni impugnanti. 4. Quanto alle esigenze cautelari, il G.I.P. ha ritenuto sussistente, in primo luogo, quella relativa al pericolo di ricaduta nel reato, deducendola dalla reiterazione sistematica da parte degli indagati delle condotte illecite , costituenti una prassi consolidata , a dimostrazione della spregiudicatezza di ciascuno, sia che si trattasse di funzionari con posizioni apicale, sia di soggetti con ruoli subordinati fg.214 del provvedimento impugnato . In secondo luogo, il primo giudice ha individuato il pericolo di inquinamento probatorio, desumendolo sia dalla necessità di completamento delle indagini attraverso perquisizioni, acquisizioni informatiche, assunzione di sommarie informazioni, sia dal rischio di indebite manipolazioni dei dati presenti all'interno degli uffici ed, infine, anche dal rischio di contatti tra gli interessati volti a fornire versioni difensive concordate. Entrambe le citate esigenze cautelari il G.I.P. riteneva attuali, avuto riguardo alla oggettiva circostanza della conoscenza del procedimento da parte dei ricorrenti rispetto al pericolo di inquinamento come sopra tratteggiato ed alla ridetta abitualità delle condotte, non cessata neanche dopo la fine delle prime investigazioni, secondo quanto risultava dalle ulteriori indagini successive all'estate del 2014 menzionate dal primo giudice ai fgg. 214 e 215 dell'ordinanza impugnata. Per il che, secondo il G.I.P., si imponeva l'applicazione delle disposte misure cautelari, che sono state graduate in relazione al numero ed alla entità delle violazioni commesse dagli indagati, così come sinteticamente riassunte ed indicate per ciascuno di costoro. 5. Avverso detto provvedimento ricorrono in cassazione gli indagati, deducendo, con motivi comuni e sovrapponibili, la violazione di legge di cui all'art. 292, comma 2, lettera c , cod.proc.penumero , nella parte in cui prescrive che l'ordinanza che dispone una misura cautelare deve contenere, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, l'esposizione e l'autonoma valutazione da parte del giudice sia delle specifiche esigenze cautelari che degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza. Il primo giudice, secondo le difese, si sarebbe appiattito al punto di vista del PM, come sarebbe dimostrato da una motivazione interamente per relationem alla richiesta di applicazione della misura da parte dell'organo della pubblica accusa, con la tecnica del copia/incolla che ne avrebbe mutuato le singole parole ed anche i refusi, in più utilizzando aggettivi apodittici e generici, senza alcuna individualizzazione degli elementi a carico dei singoli ricorrenti e delle esigenze cautelari riferibili a ciascuno, delle quali ultime non sarebbe stata evidenziata neanche l'attualità. Secondo i difensori, tali modalità di stesura della motivazione non sarebbero più consentite dopo la modifica della norma richiamata intervenuta con la legge 16 aprile 2015 numero 47. Da ultimo, sono stati depositati motivi nuovi da parte dei ricorrenti G. , Lo. , Pe. , M. , C. e B. , con i quali, oltre a ribadire le ragioni dei ricorsi principali, si introducono specifici temi inerenti l'insussistenza delle esigenze cautelari quanto agli indagati Pe. e C. . Considerato in diritto I ricorsi sono infondati. 1.Va, in primo luogo, segnalato che ai ricorrenti sono state elevate contestazioni molto dettagliate - interamente riprodotte dal G.I.P. da fg.3 a fg. 209 dell'ordinanza impugnata - contenenti, per ciascuno di essi, gli specifici addebiti mossi, con indicazione dei giorni e degli orari in cui si erano verificate le singole condotte oggetto di addebito. Nella motivazione del provvedimento impugnato, in secondo luogo, il G.I.P. indicava la natura e la tipologia degli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria per giungere alla individuazione di tali specifici comportamenti da parte di ciascun indagato, consistenti, come si è già evidenziato, nell'acquisizione dei tabulati contenenti il prospetto delle timbrature in entrata ed in uscita dagli uffici del Comune di Sanremo, servizi di pedinamento di alcuni dipendenti e risultati di attività di videosorveglianza effettuata con telecamere posizionate in quattro ingressi di uffici comunali dislocati in differenti luoghi della città di Sanremo, indicati dal G.I.P. a fg.209 dell'ordinanza impugnata. Il G.I.P. sottolineava, in terzo luogo, ai fgg. 209 e 210 dell'ordinanza, come ai risultati investigativi si fosse giunti attraverso l'analisi incrociata di tali mezzi di ricerca della prova. Siffatta analisi incrociata dei risultati delle investigazioni, aveva consentito di individuare dei comportamenti paradigmatici e ripetitivi da parte di molti dipendenti comunali, in violazione delle regole imposte dall'amministrazione a proposito dell'orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi ed, in particolare, delle modalità di entrata e di uscita dall'ufficio. Dopo questa descrizione d'insieme della vicenda oggetto d'indagine, utile a comprenderne i contenuti, il primo giudice, a fg. 211 del provvedimento impugnato, rimandava alla richiesta del PM con riguardo alla descrizione, caso per caso, degli elementi investigativi relativi a ciascun indagato, colà partitamente sviluppati in maniera individualizzata con tanto di fotografie e tabelle sinottiche in detti elementi rinvenendo gli indizi di colpevolezza dei reati contestati agli odierni ricorrenti. È tale richiamo alla richiesta del PM che, secondo questi ultimi, avrebbe costituito la prima e più eclatante violazione del dovere del giudice di adottare un'autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a loro carico posti a fondamento dell'ordinanza custodiale, secondo quanto impone la nuova formulazione dell'art. 292, comma 2, lett. c , cod.proc.penumero , dopo la modifica introdotta dall'art. 8, comma 1, legge 16 aprile 2015 numero 47. Tuttavia, osserva la Corte, il citato richiamo operato dal G.I.P. alla richiesta del PM deve ritenersi immune dalla dedotta violazione di legge. Bisogna premettere che tale richiesta dell'autorità giudiziaria procedente, come risulta dall'ultima pagina dell'ordinanza impugnata, era stata depositata presso la Cancelleria del G.I.P. unitamente allo stesso provvedimento impositivo della misura ed in uno agli atti allegati , sicché essa era stata posta a conoscenza di tutti gli indagati e dei loro difensori, i quali, infatti, nulla hanno eccepito in proposito. Ma quel che risulta decisivo è il rilievo che, in concreto, il rimando operato dal G.I.P. non è stato indirizzato ad una parte motivazionale del provvedimento del PM acriticamente recepita attraverso tale rinvio, quanto, piuttosto, ad un corposissimo numero di elementi investigativi obbiettivi - come le fotografie, i pedinamenti, le timbrature dei cartellini marcatempo, i fotogrammi tratti dalle videoriprese - riassunti individualmente dal rappresentante della pubblica accusa nella sua richiesta con riguardo ad ognuno degli indagati e per mezzo anche di tabelle sinottiche . Il richiamo è stato effettuato, dunque, ad atti del procedimento specificamente indicati, dal cui esame incrociato il G.I.P., secondo quanto precisato nella prima parte della motivazione dell'ordinanza impugnata, traeva, concordemente all'organo della pubblica accusa ma in piena autonomia da esso, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dei ricorrenti e tutte le conseguenti valutazioni in ordine alle modalità delle condotte degli indagati, commentate anche con aggettivi piuttosto coloriti, l'uso dei quali contribuisce a dimostrare, in fin dei conti, lo svolgimento di un proprio e diverso percorso argomentativo rispetto al PM. Per di più, deve sottolinearsi come il primo giudice abbia definitivamente dimostrato di aver effettuato una propria autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati, nel rispetto della norma sopra richiamata, allorquando, nell'ultima parte del provvedimento e sia pure a proposito della sussistenza delle esigenze cautelari, sintetizzava, con riguardo alla posizione di ciascun soggetto anche di quelli che non si annoverano tra gli odierni ricorrenti , le funzioni ricoperte all'interno dell'amministrazione comunale e, soprattutto, il numero di violazioni commesse singolarmente. Attraverso una chiara, efficace e personalizzata sintesi delle risultanze investigative, a completamento del suo iter motivazionale cfr.fgg.217-223 del provvedimento impugnato . Tali individualizzanti specifiche, rendono prive di rilievo ed assorbono tutte le segnalazioni difensive in ordine ad alcuni passaggi del provvedimento impugnato, da ritenersi marginali alla luce di quanto precisato, in cui il G.I.P. mostrava di mutuare le analoghe argomentazioni dell'organo della pubblica accusa. 2. Le precedenti osservazioni valgono a superare le analoghe censure dei ricorrenti riguardo alla mancanza di autonoma valutazione da parte del G.I.P. in ordine alla sussistenza ed attualità delle esigenze cautelari. Le quali, al contrario, si colgono, nella loro concretezza, di nuovo nella specifica indicazione del numero, invero assai cospicuo tanto da divenire una prassi, delle violazioni commesse da ciascun ricorrente, dalle quali il G.I.P. traeva, del tutto ragionevolmente, il pericolo di reiterazione dei reati contestati e la sua attualità, anche tenuto conto della non eccessiva datazione dei primi accertamenti e, sotto il profilo probatorio, delle indagini ancora in corso e della agevole possibilità da parte degli indagati di concordare versioni di comodo in ordine agli addebiti loro contestati. A ciò si aggiunga, con particolare riferimento a questo secondo profilo di doglianza, come la circostanza che il G.I.P. abbia graduato le misure cautelari applicate ai ricorrenti - per qualcuno di essi ritenendo adeguata quella dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria invece degli arresti domiciliari - dimostra una valutazione ancora una volta autonoma circa la rilevanza delle singole emergenze investigative inerenti ciascun indagato, così come delle precipue esigenze cautelari in rapporto alle violazioni da ognuno di essi commesse dunque, l'assenza di appiattimento rispetto alle richieste del PM, che aveva invocato per tutti i ricorrenti indistintamente l'applicazione della custodia cautelare domiciliare. Tutte le altre argomentazioni difensive contenute nei ricorsi, attengono al merito delle scelte operate dal G.I.P. in ordine all'adeguatezza delle misure applicate od all'omesso esame di alcune specifiche emergenze a favore di qualche interessato come, ad esempio, nel caso degli indagati C. e Pe. . Si tratta, pertanto, anche alla luce di quanto fin qui precisato, di censure che attengono a supposte e parziali carenze motivazionali del provvedimento impugnato, non riconducibili ad alcuna violazione di legge, ma ai vizi della motivazione declinati dall'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , non valutabili in questa sede secondo quanto prevede l'art. 311, comma 2, cod.proc.penumero . È costante, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, l'orientamento secondo cui in sede di ricorso per saltum avverso un'ordinanza impositiva di misura cautelare, quel che rileva ai fini dell'annullamento del provvedimento è solo la mancanza assoluta della motivazione od una illogicità talmente evidente da farla ritenere inesistente da ultimo, sez.6, numero 18725 del 19/04/2012, Ponzoni . Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.