Bancarotta per distrazione: il reato non sussiste se la società ha a disposizione altre risorse

Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale si configura quale reato di pericolo concreto, aggiungendo che tale fattispecie delittuosa non può essere contestata all’amministratore che impoverisca la società di risorse enormi quando questa abbia comunque a disposizione risorse ben più rilevanti idonee a fornire garanzia per eventuali pretese creditorie.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 49622, depositata il 16 dicembre 2015. Il caso. La Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del Gup di Avellino con la quale alcuni membri del c.d.a. e del collegio sindacale di una società cooperativa a responsabilità limitata venivano condannati per bancarotta fraudolenta patrimoniale per aver concorso alla distrazione dei beni della cooperativa attraverso il conferimento di un ramo dell’azienda ad una s.r.l. di nuova costituzione, alla quale conferivano gratuitamente anche marchio, il know how e autorizzazioni amministrative poco prima del fallimento della cooperativa. L’indeterminatezza dell’imputazione. Avverso tale pronuncia propongono ricorso per cassazione gli imputati lamentando la nullità della sentenza per indeterminatezza delle imputazioni. I ricorrenti si erano infatti visti contestare le condotte di cui all’art. 216, n. 1, ma la sentenza con cui il Gup li riteneva responsabili in primo grado, sottolineando come le condotte contestate si concretizzavano nel conferimento dell’intera azienda la cui sopravvivenza era mera utopia, era invece riferita alla diversa fattispecie di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l. fall. La lesione del diritto di difesa. La Corte di Cassazione ritiene fondate le censure così sollevate e sottolinea come non siano condivisibili le argomentazioni del giudice di merito, secondo il quale pur rimanendo nell’identità del fatto contestato la diversa qualificazione giuridica dello stesso non abbia comportato una lesione del diritto di difesa. Al contrario, i ricorrenti inizialmente rinviati a giudizio per aver tra l’altro distratto beni della cooperativa, ritennero di optare per il rito abbreviato, ma si videro poi dichiarati penalmente responsabili per la diversa fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il capo d’imputazione contestato riferendosi all’art. 223 l. fall. doveva infatti intendersi come riferito alle condotte di cui all’art. 216, nn. 1 e 2, non potendo in alcun modo essere interpretato come strumento formale per far rientrare nell’addebito le ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 223 l. fall. considerato pacificamente come reato di evento consistente nella declaratoria di fallimento, quale conseguenza eziologica della condotta dolosa del soggetto. L’elemento soggettivo nel reato. In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale invece assumono rilevanza penale, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione in qualunque momento verificatisi anche prima dunque dello stato di insolvenza, senza che sia necessario alcun nesso causale o psichico tra la condotta e il dissesto dell’impresa. Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo concreto e si perfeziona con il dolo generico della consapevolezza di dare una destinazione diversa al patrimonio sociale come dimostra la divergenza strutturale tra la fattispecie di cui all’art. 216 l. fall. e quella risultante delle varie ipotesi di cui all’art. 223 l. fall., le uniche in cui il legislatore abbia espressamente conferito rilievo alle condotte che hanno cagionato il fallimento. Tale argomentazione non può superarsi nemmeno considerando l’art. 223, comma 2 come norma di chiusura con funzioni interpretative dell’intero sistema sanzionatorio. Il concreto pericolo per le garanzie creditorie. In conclusione, il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale punisce il depauperamento dell’impresa consistente nell’aver destinato le risorse della stessa a scopi estranei all’oggetto sociale, in cui la rappresentazione e la volontà dell’agente attiene alla deminutio patrimoni e non certo al successivo fallimento. Si configura dunque come reato di pericolo concreto in cui la concretezza assume la sua dimensione effettiva nel momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento, condizione comunque non indispensabile per l’esercizio dell’azione penale. Deve dunque restare esente da pena il soggetto che distragga enormi risorse alla società se la stessa ha comunque a disposizione riserve ben più rilevanti e idonee a fronteggiare le eventuali pretese creditorie, posto che in tal caso il pericolo di pregiudizio per i creditori non assume la concretezza richiesta dall’ordinamento. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla senza rinvio la sentenza impugnata. Fonte www.ilsocietario.it

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 giugno – 16 dicembre 2015, n. 49622 Presidente Fumo – Relatore Micheli Ritenuto in fatto 1. Il 09/01/2014, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Avellino, in data 23/10/2009, nei confronti anche di B.A.G. , G.F. , A.F. e G.T.G. , condannati a pene ritenute di giustizia in ordine a reati ex art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall. le condotte ascritte agli imputati si riferivano alla gestione della Società Cooperativa La Folgore a r.l., dichiarata fallita nell'aprile 2004, e venivano riqualificate nei termini anzidetti - quali comportamenti dolosamente orientati a cagionare il fallimento della società - dal giudice di primo grado, a fronte di una originaria contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Secondo l'iniziale assunto accusatorio, il B. membro del consiglio di amministrazione a far data dal 2000, quale consigliere delegato, quindi presidente dello stesso c.d.a. dal gennaio 2003 , G.F. e l'A. a loro volta membri del c.d.a., rispettivamente dal 2000 e dal 1997 , nonché G.T.G. presidente del collegio sindacale, dal giugno 1997 avevano concorso nella distrazione, nell'occultamento e nella dissipazione totale o parziale dei beni della cooperativa, in particolare attraverso una operazione di conferimento di ramo di azienda ad una s.r.l. di nuova costituzione, denominata a sua volta Folgore . A tale società, nel giugno 2003, la cooperativa poi fallita aveva ceduto a titolo sostanzialmente gratuito marchio, know how, autorizzazioni amministrative, rapporti contrattuali, crediti verso i soci ed ulteriori poste attive nel dare atto delle ragioni della riqualificazione degli addebiti, la Corte di appello ricordava - v. pag. 8 della motivazione della sentenza - che il primo giudice ha escluso l'ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta per distrazione sul presupposto che, nella fattispecie considerata, il conferimento delle attività avviamento, marchio, beni strumentali, crediti della cooperativa ad altra società, la Folgore s.r.l., non avesse realizzato una distrazione delle predette attività dal patrimonio sociale, e quindi un depauperamento di quest'ultimo in danno dei creditori sociali, bensì un distacco solo apparente del patrimonio”. Ciò in quanto la cooperativa, divenendo socio unico al 100% della società a responsabilità limitata di nuova costituzione, avrebbe conservato la titolarità del patrimonio medesimo, venendo a mutare soltanto la forma giuridica di tale titolarità, da diretta a titolarità mediata attraverso la partecipazione al 100% di altra società”. Nel contempo, però, quella stessa operazione aveva causato il fallimento della stessa cooperativa, avendo privato quest'ultima di ogni attività e di qualunque fonte finanziaria per la prosecuzione dell'attività”. Ad avviso del Gup, il fatto contestato doveva intendersi comunque identico, sia perché la rubrica richiamava l'art. 223 legge fall., sia perché nella descrizione della condotta degli imputati risultava precisato che il conferimento delle attività alla nuova s.r.l. da parte della cooperativa era stato realizzato privando quest'ultima di qualsiasi fonte di entrata finanziaria valutazione, questa, condivisa dalla Corte napoletana, secondo cui il giudice di primo grado aveva soltanto riqualificato un medesimo fatto, in ordine al quale il diritto di difesa era stato pienamente esercitato. La Corte territoriale disattendeva così le censure avanzate in rito dai difensori degli imputati, per violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. riteneva parimenti infondate le doglianze degli appellanti circa la necessità di inquadrare l'operazione sopra ricordata nell'ambito di dinamiche infragruppo, richiamando a riguardo la giurisprudenza di legittimità in tema di natura meramente economica delle ipotesi di collegamento societario e di onere dell'interessato di fornire la dimostrazione di eventuali vantaggi compensativi. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, assumeva rilievo decisivo la circostanza che l'operazione di cui sopra era avvenuta in una conclamata situazione di dissesto, e ne era derivata la sottrazione ai creditori della componente attiva del patrimonio sociale con una solo remota ed aleatoria prospettiva che gli stessi creditori avessero a soddisfarsi sugli utili ricavati dalla cooperativa per effetto della partecipazione nella s.r.l. non a caso, il fallimento era stato posteriore di soli pochi mesi rispetto al conferimento de quo, visto che alla società erano rimaste solo le poste debitorie erariali e previdenziali, e proprio la mancata estinzione di queste aveva determinato la definitiva insolvenza. Osservava la Corte di appello che gli imputati, sia come amministratori che come sindaci, avrebbero dovuto tenere ben presente lo stato di grave difficoltà in cui la cooperativa già versava, e provvedere a ripianare le perdite ovvero a promuovere un'attività conservativa a fini liquidatori senza realizzare invece piani di ristrutturazione come quello cui si era dato corso, suggerito da una società di consulenza ma v. pag. 11 della motivazione della sentenza impugnata del tutto contrario ai principi civilistici”. Ergo, tutti gli appellanti non potevano, trattandosi [ ] di una società di grosse dimensioni gestita da un organo amministrativo collegiale ed avente requisiti dimensionali tali da comportare la previsione di un collegio sindacale, non comprendere le conseguenze economiche dell'operazione”. 2. Avverso la sentenza pronunciata in grado di appello propone ricorso, che affida a quattro motivi, l'Avv. Gaetano Aufiero, nell'interesse del B. . 2.1 Con i primi due motivi, esposti in unicum, l'Avv. Aufiero lamenta nullità della sentenza impugnata per sopravvenuta nullità e indeterminatezza del capo d'imputazione, violazione degli artt. 516, 521 e 522 cod. proc. pen., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione. La tesi difensiva è che l'imputato sia stato condannato per un fatto diverso da quello originariamente contestato, peraltro nell'ambito di un processo dove il B. aveva esercitato l'opzione per il giudizio abbreviato sulla base della originaria rubrica in particolare, ancor prima e indipendentemente dall'inosservanza delle norme processuali sopra richiamate, deve ritenersi che la Corte di appello non abbia in alcun modo valutato le censure mosse nei confronti della decisione di primo grado in punto di omessa descrizione, nel capo d'imputazione, di una chiara e precisa condotta ascrivibile al B. , da intendere di rilievo penale ai sensi dell'art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall. Infatti, il frammento di contestazione che il Gup risulta avere estrapolato da uno dei capoversi della rubrica privando quest'ultima - la cooperativa poi fallita - di qualsiasi entrata finanziaria non può valere a descrivere alcun comportamento determinato riconducibile al presidente del consiglio di amministrazione o ad altri, ove si consideri che lo stesso giudice di primo grado risulta giunto alla contestuale conclusione che tutti i fatti di presunta distrazione riportati nella contestazione di reato non costituivano inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale”. Non corrisponde al vero, dunque, che vi sia stata condanna per lo stesso fatto, diversamente qualificato, né che la differenza tra la fattispecie distrattiva in concreto contestata e la ipotizzata condotta ex art. 223 derivi soltanto dalla circostanza che si viene a discutere di fatti di bancarotta commessi da persone diverse dal fallito stricto sensu tale osservazione può riguardare le ipotesi di cui al comma primo dell'art. 223, e non anche quelle - come nel caso in esame, riconducibile al comma secondo - dove l'addebito ritenuto riguardi il diverso comportamento di avere cagionato dolosamente il fallimento della società. Del tutto illogica è pertanto l'argomentazione addotta dal giudice di prime cure a sostegno della condanna per il diverso fatto in quanto, come è evidente, egli era ben consapevole di tale violazione, ma che tentava vanamente di superare eventuali censure esclusivamente sottolineando come l'articolo di legge 223 legge fall. fosse stato indicato nel capo d'imputazione, laddove invece tale articolo era indicato nel capo di imputazione esclusivamente per individuare la diversità dei soggetti attivi del delitto di bancarotta, e non certamente onde contestare il diverso delitto di avere dolosamente cagionato il fallimento della società”. 2.2 Con il terzo motivo, il difensore del B. deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 216 e 223 r.d. n. 267/1942, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza oggetto di ricorso. L'Avv. Aufiero fa presente che la Corte napoletana avrebbe confermato la sentenza di primo grado non già ripercorrendo le argomentazioni del Gup del Tribunale di Avellino, ma piuttosto ritenendo la sussistenza della bancarotta per distrazione esclusa invece dalla pronuncia appellata e senza soffermarsi sulla figura delittuosa per cui era intervenuta l'effettiva condanna. Il primo giudice, infatti, aveva espressamente escluso che l'operazione volta a cedere alla Folgore s.r.l. i beni materiali ed immateriali sopra ricordati valesse a configurare una bancarotta fraudolenta patrimoniale e, sul punto, non vi era stata alcuna impugnazione tuttavia, la Corte territoriale, nel ribadire la declaratoria di penale responsabilità degli imputati, afferma - peraltro richiamando la giurisprudenza di legittimità in tema di operazioni infragruppo e vantaggi compensativi, attinente l'ipotesi criminosa di bancarotta per distrazione - che il conferimento delle attività de quibus era avvenuto in assenza di contropartita economica”. Con ciò sconfessando l'assunto del Gup, oramai irrevocabile, secondo cui l'operazione contestata non poteva intendersi realmente gratuita. La difesa censura altresì l'osservazione della Corte di appello laddove si sostiene che l'operazione in esame avrebbe privato la cooperativa di consistenza patrimoniale, senza considerare invece che quegli assets aziendali rimanevano nel patrimonio della società per effetto della partecipazione al capitale della Folgore s.r.l., nella misura del 100% tanto è vero che gli organi della procedura concorsuale, così come il Tribunale di Avellino, sezione lavoro, avevano rilevato la piena legittimità e convenienza economica di quel conferimento, financo realizzato all'esito di un piano di risanamento predisposto da una società specializzata e con modalità tali da dare, già nell'immediato, risultati del tutto positivi. Altrettanto insostenibili vengono considerate le valutazioni compiute dalla Corte territoriale in punto di elemento soggettivo, che si esauriscono nella affermazione apodittica che amministratori e sindaci non potevano non comprendere le conseguenze economiche dell'operazione più volte ricordata. 2.3 Con il quarto motivo, l'Avv. Aufiero si duole della violazione dell'art. 62-bis cod. pen., nonché di un ulteriore profilo di mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata. La Corte partenopea afferma, quando al trattamento sanzionatorio, che l'entità delle pene inflitte sarebbe congrua anche in ragione del riconoscimento delle attenuanti generiche in favore degli imputati, senza avvedersi che le circostanze in parola, quanto al B. , erano state invece negate dal Gup. Ne deriva il radicale difetto di motivazione sullo specifico motivo di appello avanzato dalla difesa dell'imputato, con il quale si era fra l'altro evidenziato che - nulla autorizzava a ritenere, come invece ipotizzato dal primo giudice, che il B. fosse stato, in quanto presidente del consiglio di amministrazione, il necessario ideatore dell'operazione - non aveva alcun rilievo il particolare, parimenti enfatizzato dal Gup in chiave negativa, che il B. fosse stato personalmente presente alla stesura dell'atto notarile, visto che per lui - in quanto legale rappresentante della cooperativa - si era trattato di una partecipazione obbligata. 3. Propone separato ricorso anche il secondo difensore del B. , Avv. Ferdinando Frasca. L'Avv. Frasca premette una serie di rilievi basati sulle conclusioni raggiunte dal Gup del Tribunale di Avellino, secondo cui deve intendersi provato e non più superabile da argomentazioni contrarie, stante la forza del giudicato che - l'operazione di conferimento dalla cooperativa Folgore a Folgore s.r.l. interamente partecipata dalla prima non integra una cessione o trasferimento di beni da un soggetto ad un altro si era in tal modo attuato un conferimento di beni in una società di nuova costituzione, ed il valore di quelle poste attive permaneva nella cooperativa, sotto forma di titolarità delle quote della nuova società, venendo a mutare solo la forma giuridica della titolarità in precedenza derivante dalla proprietà diretta dei beni conferiti - sul piano patrimoniale, nulla era mutato, essendovi corrispondenza tra il valore dei beni e quello delle quote - l'operazione, in definitiva, non veniva a concretizzare una fattispecie distrattiva. 3.1 Ciò posto, con un primo motivo di ricorso l'Avv. Frasca deduce a sua volta nullità della pronuncia impugnata per difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, nonché motivazione mancante ed apparente. La Corte di appello non avrebbe affatto esaminato il motivo di gravame secondo cui non risultava contestata in alcun modo al B. la condotta di avere cagionato il fallimento della cooperativa con dolo o per effetto di operazioni dolose né in ordine alla censura mossa alla sentenza di primo grado, con cui si era lamentato che alla mancata contestazione in fatto di un delitto, non può supplirsi estrapolando un frammento di altra e diversa contestazione, peraltro afferente ad altre e diverse attività, e che tale supplenza è certamente da escludersi quando, per i fatti di cui al diverso capo d'imputazione contenente il citato frammento, il giudice stesso ha statuito l'irrilevanza penale”. Risulta in particolare smentito su base documentale - e frutto di sostanziale travisamento - l'assunto della Corte territoriale in base al quale il Gup avrebbe ad uno stesso fatto, come originariamente contestato, dato una differente qualificazione giuridica al contrario, per giungere alla declaratoria di penale responsabilità in ordine al delitto ex art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., si è reso necessario aggiungere alle azioni descritte in rubrica quella - mai contestata -di avere cagionato con dolo, o per effetto di operazioni dolose, il fallimento della società. Inoltre, la contestazione di avere privato la cooperativa di qualsiasi fonte di entrata finanziaria, sulla base della quale i giudici di merito hanno ritenuto già immanente alla rubrica la diversa qualificazione dell'addebito, risultava in realtà limitata ad una sola delle condotte secondo l'originaria ipotesi distrattive, e non riguardava invece la totalità delle cessioni di beni, assets , know how e licenze amministrative. L'Avv. Frasca rappresenta infine che la Corte di appello non avrebbe spiegato come e perché possa essersi cagionato il fallimento da un'operazione che secondo il giudice di primo grado non aveva comunque privato la cooperativa di poste attive del patrimonio, realizzandone soltanto una migliore e più razionale allocazione. 3.2 Nell'interesse del B. si lamenta motivazione mancante od apparente anche a proposito della ritenuta impossibilità che la cooperativa sopravvivesse all'esito del conferimento, essendo utopica la prospettiva di percezione degli utili prodotti dalla società partecipata. A tale riguardo, la difesa obietta che la cooperativa aveva mantenuto il ramo d'azienda afferente l'attività di investigazione, da cui ben potevano derivare risorse finanziarie, e sussisteva comunque la possibilità che fossero vendute, in tutto od in parte, le stesse quote della s.r.l., tanto più che la nuova allocazione delle poste attive cedute ne comportava un incremento di valore ancora, era più che concreta la prospettiva che la società ricorresse al credito dietro dazione in pegno delle quote medesime. Altrettanto immotivata sarebbe poi l'affermazione secondo cui la cooperativa non poteva percepire utili se non dopo almeno un anno, in ragione dei tempi di legge per l'approvazione del bilancio i termini in questione, infatti, sono soltanto quelli finali, e nulla avrebbe vietato alla partecipante, unica socia della Folgore s.r.l., di procedere con anticipo all'approvazione del bilancio della partecipata e di distribuire gli utili maturati. La Corte napoletana, come già il Gup in precedenza, aveva poi riconosciuto valenza decisiva ad una nota redatta da un consulente della cooperativa, l'Avv. Casaburi, secondo cui a seguito dell'operazione più volte descritta la vita della società non sarebbe stata lunga, facendone derivare la conclusione che era nota a tutti la finalità di far fallire la cooperativa stessa, gravata di debiti, provando a far partire nuovamente l'attività aziendale dietro lo schermo di un soggetto giuridico differente. Tuttavia, quello scritto avrebbe dovuto leggersi alla luce delle complessive risultanze dell'epoca in cui intervenne, quando la cooperativa - come emerso dallo studio di una società specializzata - era in grave crisi, e posta in una sostanziale impossibilità di operare sul mercato ergo, si era cercato di scongiurare un male certo ed imminente con l'unica strategia disponibile, ed in ogni caso ne emerge la conclusione che lo stato di decozione della cooperativa preesisteva all'operazione di conferimento a Folgore s.r.l., e tale operazione non è stata causa del fallimento, né poteva esserlo in quanto è stata la cura che si è tentata per salvare la cooperativa dal coma in cui già versava”. La difesa fa altresì rilevare che, nella fattispecie, il consiglio di amministrazione si era limitato a dare attuazione a quanto deliberato dall'assemblea dei soci, e non risulta provato in alcun modo che il consiglio stesso o singolarmente i suoi componenti compirono atti ulteriori e diversi rispetto a quanto deciso in sede assembleare. 3.3 L'Avv. Frasca censura la sentenza impugnata anche in punto di trattamento sanzionatorio, lamentando la immotivata scelta di una pena base aumentata del 50% rispetto al minimo edittale e l'omessa concessione delle attenuanti generiche in favore del B. che certamente avrebbe meritato una pena inferiore ed il riconoscimento delle circostanze ex art. 62-bis cod. pen., trattandosi di un socio lavoratore di una cooperativa di produzione, che aveva sempre vissuto in condizioni modeste ed aveva palesato, a tutto voler concedere, una condotta connotata da un dolo di estrema tenuità . Anche il secondo difensore del B. , con argomentazioni identiche a quello sviluppate dall'Avv. Aufiero, reputa illogiche le osservazioni della Corte di appello circa il ruolo di ideatore dell'operazione, da riconoscere all'imputato, e la ritenuta significatività della sua partecipazione diretta all'atto notarile. 3.4 Con il quarto motivo, il ricorrente si duole dell'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 37 cod. pen., in quanto la durata della pena accessoria inflitta all'imputato la inabilitazione all'esercizio di impresa commerciale, e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso imprese in genere non avrebbe dovuto indicarsi in 10 anni, come avvenuto, ma in misura corrispondente all'entità della pena principale. 3.5 L'ultimo motivo di ricorso si riferisce a censure in punto di statuizioni civili secondo l'Avv. Frasca, non sarebbe stata provata in capo alle parti civili l'esistenza di situazioni giuridiche da cui desumere che fosse loro derivato un pregiudizio, o comunque la prova di danni effettivi riportati dalle parti stesse e/o di un nesso causale tra le presunte condotte dell'imputato e i danni ipotizzati. 4. L'Avv. Frasca ricorre per cassazione, con atti di impugnazione di identico contenuto rispetto a quello appena esaminato tranne che in ordine alla dedotta violazione dell'art. 62-bis cod. pen., essendo state le circostanze attenuanti generiche negate al solo B. , anche nell'interesse di G.F. e di G.T.G. . 5. Per G.T.G. ricorre anche l'Avv. Angelo Pignatelli, che risulta nominato dall'imputato con atto del 12/05/2014, recante espressa dichiarazione di revoca di tutti gli altri difensori precedentemente designati. 5.1 Con un primo motivo di doglianza, l'Avv. Pignatelli deduce carenza di motivazione circa la sussistenza di nesso causale tra la condotta del G. e lo stato di dissesto della cooperativa, facendo osservare innanzi tutto che i giudici di merito avrebbero erroneamente utilizzato gli stessi argomenti per fondare la ritenuta responsabilità penale sia per gli amministratori che per i sindaci della società uno dei quali, peraltro, in posizione del tutto sovrapponibile a quella del ricorrente, risulta essere stato assolto già in primo grado . La Corte territoriale, in particolare, non si sofferma sulla posizione del G. , né indica in forza di quali elementi di informazione e/o segnali di allerta egli avrebbe dovuto cercare di impedire la cessione del ramo di azienda infragruppo si limita invece alla tautologica considerazione che le conseguenze economiche di quel conferimento non potevano non essere comprese anche dai sindaci, malgrado fosse stato appurato che il piano di risanamento aziendale era stato suggerito da soggetti qualificati, né poteva richiedersi ad un sindaco di incidere su scelte gestionali. Tanto più risultando parimenti provato che dalla relazione del collegio sindacale al bilancio dell'esercizio 2001 emergevano passività per oltre un miliardo di lire, indicative di una decozione in atto, in ordine alla quale lo stesso collegio aveva appunto sollecitato un piano di ristrutturazione fra l'altro, la nota dell'Avv. Casaburi con cui si preannunciava vita breve per la cooperativa a seguito dell'operazione in esame era stata portata a conoscenza del solo presidente del consiglio di amministrazione. Il difensore richiama la giurisprudenza di legittimità sui criteri per poter affermare la responsabilità di un sindaco, in specie all'esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 6 del 2003 al quadro di riferimento normativo sostiene quindi che la sentenza impugnata non consente alla Corte di Cassazione di verificare, attraverso un adeguamento ragionamento c.d. giudizio controfattuale , se, ipotizzando come realizzate le condotte doverose di cui agli artt. 2403-bis, 2406 e 2409 cod. civ., tali azioni avrebbero ragionevolmente scongiurato e/o impedito il fallimento della cooperativa, oppure se questo evento si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva”. 5.2 La difesa del G. lamenta altresì carenze motivazionali ed erronea applicazione della legge penale, per avere la sentenza della Corte napoletana ritenuto la penale responsabilità dell'imputato per condotte comunque estranee alle funzioni di controllo di un collegio sindacale. A tale proposito, vengono ribadite le censure di cui al motivo precedente, e si fa osservare che tra i poteri dei sindaci non vi era quello di bloccare e/o vanificare gli effetti del contratto di cessione di ramo di azienda deliberato dal c.d.a. della cooperativa La Folgore anche a seguito dei numerosi moniti operati dal medesimo collegio sindacale nelle varie sedute” una volta preso atto che gli organi amministrativi avevano dato corso alle sollecitazioni dei sindaci per adottare un piano di risanamento, non potevano spettare agli organi di controllo valutazioni preventive sulla idoneità del piano a fungere allo scopo, potendo al massimo rilevare eventuali ipotesi di chiara illegalità od illegittimità, non riscontrabili nel caso di specie. 5.3 Con una memoria difensiva depositata il 10/06/2015, l'Avv. Pignatelli sviluppa ulteriormente le argomentazioni già sopra evidenziate, rilevando come la responsabilità del proprio assistito dovrebbe affermarsi ex art. 40 cpv. cod. pen., quale concorso omissivo nella condotta posta in essere dai soggetti investiti di poteri gestori a riguardo, vengono richiamati plurimi precedenti della giurisprudenza di questa Corte, e si sostiene che l'ipotesi del coinvolgimento dei sindaci non può poggiare, acriticamente, solo sulla loro posizione di garanzia e discendere, tout court, dal mancato esercizio dei doveri di controllo, ma postula l'esistenza di elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, della partecipazione, in qualsiasi modo, dei sindaci all'attività degli amministratori, ovvero di valide ragioni che inducano a ritenere che l'omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori”. 6. Infine, propone ricorso, che affida a tre motivi, anche il difensore dell'A. , Avv. Alberico Villani. 6.1 Con il primo motivo, anche nell'interesse dell'A. si deduce violazione degli artt. 521 cod. proc. pen. e 223 legge fall. con argomenti sostanzialmente coincidenti con quelli esposti nei ricorsi esaminati in precedenza, il difensore dell'imputato ribadisce che l'opzione per il giudizio abbreviato era stata esercitata in relazione a un addebito di distrazione, poi chiaramente escluso, e fa presente che ipotizzare una condotta volta a cagionare il fallimento della cooperativa comporta introdurre nella rubrica un elemento del tutto estraneo al tenore iniziale del capo d'imputazione. Tanto più che - vista l'epoca del commesso reato - si ponevano questioni anche in tema di successione di leggi penali nel tempo, non apparendo certa la continuità normativa tra la fattispecie di cui all'art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., come oggi ridisegnata ed il precetto di cui alla disposizione previgente. 6.2 Con il secondo motivo, il difensore dell'A. lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., nonché difetto di motivazione della sentenza impugnata. Nel ricorso si rappresenta che non risulta dimostrata la circostanza secondo cui la condotta degli imputati avrebbe cagionato il fallimento, né vi è prova del presupposto stato di dissesto l'operazione mirava anzi a produrre risultati favorevoli per i creditori, per la nascita di una azienda sana in seno alla stessa cooperativa, che ne potesse valorizzare i punti di forza nel momento della ristrutturazione aziendale”, e conseguentemente garantire il mantenimento dell'occupazione lavorativa dei soci della cooperativa, destinata a trasformarsi in una società finanziaria e [ ] a sopravvivere con le utilità prodotte dalla società da essa interamente partecipata”. Nello specifico della posizione dell'A. , non risulta dimostrato neppure che egli disponesse di tutti gli elementi informativi necessari per comprendere la presunta, reale situazione di pericolo per la consistenza patrimoniale della società che il conferimento veniva a determinare, visto peraltro che l'atto deliberativo del 28/04/2003 - con il quale si decideva il conferimento in parola - non portava neppure la firma dell'imputato. 6.3 L'ultimo motivo di doglianza è dedicato alla presunta violazione dell'art. 133 cod. pen., risultando il trattamento sanzionatorio eccessivamente severo se posto in relazione alle peculiarità della vicenda e del coinvolgimento del ricorrente socio lavoratore della cooperativa i fatti avrebbero dovuto inquadrarsi in un contesto di prestazioni lavorative, piuttosto che di vere e proprie attività di gestione. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati, già in ordine alla questione processuale relativa alla lamentata violazione dell'art. 521 del codice di rito, che si rivela assorbente. 2. La fattispecie criminosa in ordine alla quale era stata esercitata l'azione penale a carico degli imputati risulta così descritta in rubrica reato p. e p. dagli artt. 110 cod. pen., 216 n. 1 e n. 2, 223, 219, co. 1 e 2, n. 1, legge n. 267/1942, perché, in concorso tra loro, nelle qualità sopra indicate, distraevano, occultavano, dissipavano in tutto o in parte beni della società cooperativa La Folgore a r.l., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Avellino in data 15/04/2004 [ ]. In particolare, in occasione del conferimento del ramo di azienda alla Folgore s.r.l. in data 09/06/2003 , alienavano gratuitamente alla Folgore s.r.l. il marchio, il know-how della cooperativa La Folgore a r.l., le autorizzazioni amministrative, i rapporti contrattuali con la clientela, di valore complessivo superiore ad Euro 100.000,00 secondo capoverso . Conferivano alla Folgore s.r.l. i crediti verso i soci per sottoscrizioni di aumento di capitale, pari ad Euro 849.617,22, nonché i crediti verso i soci per contributi in conto capitale, pari ad Euro 127.607,82, destinati alla copertura delle perdite ed al ripianamento del patrimonio netto della cooperativa La Folgore a r.l., privando quest'ultima di qualsiasi fonte di entrata finanziaria terzo capoverso . Il capo d'imputazione prosegue poi con l'indicazione di ulteriori, specifiche condotte - la distrazione di attività determinate dalla differenza tra il prezzo corrisposto dalla Folgore s.r.l. per il conferimento del ramo d'azienda e quello derivante dalla somma effettiva dei valori di stima, per oltre 33.000,00 Euro, nonché la distrazione della differenza tra il valore del ramo di azienda conferito, come iscritto sul libro giornale, e la minor somma riportata nell'atto di conferimento, pari a 51.000,00 Euro quarto capoverso - l'iscrizione nel medesimo libro giornale di riduzioni di crediti verso i clienti, per complessivi 7.500,00 Euro circa, con conseguente distrazione delle relative somme - la distrazione di beni divise per un valore di circa 15.600,00 Euro - la dissipazione del patrimonio della cooperativa, a causa di acquisti di servizi pubblicitari ed articoli da regalo, per un ammontare complessivo pari a poco meno di 30.000,00 Euro - l'iscrizione nei bilanci e nelle scritture contabili di crediti fittizi, come pure di valori fittizi di immobilizzazioni immateriali o costi fittizi generati per ammortamento di queste, per alcune centinaia di migliaia di Euro. 2.1 Il giudice di primo grado, pur non avendo adottato complete ed esplicite determinazioni nel dispositivo della pronuncia, risulta avere distinto gli ultimi punti della rubrica - per i quali, in motivazione, viene dato atto della sussistenza dei presupposti per il proscioglimento degli imputati - da quelli di cui al secondo, terzo e quarto capoverso. Con riferimento a questi ultimi profili della contestazione, il Gup esclude che possano descrivere condotte distrattive, osservando che si è in presenza non già di una cessione o trasferimento di beni da un soggetto ad un altro, bensì di un conferimento di beni in una società di nuova costituzione. Il valore economico di quelle poste attive conferite, rappresentanti il patrimonio sociale della nuova s.r.l., permane nella cooperativa, sotto forma di titolarità delle quote della nuova società. A mutare è solo la forma giuridica di tale titolarità prima del conferimento, la cooperativa è proprietaria diretta di quei beni aziendali dopo il conferimento, è divenuta titolare del 100% delle quote della società che, a sua volta, è proprietaria di quei medesimi beni aziendali. Sul piano patrimoniale, però, nulla è mutato, posto che il valore delle quote di cui la cooperativa è divenuta titolare riflette in toto il valore dei beni conferiti. Tale meccanismo non rappresenta un'ipotesi di bancarotta per distrazione. Vi è distrazione quando si verifica un ingiustificato distacco dei beni dal patrimonio dell'imprenditore, con conseguente depauperamento dello stesso e pregiudizio per i creditori che, ai sensi dell'art. 2740 cod. civ., da quel patrimonio sono garantiti nel caso di inadempimento. Nel caso, in esame, invece, per quel che s'è detto, non v'è stato depauperamento del patrimonio sociale, ed anche il distacco dei beni conferiti è solo apparente. Così ricostruita la vicenda, diviene superflua ogni considerazione sulla correttezza della stima dei beni [ ]. L'effettivo valore dei cespiti, infatti, rientra nel patrimonio della cooperativa conferente sotto forma di valore della totalità delle quote possedute nella s.r.l.”. 2.2 In luogo della contestata distrazione, il Gup ravvisa a questo punto il diverso reato di cui all'art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., evidentemente, con riguardo alla condotta di cui al secondo e terzo capoverso della rubrica, vista la ritenuta irrilevanza delle questioni sui diversi valori di stima delle attività conferite alla s.r.l., oggetto del quarto a tal fine, il giudice di primo grado fa presente che l'operazione descritta si era risolta nel conferimento dell'intera azienda, non residuando alcuna attività in capo alla cooperativa e segnala come - a quel punto - la sopravvivenza di quest'ultima dovesse intendersi mera utopia . Ad avviso del giudicante, è evidente che scopo degli amministratori era di far fallire la società cooperativa, gravata da debiti, e ripartire con una nuova società, avente il medesimo oggetto sociale della cooperativa, nella quale far previamente confluire tutti i beni aziendali di questa”. Il reato ex art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., che sanziona il comportamento degli amministratori, sindaci, ecc. che provocano dolosamente il fallimento della società, cioè ne cagionino il dissesto con abusi o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero con atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico-finanziaria dell'impresa”, rientrerebbe comunque nella contestazione mossa agli imputati, sia per la indicazione dell'articolo di legge”, sia tenendo conto della parte dell'imputazione terzo capoverso in cui si evidenzia che il conferimento dei beni ha privato la cooperativa di qualsiasi fonte di entrata finanziaria . 2.3 Le considerazioni appena svolte non possono condividersi, né risulta corretta l'osservazione della Corte territoriale secondo cui - così disattendendo le censure mosse dagli appellanti, sotto il profilo della violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. – pur permanendo l'identità del fatto contestato, il giudice ne ha dato una diversa qualificazione giuridica che non ha vulnerato il diritto di difesa, appieno esercitato, dagli imputati”. Al di là della effettiva ravvisabilità, sul piano storico, di condotte da qualificare come distrattive ovvero in termini di operazioni dolosamente orientate a cagionare il fallimento della cooperativa in parte qua, la sentenza di primo grado che esclude la prima ipotesi risulta oramai irrevocabile, non essendovi stata impugnazione da parte del Pubblico Ministero , è certo invece che il diritto di difesa degli odierni ricorrenti subì una concreta compromissione inizialmente destinatari di una richiesta di rinvio a giudizio per avere fra l'altro distratto beni della cooperativa La Folgore, essi ritennero di optare per il rito abbreviato con riferimento a quell'accusa, ma si videro dichiarati penalmente responsabili per un fatto senza dubbio diverso, giammai contemplato dalla rubrica. Il richiamo all'art. 223 legge fall., che si legge nel capo d'imputazione, senza ulteriori specificazioni, non può ragionevolmente interpretarsi se non riferito alle fattispecie criminose di cui all'art. 216, nn. 1 e 2, quale norma sanzionatoria di amministratori o sindaci di società, piuttosto che dell'imprenditore in senso stretto, che commettano distrazioni o gravi irregolarità nella tenuta delle scritture contabili nulla autorizza, invece, ad interpretarlo come strumento formale per far rientrare nell'addebito le ipotesi, non contestate in fatto, di cui al secondo comma della norma de qua. Né può assumere rilievo dirimente la circostanza dell'avere gli imputati privato la cooperativa di qualsiasi fonte di entrata finanziaria si tratta di un aspetto, in vero, che potrebbe ben leggersi immanente ad una contestazione ex art. 216, comma primo, n. 1, legge fall., volendo esprimere la diminuzione patrimoniale conseguente alle distrazioni ipotizzate, e che in ogni caso riguarda un solo profilo delle plurime condotte contemplate dalla rubrica. Come sopra ricordato, infatti, l'inciso riguarda soltanto la cessione alla nuova s.r.l. dei crediti verso i soci per sottoscrizioni di aumento di capitale o per contributi in conto capitale, mentre in altri capoversi venivano descritti l'alienazione gratuita di marchio, know how , autorizzazioni amministrative, rapporti contrattuali con la clientela, ovvero la distrazione di attività e beni vari. 2.4 Inoltre, e soprattutto, deve tenersi presente che quello previsto dall'art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., è pacificamente un reato di evento, che consiste appunto nella declaratoria di fallimento, da ricollegare sul piano eziologico all'operazione dolosa ascritta al soggetto attivo ma non altrettanto è a dirsi per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. In altre parole, un amministratore od un sindaco che si vede addebitare una bancarotta per distrazione non è chiamato a difendersi dall'accusa di avere cagionato il fallimento o, prima ancora, il dissesto della società, a differenza di colui al quale si ascrive la condotta ritenuta dai giudici di merito, in tanto idonea ad assumere rilievo penale in quanto sia stata fattore causale della dichiarazione di fallimento. La giurisprudenza di questa Corte si è da tempo orientata nell'affermare che nel reato di bancarotta fraudolenta i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualunque tempo essi siano stati commessi, e quindi anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza. Tutte le ipotesi alternative previste dalla norma si realizzano mediante condotte che determinano una diminuzione del patrimonio, diminuzione pregiudizievole per i creditori per nessuna di queste ipotesi la legge richiede un nesso causale o psichico tra la condotta dell'autore e il dissesto dell'impresa, sicché né la previsione dell'insolvenza come effetto necessario, possibile o probabile, dell'atto dispositivo, né la percezione della sua preesistenza nel momento del compimento dell'atto, possono essere condizioni essenziali ai fini dell'antigiuridicità penale della condotta. E del resto, quando il legislatore ha ritenuto necessaria l'esistenza di un tal nesso lo ha previsto espressamente nell'ambito della legge fallimentare, all'art. 223, distinguendo le condotte previste dall'art. 216 art. 223, comma 1, legge fall. da quelle specificamente volte a cagionare il dissesto economico della società art. 223, comma 2 , per modo che solo in tali ultime fattispecie delittuose è previsto un nesso causale o psichico tra condotta ed evento” Cass., Sez. V, n. 39546 del 15/07/2008, Bonaldo . Ancor più analiticamente, gli stessi principi risultano ribaditi nel 2011, quando si è rilevato che il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo, ed è pertanto irrilevante che al momento della consumazione l'agente non avesse consapevolezza dello stato d'insolvenza dell'impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato” Cass., Sez. V, n. 44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv 251214 . Nella motivazione di quest'ultima pronuncia, si è segnalato che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non richiede il dolo specifico, ma si perfeziona con il dolo generico, ossia con la consapevolezza di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte”, precisandosi che non può intendersi rilevante la circostanza che all'epoca della distrazione non si fosse ancora manifestato uno stato d'insolvenza infatti, ad integrare il reato non è richiesta la conoscenza dello stato d'insolvenza dell'impresa, in quanto ogni atto distrattivo viene ad assumere rilevanza ai sensi dell'art. 216, legge fall., in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest'ultimo. Qualora, poi, la deduzione debba intendersi rapportata alla asserita insussistenza del dissesto all'epoca dei fatti, così implicitamente evocandosi la teoria c.d. della zona di rischio penale [ ], ugualmente deve essere disattesa in quanto, per la speciale configurazione del precetto, la protezione penale degli interessi creditori è assicurata mediante la sua connotazione di reato di pericolo. L'offesa penalmente rilevante è conseguente anche all'esposizione dell'interesse protetto alla probabilità di lesione, onde la penale responsabilità sussiste non soltanto in presenza di un danno attuale ai creditori, ma anche nella situazione di messa in pericolo dei loro interessi. Conseguentemente, il delitto di bancarotta non impone contestualità tra l'azione antidoverosa ed il pregiudizio derivante dalla stessa, ma ammette anche uno sfasamento temporale, se esso non elide il portato dannoso dell'azione sicché la tutela penale dispiega la sua efficacia retroattivamente, risalendo a ritroso, a far data dalla dichiarazione di fallimento, ricapitolando ogni passaggio della gestione dell'impresa fallita nel pregiudizio che viene accertato al momento della dichiarazione di insolvenza con la verifica delle passività gravanti sulla stessa”. Come noto, l'orientamento ora illustrato risulta contraddetto da altra pronuncia di questa stessa Sezione, secondo cui nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione lo stato di insolvenza che da luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso, e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell'agente e deve essere, altresì, sorretto dall'elemento soggettivo del dolo” Cass., Sez. V, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv 253493 . L'impianto motivazionale di quest'ultima sentenza muove dal presupposto che non può da un lato ritenersi che qualsiasi atto distrattivo sia di per sé reato, dall'altro che la punibilità sia condizionata ad un evento” la dichiarazione di fallimento, di cui viene diffusamente discussa la natura all'interno della struttura della fattispecie incriminatrice che può sfuggire totalmente al controllo dell'agente, e dunque ritorcersi a suo danno senza una compartecipazione di natura soggettiva e, ancor peggio, senza che sia necessaria una qualche forma di collegamento eziologico tra la condotta e il verificarsi del dissesto”. Con la richiamata pronuncia si avverte peraltro che la tesi secca della non necessarietà del rapporto di causalità tra la condotta dell'imprenditore e il fallimento che si accompagna alla ritenuta non necessarietà del dolo a copertura dell'insolvenza , porterebbe a conseguènze assurde da un lato non sarebbe punibile l'imprenditore che drena risorse enormi da una società dotata di un patrimonio attivo considerevole, tale da permetterle di sfuggire al fallimento, dall'altra sarebbe invece punito con la pesante sanzione di cui alla legge fall., art. 216, un imprenditore o un amministratore della società che moltissimi anni prima del fallimento abbia prelevato indebitamente una modestissima somma di denaro anche se l'impresa ha poi operato in attivo e pagato regolarmente i propri creditori e sia poi caduta in dissesto esclusivamente per le condotte spoliative di successivi amministratori [ ]. Sarebbe esente da responsabilità quell'imprenditore che, pur avendo causato il dissesto della sua impresa con gravi atti di spoliazione, riuscisse ad ottenere il consenso dei creditori ad una procedura di soluzione negoziale della crisi salvo il concordato, per l'imprenditore collettivo , mentre sarebbe penalmente sanzionato l'imprenditore che compie un atto di distrazione di modesta entità e molto risalente nel tempo, se non incontra il favore dei creditori. E ciò anche se il dissesto dell'impresa dipende esclusivamente da fattori esterni alla sua condotta, e cioè, per esempio, da una congiuntura economica negativa o da circostanze comunque imprevedibili o ancor più da condotte successive di altre persone”. Una pronuncia della Sezione Feriale di questa Corte n. 41655 del 10/09/2013, rie. Gessi sembra avere espresso principi in apparente, per quanto non esplicitata, adesione all'indirizzo ora ricordato. Nella motivazione di quest'ultima sentenza si legge che i comportamenti posti in essere dal fallito devono essere [ ] idonei a recare offesa agli interessi della massa dei creditori a causa della perdita di ricchezza che gli stessi hanno determinato e della mancanza di un riequilibrio economico medio tempore . L'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta implica un'adeguata conoscenza della concreta situazione aziendale e, in genere, patrimoniale, e la rappresentazione della futura dichiarazione di fallimento, rappresentazione fondata sull'attualità del dissesto con volontarietà dell'atto distrattivo soltanto nella consapevole prospettiva del dissesto finanziario gli episodi distrattivi assumono - anche sotto il profilo psicologico - un potenziale offensivo. Il soggetto agente deve, quindi, prefigurarsi che la sua condotta depauperativa cagionerà verosimilmente il dissesto - cui si correla la lesione del diritto di credito costituente il principale interesse protetto dalla norma incriminatrice - ed accettare questo rischio. Se la situazione di dissesto che da luogo al fallimento deve essere rappresentata e voluta o quanto meno accettata come rischio concreto della propria azione dall'imprenditore, non integra il dolo di bancarotta per distrazione la volontà di porre in essere una condotta finalizzata ad estinguere posizioni debitorie della società”. La giurisprudenza di questa Sezione, successiva alla sentenza Corvetta, risulta invece essere tornata a sposare l'orientamento precedente, ritenendo che ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento” Cass., Sez. V, n. 7545 del 25/10/2012, Lanciotti, Rv 254634 v. anche Cass., Sez. V, n. 27993 del 12/02/2013, Di Grandi . In una quasi coeva decisione, identicamente massimata Rv 254061 questa Sezione ha precisato che anche dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, ad integrare il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non si richiede l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento [ ]. Al riguardo vale la pena di rimarcare che il rapporto eziologico fra la condotta vietata e il dissesto della società è richiesto dalla legge fall., art. 223, comma 2, n. 1, nel testo novellato, con esclusivo riferimento alle ipotesi di bancarotta da reato societario, il cui elemento oggettivo - nel modello descrittivo recato dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 oc, richiamati dalla norma incriminatrice - è del tutto diverso da quello che caratterizza le condotte vietate dall'art. 216 della stessa legge, richiamato invece dal citato art. 223, comma 1” Cass., Sez. V, n. 232 del 09/10/2012, Sistro . Uno degli elementi fondamentali, per orientare l'interprete verso la soluzione da ultimo indicata, si rinviene proprio nelle divergenze strutturali tra la fattispecie disegnata dall'art. 216, legge fall., e quella risultante dalle varie ipotesi previste dal successivo art. 223, comma 2 solo in queste ultime, infatti, il legislatore ha inteso conferire immediato rilievo a condotte che cagionino il fallimento, ovvero cagionino o concorrano a cagionare il dissesto della società. Non sembra pertanto che i pur pregevoli sforzi argomentativi contenuti nella sentenza Corvetta, né gli spunti contenuti nella sentenza Gessi, riescano a superare il dato letterale laddove il legislatore ha inteso individuare la necessità di un nesso causale, prima ancora di una riferibilità psicologica, fra il comportamento del soggetto attivo del reato ed il successivo dissesto, od il fallimento che ne sia derivato, ciò è espressamente prescritto. Né pare possibile interpretare l'art. 223, comma 2, legge fall., come una sorta di norma di chiusura, con funzioni interpretative dell'intero sistema sanzionatorio da un lato, si tratta di una previsione recentemente modificata nel 2002 , e se si fosse avvertita l'esigenza di. uniformare le varie previsioni incriminatrici in tema di bancarotta volendo intendere, come si sostiene nella richiamata sentenza, che i fatti di bancarotta di tipo patrimoniale in tanto rilevano in quanto abbiano in qualche modo rilevanza nella produzione del dissesto” il legislatore ben avrebbe potuto porre mano anche al precedente art. 216 dall'altro, se è vero che la lettura delle plurime ipotesi di rilievo penale di cui alla legge fallimentare rende palesi alcuni difetti di coordinamento come parimenti avvertito nella sentenza Corvetta , è ancor più evidente che non vi sarebbe necessità di reprimere la condotta di chi abbia cagionato con dolo il fallimento della società art. 223, comma 2, n. 2 se già il comma precedente venisse a sanzionare, per le società commerciali, condotte di distrazione ex art. 216, di cui possa affermarsi la rilevanza penale soltanto qualora siano fattore causale del fallimento medesimo. Deve perciò ritenersi che, tornando ad esaminare il precetto normativo, la condotta sanzionata dall'art. 216 legge fall. - e, per le società, dall'art. 223, comma 1 - non sia quella di avere cagionato lo stato di insolvenza o di avere provocato il fallimento, bensì - assai prima - quella di depauperamento dell'impresa, consistente nell'averne destinato le risorse ad impieghi estranei all'attività dell'impresa medesima. La rappresentazione e la volontà dell'agente debbono perciò inerire alla deminutio patrimonii semmai, occorre la consapevolezza che quell'impoverimento dipenda da iniziative non giustificabili con il fisiologico esercizio dell'attività imprenditoriale tanto basta per giungere all'affermazione del rilievo penale della condotta, per sanzionare la quale è si necessario il successivo fallimento, ma non già che questo sia oggetto di rappresentazione e volontà - sia pure in termini di semplice accettazione del rischio di una sua verificazione - da parte dell'autore. Come efficacemente segnalato in una precedente sentenza di questa Corte, ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell'art. 216 legge fall., in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest'ultimo, il quale non costituisce l'evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell'interesse patrimoniale della massa, posto che se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori ciò non significa che essa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali la natura fittizia o l'entità dell'operazione che incide negativamente sul patrimonio della società” Cass., Sez. V, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv 246879 . E del resto innegabile che ci si trovi dinanzi ad una fattispecie disegnata come reato di pericolo, come già avvertito nella motivazione della sentenza Pisani, sopra richiamata fattispecie in relazione alla quale il giudice delle leggi ebbe da tempo a rilevare che il legislatore avrebbe potuto considerare la dichiarazione di fallimento come semplice condizione di procedibilità o di punibilità, ma ha invece voluto [ ] richiedere l'emissione della sentenza per l'esistenza stessa del reato. E ciò perché, intervenendo la sentenza dichiarativa di fallimento, la messa in pericolo di lesione al bene protetto si presenta come effettiva e reale” Corte Cost., sentenza n. 146 del 27/06/1982 la bancarotta fraudolenta patrimoniale è dunque, più propriamente, reato di pericolo concreto, dove la concretezza del pericolo assume una sua dimensione effettiva soltanto nel momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento, condizione peraltro neppure indispensabile per l'esercizio dell'azione penale o per l'adozione di provvedimenti de Hbertate, ai sensi del combinato disposto degli artt. 7 e 238 legge fall Ecco spiegato perché rimane esente da pena il soggetto che impoverisca una società di risorse enormi, quando questa può comunque continuare a disporne di ben più rilevanti, idonee a fornire garanzia per le possibili pretese creditorie in quel caso, a differenza dell'ipotesi dell'imprenditore che si renda responsabile di una distrazione modesta ma a fronte di un patrimonio suscettibile di risentirne significativamente , il pericolo di un pregiudizio per i creditori non avrà assunto la concretezza richiesta dal dato normativo. In sostanza, e in definitiva, l'imprenditore deve considerarsi sempre tenuto ad evitare l'assunzione di condotte tali da esporre a possibile pregiudizio le ragioni dei creditori, non nel senso di doversi astenere da comportamenti che abbiano in sé margini di potenziale perdita economica, ma da quelli che comportino diminuzione patrimoniale senza trovare giustificazione nella fisiologica gestione dell'impresa. 2.5 Tanto precisato, si rileva che a pag. 11 della sentenza oggetto dell'odierno ricorso, la Corte territoriale osserva come gli imputati, con la costituzione della s.r.l., avrebbero posto in essere una nuova operazione sociale con effetti disastrosi per la società cooperativa, posto che ad essa sono state lasciate solo le poste debitorie erariali e previdenziali, la cui mancata estinzione ha causato il fallimento della stessa”. Alla luce delle argomentazioni appena sviluppate, risulta evidente l'alterità del fatto ritenuto nelle decisioni di merito, rispetto a quello ipotizzato in rubrica gli imputati, a fronte di un'accusa di distrazione di beni e/o attività, erano chiamati a difendersi rappresentando che le loro condotte non avevano determinato diminuzioni patrimoniali di sorta, mentre - se fosse stata formulata ab initio l'accusa di avere cagionato per dolo il fallimento della cooperativa - la difesa sarebbe consistita nell'argomentare che il patrimonio residuo all'esito dell'operazione contestata, vi fosse o meno stato un depauperamento, era comunque sufficiente a garantire le pretese dei creditori. La lesione dei diritti della difesa è pertanto innegabile, tanto più che il giudizio di primo grado si svolse nelle forme del rito abbreviato ergo, nulla autorizza a ritenere che gli imputati ebbero modo di difendersi in concreto da un'ipotesi accusatoria differente, rispetto a quella loro formalmente contestata, perché emersa nel corso del processo come potrebbe invece accadere, in linea di principio, laddove si dia corso ad una completa istruttoria dibattimentale . 3. Si impongono pertanto le determinazioni di cui al dispositivo, riguardando il vizio formale lamentato entrambe le sentenze di merito. Le ulteriori doglianze, come già evidenziato, debbono intendersi assorbite. È comunque necessario dare atto che la richiesta avanzata in subordine dal difensore dell'A. per la declaratoria di prescrizione del reato non può trovare accoglimento l'istanza si fonda sul rilievo che il tempus commissi delicti dovrebbe farsi coincidere con la delibera del conferimento dei beni dalla cooperativa alla s.r.l., ma per pacifica giurisprudenza di legittimità - a fortiori, laddove il reato ritenuto dai giudici di merito sia proprio quello di evento, sanzionato dall'art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall. - i reati di bancarotta debbono intendersi commessi alla data della sentenza dichiarativa di fallimento v., ex plurimis , Cass., Sez. V, n. 592 del 04/10/2013, De Florio . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nonché la sentenza di primo grado, e dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino, per l'ulteriore corso.