Condotte persecutorie del datore di lavoro: è maltrattamento se c’è parafamiliarità

Il reato di maltrattamenti, di cui all’art. 572 c.p. , si configura, nell’ambito di condotte di mobbing lavorativo, soltanto ove sussista il presupposto della parafamiliarità. Tale condizione si riscontra quando il rapporto tra il datore ed il dipendente è caratterizzato da relazioni intense ed abituali, in un contesto di fiducia della parte più debole nei confronti del soggetto in posizione di supremazia.

Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45077/2015, depositata il 10 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze assolveva, conformemente alla pronuncia del giudice di prime cure, un’imputata dal reato di maltrattamenti continuati, di cui agli artt. 81, 572 c.p. . La Corte territoriale rilevava la non completa attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa e l’assenza di elementi di conferma dell’accusa mossa all’imputata. L’appellante parte civile ricorreva per cassazione, lamentando la manifesta illogicità della motivazione nello specifico il ricorrente sottolineava come la Corte d’Appello avesse omesso di rilevare le cadute logiche e le imprecisioni della pronuncia di primo grado. L’illecito di maltrattamenti non rappresenta la tutela penale verso le condotte di c.d. mobbing lavorativo. La Suprema Corte ha preliminarmente sottolineato come i motivi di impugnazione concernenti il merito della vicenda oggetto della verifica processuale non siano suscettibili di valutazione in sede di giudizio di legittimità. Gli Ermellini hanno ribadito, inoltre, il proprio costante orientamento per cui il delitto di maltrattamenti, di cui all’art. 572 c.p. , può configurarsi nell’ambito di condotte di mobbing lavorativo soltanto ove sussista il presupposto della parafamiliarità. Tale requisito deve intendersi come la sottoposizione di una persona all’autorità di altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all’azione di chi ha la posizione di supremazia . La Corte di legittimità ha confermato che le pratiche persecutorie nei confronti del lavoratore dipendente, poste in essere con lo scopo di emarginarlo, integrano la fattispecie di cui all’art. 572 c.p. quando il rapporto tra il datore ed il sottoposto è caratterizzato da relazioni intense ed abituali, in un contesto di fiducia della parte più debole nei confronti del soggetto in posizione di supremazia. La Suprema Corte ha, pertanto, chiarito come l’illecito di maltrattamenti non rappresenti la tutela penale verso le condotte di c.d. mobbing lavorativo, che trova tale garanzia in altre autonome figure di reato ingiuria, diffamazione, minaccia . Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 settembre – 10 novembre 2015, n. 45077 Presidente Milo – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Firenze ha confermato quella emessa dal Tribunale di Pistoia in data 24/06/2009 con cui Fedi Lia era stata assolta dal reato di maltratta menti continuati artt. 81, 572 cod. pen. in danno di G.P.P., parte civile appellante ai soli effetti civili. La Corte territoriale ha analiticamente esaminato il compendio probatorio costituito essen zialmente dalle dichiarazioni della parte offesa e dei testimoni escussi, suoi colleghi nell'Ufficio Postale di Pistoia 1, concludendo per la non completa attendibilità della prima e per l'assenza di elementi di conferma dell'accusa privata, rinvenibili tanto nelle fonti dichiarative quanto nelle acquisizioni di natura documentale. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'appellante parte civile deducendo violazione di legge, manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova in quanto, pur essendo stata raggiunta nel corso dei giudizio di primo grado la prova della responsabilità dell'imputata, la Corte d'appello ha omesso di rilevare che la pronunzia dei primo giudice era affetta da cadute logiche, imprecisioni e percorsi valutativi inficiati da mancata considerazione o sottovalutazione degli elementi a disposizione pag. 4 ricorso . Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato e come tale deve essere dichiarato inammissibile. 2. I motivi in cui l'impugnazione si articola riguardano, infatti, ai di là della qualificazione formale datane, tutti il merito della vicenda oggetto di verifica processuale e come tali non possono essere presi in considerazione ai fini del vaglio di legittimità della decisione impugnata art. 606, comma 3 cod. proc. pen. . 3. In maniera decisiva rileva, inoltre, che nella fattispecie considerata, riguardante condotte di mobbing asseritamente consumatesi all'interno di un ufficio postale, il reato di cui all'art. 572 cod. pen. non appare per nulla configurabile, aspetto invero non considerato da alcuno dei giudici di merito. Va, infatti, ribadita la perdurante validità dell'orientamento interpretativo espresso dalla giuri sprudenza di questa Corte di Cassazione secondo cui il delitto di maltrattamenti previsto dall'art. 572 cod. pen. può trovare applicazione nei rapporti di tipo lavorativo solo a condizione che sussista il presupposto della parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all'autorità di altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all'azione di chi ha la posizione di supremazia Sez. 6, sent. n. 24057 del 11/04/2014, Marcucci, Rv. 260066 . Le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione cosiddetto mobbing possono, pertanto, integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esattamente alle predette condizioni, quando cioè il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura parafamiliare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia Sez. 6, sent. n. 24642 del 19/03/2014, P.G. in proc. L G, Rv. 260063 e Sez. 6, sent. n. 43100 del 10/10/2011, R.C. e P., Rv. 251368 in fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere da un sindaco nei confronti di dipendenti e/o funzionari comunali Sez. 6, sent. n. 28603 del 28/03/2013, P.C. in proc. S. e altro, Rv. 255976 in cui parimenti è stata esclusa la concreta configurabilità del reato Sez. 6, sent. n. 13088 dei 05/03/2014, B e altro, Rv. 259591 in fattispecie di esclusione dei reato nel contesto di un'articolata realtà aziendale, caratterizzata da uno stabilimento di ampie dimensioni e da decine di dipendenti sindacalizzati Sez. 6, sent. n. 16094 del 11/04/2012, I., Rv. 252609 in fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione a condotte vessatorie poste in essere dal vice Presidente di un ATER nei confronti di una dipendente . A dispetto della riaffermazione del principio dell'astratta configurabilità del reato nelle condi zioni date e a conferma della frequente affermazione d'inapplicabilità nelle fattispecie consi derate, va, infatti, precisato che la figura di reato di cui all'art. 572 cod. pen. non costituisce la tutela penale del cd. mobbing lavorativo, il quale, ove dante luogo a condotte autonomamente punibili ingiurie, diffamazione, minacce, percosse, lesioni personali, violenza privata, sequestro di persona, etc. , trova nelle corrispondenti figure di reato il relativo presidio. 4. Alla dichiarazione d'inammissibilità dell'impugnazione segue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in € 1.000,00 mille . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese proces suali e della somma di € 1.000,00 mille in favore della cassa delle ammende.