Detenzione domiciliare: l’interdizione legale della madre non osta alla concessione del beneficio

L’istanza per la concessione della detenzione domiciliare, presentata dalla madre di un minore portatore di handicap, non può essere rigettata a causa dello stato di interdizione legale in cui si trova l’istante, dal momento che l’unico requisito per la fruizione di tale misura alternativa in casi simili è la condizione di madre della richiedente.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 41190/2015, depositata il 13 ottobre. Il caso. Il Tribunale di Sorveglianza di Napoli rigettava l’istanza con cui una condannata, madre di un minorenne portatore di handicap, chiedeva la concessione di una misura alternativa alla detenzione domiciliare. Il Collegio respingeva l’istanza per il legame di parentela tra la donna ed alcuni esponenti di un gruppo camorristico e per la presenza, all’interno del nucleo familiare della stessa, di altri soggetti idonei alla cura del minore il Tribunale rilevava, inoltre, come l’istante non potesse occuparsi degli aspetti tecnico giuridici ed amministrativi inerenti al minore, in quanto interdetta legalmente. La donna proponeva ricorso avverso tale decisione, lamentando il contrasto tra la pronuncia ed il disposto dell’art. 47 ter, comma 1, lettera a dell’ord. pen. con riferimento alla sua interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla sentenza n. 350/2003 . La condannata metteva in discussione gli elementi posti alla base del riscontro a suo carico della pericolosità sociale, non essendo la stessa stata condannata per alcun reato ostativo al beneficio ed essendo stata assolta dall’imputazione di partecipazione al clan camorristico. La disciplina della detenzione domiciliare, nel caso di richiesta da parte della madre di un minore, ha la finalità di garantire l’adeguato sviluppo della prole. Gli Ermellini hanno rilevato come il Tribunale di Sorveglianza abbia considerato ostativi all’applicazione della misura la presenza di altri familiari idonei a prendersi cura del figlio, lo stato di interdizione legale della ricorrente ed i legami di parentela tra la stessa ed un clan criminoso. La Suprema Corte ha sottolineato che l’art. 47 ter, comma 1, lettera a , ord. pen. non implica che per la concessione del beneficio di cui all’istanza sia necessaria l’assenza di altri componenti del nucleo familiare idonei alla cura del minore. La Cassazione ha, inoltre, evidenziato che il solo requisito previsto dalla legge ai fini della concessione del beneficio è la condizione di madre non rileva pertanto che la stessa, interdetta legalmente, non possa adempiere ai compiti giuridici ed amministrativi relativi al minore. La Suprema Corte ha ribadito quanto affermato dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 350/2003, ovvero che la previsione di cui alla lettera a della norma sopra citata è finalizzata a garantire un idoneo e completo sviluppo della personalità del figlio tale sviluppo potrebbe essere compromesso dall’assenza della figura genitoriale, con pregiudizio maggiore nel caso di specie, in considerazione dello stato di invalidità del minore. Gli Ermellini hanno poi rilevato che il collegamento con esponenti di un sodalizio criminoso è condizione ostativa espressa dagli artt. 4 bis e 58 quater ord. pen. e che la ricorrente non risulta condannata per nessuno dei reati per cui tale condizione è prevista. Per le ragioni sopra esposte, la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 18 settembre – 13 ottobre 2015, n. 41190 Presidente Chieffi – Relatore Cavallo Ritenuto in fatto . 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Sorveglianza di Napoli rigettava l'istanza avanzata da P.E. di concessione di misura alternativa alla detenzione detenzione domiciliare , in quanto madre di figlio minorenne ma di età superiore a dieci anni , portatore di handicap. 1.1 II Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che - dalle informative di polizia giudiziaria si evinceva che l'istante era conosciuta come moglie e sorella di esponenti di spicco di un noto gruppo camorristico gli scissionisti - che l'istante non poteva essere considerata l'unica persona in grado di prendersi cura dei minore , essendo presentì all'interno dei nucleo familiare due figlie, entrambe maggiorenni,e che la stessa, altresì, risulta impossibilitata a curare gli aspetti tecnico-giuridici ed amministrativi della cura del minore, in quanto legalmente interdetta, a seguito della condanna per il reato di riciclaggio, integrante il titolo esecutivo, attualmente sospeso. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, l'interessata, personalmente, denunciandone l'illegittimità per violazione di legge e vizio di motivazione mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità , in relazione all'omessa concessione dei beneficio della detenzione domiciliare, sostenendo - che l'argomento addotto dal tribunale secondo cui l'interdizione legale della ricorrente integrerebbe un impedimento alla cura del figlio minore al pari di quello secondo cui la presenza delle sorelle del minore sarebbe motivo sufficiente per esonerare la ricorrente dal diritto-dovere di curare la crescita e l'educazione dei figlio minore, si pone in contrasto sia con il tenore letterale della norma da applicare alla fattispecie l'art. 47 ter, comma 1 lettera a Ord. Pen. sia con un'interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione, quale desumibile in particolare dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 350 dei 5 dicembre 2003 - che anche la valutazione di presunta pericolosità sociale della ricorrente, ulteriore e suggestivo argomento addotto a sostegno della decisione dì rigetto dell'istanza, deve ritenersi illegittima, in quanto ancorata ad elementi incongrui, quali i legami parentali della ricorrente, sol che si consideri che nei suoi confronti non è stata emessa condanna per uno dei reati ostativi alla concessione del beneficio, elencati nell'art. 4 bis Ord. Pen. ma per il delitto di cui all'art. 648 bis cod. pen., e che è stata invece assolta dall'imputazione di partecipazione al clan camorristico Amato-P. e che la sentenza di condanna ha escluso altresì l'aggravante di aver commesso il fatto per agevolare íl predetto sodalizio di tipo mafioso. 3. Con requisitoria del 27 marzo 2015 iil Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto di rigettare il ricorso. 4. Con memoria pervenuta il 22 settembre 2015 o ricorrente, per U tramite dei suo difensore, nel replicare alla requistoria del Procuratore Generale, ha insistito per !'accoglimento della richiesta di annullamento con rinvio dei provvedimento impugnato, ribadendo, anche attraverso pertinenti richiami giurisprudenziali, la fondatezza della richìesta della condannata. Considerato in diritto. 1. L'irnpugnazione proposta dalla P. è fondata e merita accoglirnento, 1.1 L'ordinanza impugnata, invero, mentre ha ritenuto che il superamento dei limite di età di dieci anni da parte dei figlio minore della ricorrente non costituisse un dato ostativo alla concessione del richiesto beneficio, e ciò correttamente, atteso che il predetto era portatore di handicap ritenuto, sia pure implicitamente, totalmente invaNdonte con conseguente applicabilità ol caso di specìe de/ dictum della sentenza n. 350/2003 della Corte Costituzione per altro non espressamente evocato , ha però ravvisato quali elementi ostativi all'applicazione della misura - la presenza di altri familiari idonei a dare assistenza alla prole la condizione di interdetta legale della ricorrente - i vincoli parentali della ricorrente con esponenti di spicco di un sodalizio di tipo mafioso. 1.2 Orbene, come a ragione sostenuto dol ricorrente, l'individuazione di tali elementi quali dati ostatívi all'accoglimento dell'istanza deve ritenersi illegittima. 1.2.1 Ed invero, quanto alla prima delle condizioni ostative, è agevole rilevare che l'art. 47 ter, comma 1 lettera a , Ord. Pen., posto a fondamento della richiesta della P., non prevede affatto l'accertamento di una impossibilìtà assoluta dì assistenza alla prole di altri componenti dei nucleo familiare, condizione espressamente contemplata dal legislatore, invece, con riferimento per altro all'assistenza materna, nella sola diversa ipotesi in cui il beneficio sia richiesto da parte dei padre esercente la responsabilità genìtoriale. 1.2.2 Incongrua deve ritenersi, altra , la rilevanza ostatìva alla concessione dei beneficio rionosciuta dai giudici di merito MVapplicazione nei confronti della ricorrente della pena accessoria dell'interdizione legale, e ciò verosimilmente, pur nel silenzio dei provvedimento impugnato sul punto, in considerazione degli effetti sospensivi dell'esercizio della responsabilità genitoria!e di cui all'art. 32 cod. pen Premesso infatti che sono gli stessi gìudici di merito, non senza qualche contraddizione, a riconoscere che l'interdizione legale incide soltanto sul piano giuridico ed amministrativo deU'assistenza dei minore e non anche, quindi, par di comprendere, sullo svolgimento in concreto di un ruolo attivo da parte della ricorrente nella cura e nell'educazione del figlio minore disabile, sta di fatto, ad ogni buon conto, che la norma da applicare nel caso di specie, in base alla sua formulazione letterale, individua quale requisito per la concessione della detenzione domícilíare unicamente la condizione di madre. Solo in caso di istanza proposta dal padre, la norma richiede, invece, ulteriore condizione che si tratti di soggetto esercente la responsabilità genitnrie!e . Al riguardo, del resto, è appena H caso di ricordare, che come opportunamente evidenziato dal giudice delle leggi nella già richiamata decisione dei 2003, la detenzione domiciliare, contraddistinta R'origle da finalità prevalentemente umanitarie ed oss/stenzia/i, ha visto, attraverso ì successivi ìnterventi del legislatore, ampliare notevolmente i! proprio ambito di applicazione e costituisce ora una modalità di esecuzione prevista per una pluralità di ipotesi, fra loro eterogenee e, in parte, sganciate dalle condizioni soggettive del condannato e come !a previsione della lettera a , in particolare, sia diretta a favorire il pieno sviluppo della personalità del figlio che potrebbe essere pregiudicato dall'assenza della figura gentoriale. Il che costituisce per il figlio gravemente invalido, come rilevato in dottrina, un pregiudizio ancora più grave. 1.2.3 Quanto, infine, all'ulteriore rilievo dei giudici di merito concernente i legami parentali della P. con esponeRi apicali di un clan camorristico, va rilevato che gli stessi giudici di merito, intanto, non risultano attribuire a tale dato, espressamente, una dichiarata valenza sintomatica di elevata pericolosità sociale, come tale ostativa all'applicazione della mìsura. Ad ogni buon conto, anche ove si intendesse attribuire, così come opinato dalla ricorrente, un siffatto significato al rilievo dei tribunale, altrimenti superfluo, deve allora comunque riconoscersi, in tal eventualità, che mentre il comma 2 dell'art. 47 ter, Ord. Pen., abrogato da!!'ort. 1 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, prevedeva quale condizione u\ter\0re per la concessione della detenzione domiciliare l'assenza di collegamenti con la criminalità organizzata' - utilizzando una formula ritenuta da autorevole dottrina generica e assai poco tecnica - attualmente la condizione ostativa risulta espressa negli artt. 4 bis e 58 quater Ord. Pen., e che ne! provvedimento impugnato manca qualsiasi riferimento alla commissione da parte della P. di alcuno dei reati ostativi alla concessione dei beneficio, sicché l'eventuale riconoscimento di una valenza ostativa a dei legami parentali, si rivela un'opzione interpretativa arbiraia, così come dedotto daì ricorrente. 1.3 In presenza di tali insufficienze argomentative, s'impone, allora, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale dí Sorveglianza di Napoli, affinché proceda ad un nuovo esame dell'istanza. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Napoli.