Campioncini gratuiti sottratti dall’armadietto dell’Asl e ceduti a un collega: condannata per peculato

Indagini ad ampio raggio sulla scomparsa di farmaci anabolizzanti. Nella rete finisce anche un’infermiera, accusata di aver prelevato alcuni campioncini e di averli ceduti a un collega, impegnato, in ambito extra lavorativo, come istruttore di bodybuilding. Irrilevante il richiamo a un valore economico modesto.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35801/15, depositata oggi. Medicinali sottratti dagli armadietti dell’Azienda sanitaria. A finire sotto accusa è un’infermiera, che ha fatto da ‘corriere’, consegnando i farmaci – utilizzati quale sostanza anabolizzante – a un infermiere, impegnato, fuori dall’ambito lavorativo, come istruttore di bodybuilding . Inevitabile la condanna per il reato di peculato. Irrilevante il richiamo al modesto valore economico dei farmaci, testimoniato, secondo l’infermiera, dal fatto che essi erano semplici campioni gratuiti. Farmaci. A dare il ‘la’ alla vicenda è una più ampia verifica, diretta ad accertare ammanchi di farmaci anabolizzanti per un valore complessivo di 12mila euro . Nella rete delle indagini finisce anche un’infermiera quest’ultima è messa sotto accusa per essersi appropriata di specialità medicinali ‘Nicetil’ fiale e compresse, che, ancorché campioni gratuiti, avrebbero potuto essere consegnate solo ai medici e per averle poi cedute a un infermiere, suo collega, che utilizzava tali sostanze nella sua attività di istruttore di bodybuilding . Una volta ricostruita la vicenda, per i giudici di merito non vi sono dubbi la donna è colpevole di peculato. Consequenziale la condanna a oltre dieci mesi di reclusione. Danno. Secondo il legale dell’infermiera, però, le valutazioni tracciate tra primo e secondo grado vanno riviste ciò soprattutto perché, alla luce delle modalità di custodia delle sostanze e del loro limitato valore, non si può ipotizzare il delitto di peculato, posto a tutela dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione . A corredo, poi, viene anche sottolineato il fatto che il soggetto agente del reato è un incaricato di pubblico servizio che non ha tratto alcun utile . Ogni obiezione, però, si rivela inutile. Per i giudici della Cassazione, difatti, non ci si trova di fronte a farmaci di modesto valore significativo il danno arrecato all’Azienda sanitaria, pari a un valore complessivo di 12mila euro . Allo stesso tempo, è decisivo il fatto che la donna ha sottratto i farmaci per cederli a un collega che svolgeva attività di istruttori di bodybuilding e che traeva un vantaggio anche dal mancato pagamento del ticket . E rilevante è anche il fatto che all’esito di una perquisizione effettuata in casa della infermiera furono recuperate svariate confezioni del farmaco . Tutto ciò conduce alla conferma definitiva della condanna per peculato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 giugno – 1 settembre 2015, numero 35801 Presidente Ippolito – Relatore Carcano Ritenuto in fatto 1.La Corte d'appello di Sassari ha confermato la decisione di primo grado con la quale, all'esito di giudizio abbreviato, M.A.M. fu dichiarata responsabile di peculato perché, quale infermiera in servizio presso il distretto sanitario ASL numero 1 di Sassari, in possesso di specialità medicinali Nicetil fiale e compresse che, ancorché campioni gratuiti, avrebbero potuto essere consegnate solo ai medici , se ne appropriava per cederle al collega M.M A fronte dei motivi d'appello presentati dalla difesa e volti a contestare l'affermazione di responsabilità e a giustificare per ragioni diverse la disponibilità del medicinale e il suo modesto valore economico, la Corte d'appello ha condiviso le argomentate conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado e ha ritenuto infondate le censure proposte dall'appellante. Anzitutto, precisa il giudice d'appello, l'indagine si inseriva nell'ambito di una più vasta verifica diretta ad accertare ammanchi di farmaci anabolizzanti per un valore complessivo di 12.000 euro. In particolare, sono stati acquisiti elementi dai quali è emerso che tali farmaci erano campioncini di Nicetile, contenenti quale principio attivo l'acetil carnitina, utilizzata quale sostanza anabolizzante e, pertanto, si è accertato che tale sostanza era utilizzata da M. nella sua attività di istruttore di bodybuilding. La responsabile del poliambulatorio ha riferito che tali campioncini gratuiti erano consegnati direttamente al medico, dopo aver compilato un registro di scarico, specificante il nome e la quantità dei campioni. Tali campioncini, precisava ancora la responsabile del poliambulatorio, non avrebbero potuto essere ceduti ai pazienti, salvo che il medico avesse ritenuto di darli a persone bisognose, cosa che non avrebbero potuto fare l'infermiere e altro personale ASL. I farmaci erano custoditi in un armadietto che solitamente era aperto e le cui chiavi erano, comunque, custodite dall'infermiere. M. M. riferiva di aver dato - due o tre volte, in assoluta buona fede - a M.M. tali campioni, pensando che non fosse necessaria alcuna prescrizione medica e che ciò era avvenuto nel periodo settembre\ottobre 2007. In realtà, all'esito di una perquisizione effettuata in casa della M. furono recuperate svariate confezioni di tale farmaco. Si trattava di campioncini ridotti che, una volta consegnati dagli informatori scientifici, entravano a far parte dei patrimonio dell'AsL e con l'acquisizione di tali farmaci M. traeva un vantaggio economico anche per il mancato pagamento del tiket. Inoltre, a prova del vantaggio economico, il personale verificava che l'ammanco avrebbe avuto un valore di 12.000 euro. La Corte d'appello ha confermato la responsabilità di M. M. e la condanna di dieci mesi e venti giorni di reclusione, con pena sospesa. E non menzione. 2. La difesa deduce - violazione dell'articolo 314 c.p. Ripercorre gli accertamenti effettuati e rileva che dalle modalità di custodia e per il valore di ogni campioncino, non avrebbe potuto ritenersi integrato il delitto di peculato, posto a tutela dell'imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione. La fattispecie incriminatrice, come più volte affermato dalla giurisprudenza, è posta a tutela dei patrimonio della pubblica amministrazione. Il presupposto della fattispecie in parola è che oggetto del peculato avrebbero potuto essere di beni di non modesto valore economico. Qualora l'esiguità dei valore patrimoniale funzionale della cosa sia tale che il funzionario non tragga alcun vantaggio rispetto a terzi o anche là dove per la PA non derivi alcuna compromissione, condotta punita dall'articolo 314 c.p. non può che essere esclusa. -Assoluta contraddittorietà della motivazione. La sentenza d'appello è contraddittoria, poiché è stata fatta una attenta valutazione dei protagonisti per poi giungere all'affermazione della responsabilità della M Manca la motivazione là dove non si chiarisce in virtù di quale prova l'imputata dovesse essere condannata. Non rileva che i farmaci sottratti abbiano prodotto un vantaggio per M., là dove il soggetto agente del reato è il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che non abbiano tratto alcun utile. Sotto tale profilo, la motivazione e manifestamente illogica e parziale. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Il giudice d'appello ha condiviso la ricostruzione effettuata nella sentenza di primo grado e con proprio ragionamento probatorio - coerente con le risultane delle attività investigative - e ha escluso che le giustificazioni rese da M. potessero essere riscontrate da alcun elemento, non trattandosi di farmaci di modesto valore e tenuto conto anche del danno arrecato alla ASL dì Sassari, come emerso all'esito di verifiche delle quali si già detto in narrativa. I fatti, come accertati dimostrano, nella logica e corretta ricostruzione di entrambi i giudici di merito, che M.A.M. ha sottratto i farmaci per cederli al collega M.M. che svolgeva attività di istruttore di bodybuildin, il quale tra l'altro traeva un vantaggio dal mancato pagamento dei tiket. Le censure, pertanto, non sono altro che dirette a contestare valutazioni di merito correttamente espresse dai giudice d'appello e coerenti con le risultanze processuali esposte nella sentenza. II ragionamento probatorio della Corte d'appello è articolato - come esposto in sintesi e nei punti significativi in narrativa - con rigore argomentativo dapprima sulle ragioni per le quali la situazione riferita non potesse essere ricostruita nel senso indicato dall'imputato e poi sulle risposte ai punti critici della ricostruzione operata dal giudice di primo grado. Il ricorso è, dunque, infondato e, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.