La rivelazione di segreti d’ufficio è reato di pericolo concreto

In tema di delitti contro la Pubblica Amministrazione, il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio riveste natura di reato di pericolo effettivo e non meramente presunto nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta.

Ne consegue che il reato non sussiste, oltre che nella generale ipotesi della notizia divenuta di dominio pubblico, qualora notizie d'ufficio ancora segrete siano rivelate a persone autorizzate a riceverle e cioè che debbono necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi di segreto di cui si tratta ovvero a soggetti che, ancorché estranei di meccanismi istituzionali pubblici, le abbiano già conosciute, fermo restando per tali ultime persone il limite della non conoscibilità dell'evoluzione della notizia oltre i termini dell'apporto da esse fornito. Questo il principio di diritto sancito dalla sez. VI Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33981, depositata il 3 agosto 2015. La rivelazione dei dati telefonici In passato, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che integri il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio la divulgazione delle generalità e dei dati personali identificativi del titolare di un'utenza mobile da parte del dipendente di una società di gestione di servizi telefonici. Ciò in quanto i dati relativi all'intestazione delle utenze telefoniche sono notizie d'ufficio coperte dal segreto trattasi di dati personali e riservati per loro intrinseca natura e per disposizione normativa la cui indebita diffusione viene sanzionata dall'art. 167 d.lgs. n. 196/2003. La giurisprudenza di questa Corte, in linea con la giurisprudenza costituzionale, ritiene che il diritto alla riservatezza, garantito dall'art. 15 Cost., trovi essenziale riscontro nel dovere di riserbo che, a tale proposito, investe tutti coloro che vengono a conoscenza dei dati suddetti per ragioni professionali. Il settore legato alle comunicazioni mantiene i connotati propri del servizio di pubblico interesse, essendo indifferente che allo svolgimento dello stesso concorrano, anche in via non esclusiva, enti ed imprese concessionarie aventi natura privata di conseguenza, i dipendenti di un ente o di una società concessionaria, anche in via non esclusiva, di un servizio di interesse pubblico, vanno considerati incaricati di un pubblico servizio, in quanto concorrono allo svolgimento dell'attività ad esso connessa, a nulla rilevando la natura pubblica o privata dell'ente o dell'imprenditore al quale questa attività sia riferibile. il dolo nella rivelazione di segreti d’ufficio Quanto al profilo del dolo, va evidenziato che il reato di cui all’art. 326 c.p. è punibile a titolo di dolo generico, consistente nella volontà consapevole della rivelazione e nella coscienza che la notizia costituisce un segreto di ufficio, essendo, perciò, irrilevante il movente ovvero la finalità della condotte e senza che possa aver alcun valore esimente l'eventuale errore sui limiti dei propri e degli altrui poteri e doveri in ordine a dette notizie. L’elemento soggettivo nel reato di specie è stato ritenuto insussistente in un particolare caso, in cui un componente di una commissione di esame in un concorso pubblico a un posto di assistente in una divisione ospedaliera aveva comunicato a tutti i candidati, alcuni giorni prima della data stabilita della prova scritta, gli argomenti fra i quali la commissione avrebbe potuto scegliere il tema della prova stessa. La Suprema Corte ha ritenuto che l'agente abbia in tal modo inteso offrire ai candidati, senza alcuna parzialità, quelle avvertenze che in qualsiasi pubblico ufficio la commissione può legittimamente ritenere di dovere dare a tutela dell'interesse dell'amministrazione al migliore svolgimento delle prove. e le ipotesi di non punibilità. Come già precedentemente chiarito dalle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, le ipotesi di non punibilità del reato di cui all’art. 326 c.p. per inoffensività del fatto risultano comunque limitate a casi assai circoscritti. In particolare, è stato evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità che il reato di rivelazioni di segreti di ufficio si configura anche quando il fatto coperto dal segreto sia già conosciuto in un ambito limitato di persone e la condotta dell'agente abbia avuto l'effetto di diffonderlo in un ambito più vasto. Inoltre, gli interessi tutelati dalla fattispecie incriminatrice in oggetto si intendono lesi allorché la divulgazione della notizia sia anche soltanto suscettibile di arrecare pregiudizio alla pubblica amministrazione o ad un terzo. Quando poi è la legge a prevedere l'obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto, il reato sussiste senza che possa sorgere questione circa l'esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa l'esistenza del pencolo, ritenendola conseguente alla violazione dell'obbligo del segreto. La Suprema Corte ha infine stabilito che integra il concorso nel delitto di rivelazione di segreti d'ufficio la divulgazione da parte dell' extraneus del contenuto di informative di reato redatte da un ufficiale di polizia giudiziaria, realizzandosi in tal modo una condotta ulteriore rispetto a quella dell'originario propalatore.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 giugno – 3 agosto 2015, n. 33981 Presidente Milo – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 17/09/2014, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Rimini del 13/12/2012 con la quale è stata affermata la penale responsabilità di N.A. e Na.Ma. in relazione ai reati di cui agli artt. 120 cod.pen.mil. di pace violata consegna e 326 cod. pen. e li ha condannati alla pena di mesi dieci di reclusione ciascuno, previa concessione delle attenuanti generiche, con la pena accessoria della sospensione del grado. Le imputazioni riguardano l'attività svolta dagli interessati, componenti del RONO dei CC, nel corso di una indagine in materia di stupefacenti, finalizzata a far permanere le indagini sul quel territorio, che si concretizzò in chiamate mute ed invio di SMS ad alcune delle persone sottoposte a controllo, che in tesi di accusa, ebbero l'effetto di compromettere le indagini. 2.1. La difesa di N. e di Na. , nei suoi ricorsi, perfettamente sovrapponibili nei contenuti, deduce violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett.b ed e cod. proc. pen. riguardo alla violazione dei criteri legali di valutazione della prova, con particolare riferimento all'omessa considerazione della mancanza di indizi circa l'esecuzione delle telefonate mute effettuate, nei confronti delle persone sottoposte a controllo, da , oltre che nell'invio dell'SMS, attività che sostiene l'imputazione di cui all'art. 326 cod. pen Si rileva in argomento la mancata valutazione della prova testimoniale offerta dal mar. R. il quale, in senso contrario a quanto ritenuto dalla Corte, ha giustificato la possibilità di eseguire tali telefonate per scopi tecnici, da apparecchi esterni a quelli della Procura, per garantire l'anonimato, oltre che le dichiarazioni del medesimo teste sulla possibilità che tali chiamate si rendessero necessarie nel concreto per tali finalità. Si lamenta inoltre la svalutazione del dato di prova emerso sulla presenza del responsabile delle indagini nella sala intercettazioni in concomitanza con l'allontanamento dei ricorrenti, per l'immediata percepibilità della violata consegna, che risulta aver dato titolo a rilievi solo a seguito della visione dei filmati che ritraevano gli indagati, nello stesso momento, in luogo diverso. 3. Con il secondo motivo, in relazione al capo a2 dell'imputazione si eccepisce violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e cod. proc. pen. quanto all'accertamento dell'elemento psicologico del reato di violata consegna, e si richiama in tal senso l'informalità alla quale sono improntate le direttive di servizio impartite all'interno del RONO di cui facevano parte i ricorrenti, circostanza ricavabile dalla testimonianza S. , che ingiustamente non aveva costituito oggetto di valutazione nella sentenza. 4. Analogamente, in relazione all'imputazione di violazione di segreto di ufficio, si eccepisce carenza di motivazione sugli elementi costituivi del reato, esclusi dalla testimonianza acquisita tramite le dichiarazioni Re. che ha negato qualsiasi collegamento degli interessati con le persone sottoposte ad indagine, cosicché il loro comportamento non era stato ritenuto idoneo ad instaurare un procedimento disciplinare. Si richiamano gli elementi di fatto in forza dei quali è possibile ritenere che la prova tecnica, cui i ricorrenti ricollegano il loro comportamento, era ammissibile in quel contesto e contemporaneamente gli elementi di fatto che contraddicono l'assunto sulla base del quale si è ritenuto che le telefonate effettuate abbiano avuto effetto di porre in allarme gli indagati sottoposti a controllo, assunto contrastato dalla presenza in atti di documentazione riguardante le comunicazioni poste in essere successivamente dai controllati, nelle quali essi indicavano le mosse successive, secondo quanto emerge dalla documentazione prodotta all'udienza del 09/06/2009, inspiegabilmente non valutata dal giudicante. 5. Si deduce violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. d cod. proc. pen. riguardante la mancata ammissione di una prova decisiva identificabile nella conversazione intercettata in epoca successiva ed attinente al ed audio di intercettazioni acquisite con i soli brogliacci. 6. Si deduce violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. b cod. proc. pen. in relazione all'erronea applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen. che si trae dalla circostanza che la Corte, rinunciando ad accertare se fosse o meno maturata la prescrizione, che ha ritenuto non possibile verificare per la mancata acquisizione dei verbali, ha dato conto dell'intervenuta rinuncia, senza considerare che questa, per assumere effetto giuridico, può intervenire solo dopo la maturazione del termine. 7. Ulteriore violazione di legge si eccepisce quanto all'erronea valutazione della violazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen. quale errore materiale, che la sentenza ha reiterato, continuando a non riportare nell'intestazione il reato sub a2 per il quale gli interessati avrebbero riportato condanna in primo grado, che era stato contestato non correttamente. 8. Si eccepisce da ultimo vizio di motivazione sull'argomentazione relativa la determinazione della pena, rispetto alla quale, anche in considerazione della differente posizione processuale degli imputati, non è stata in alcun modo giustificata l'equiparazione del trattamento sanzionatorio. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati. 2. Deve premettersi in fatto che le indagini si sono mosse attraverso una ricostruzione accusatoria che individuava l'attività sicuramente ascrivibile agli interessati, l'esecuzione delle telefonate mute e l'invio dell'SMS ad uno degli indagati nel procedimento per reati in tema di stupefacenti, quale condotta che si inscriveva consapevolmente nella volontà di favorire i controllati. Tale ricostruzione è stata smentita nel corso del giudizio di primo grado, all'esito del quale si è giunti all'assoluzione di entrambi i ricorrenti dall'imputazione di favoreggiamento, ed è stata circoscritta l'affermazione di responsabilità alle due imputazioni richiamate, sulla base del dato certo che, pur nell'ambito di una sostanziale possibilità di esecuzione delle telefonate mute, e dell'astratta possibilità per gli agenti addetti al RONO di disattendere le prescrizioni di servizio, in ragione delle esigenze di indagine, queste non potevano riscontrarsi nel concreto. L'impostazione risulta corretta in fatto, ma non in diritto. Invero se, sulla base delle risultanze acquisite non hanno alcun pregio le deduzioni dubitative della difesa in ordine all'impossibilità di ascrivere la condotta materiale qualificata ai sensi dell'art. 326 cod. pen. agli interessati, stante il riscontro diretto della presenza di N. presso il telefono pubblico all'atto dell'esecuzione della telefonata muta, oltre che dei due nel luogo dal quale risultano partite ulteriori telefonate mute e l'SMS, non possono condividersi le conclusioni sulla possibile sussumibilità della condotta nel delitto di rivelazione di segreto. Si deve ricordare che tale fattispecie non si configura quale reato di pericolo astratto, ma concreto Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011 - dep. 07/02/2012, Casani ed altri, Rv. 251271 , il che presuppone la consumazione del fatto, individuabile nella rivelazione del segreto, per effetto della condotta contestata. L'evento, pur astrattamente ascrivibile agli interessati a titolo di dolo eventuale, secondo quanto espressamente ricostruito in sentenza, non risulta, neppure sul piano meramente deduttivo, realizzato nel concreto con le modalità richieste. In particolare, esclusa la presenza di un collegamento tra i ricorrenti ed i controllati sulla base del medesimo accertamento di fatto che ha integrato il complesso della ricostruzione operata dai giudici di merito, la stessa possibilità astratta di esecuzione delle telefonate mute per esigenze delle indagini, accertata attraverso i testimoni escussi, esclude che possa collegarsi direttamente la mera esecuzione di tale attività, sia pure al di fuori di qualsiasi direttiva in tal senso, con la rivelazione del segreto di ufficio infatti, risultando accertata l'assenza di concerto con gli indagati sottoposti a controllo, le telefonate mute potevano assumere una funzione compromettente per lo svolgimento delle indagini indipendentemente dalla natura autorizzata o meno di tali controlli. Per contro, proprio la verificata estraneità di collegamenti tra gli interessati ed i pretesi beneficiati della rivelazione del segreto, conclamata dall'assoluzione dal reato di favoreggiamento, ha portato a ricondurre l'azione dei ricorrenti nell'ambito di una pretesa esigenza di indagine, sia pure valutata senza confrontarsi con i superiori ed al di fuori di un'attività coordinata e programmata con questi, che per le sue modalità esecutive, esclusa la possibilità di interpretare l'azione come un segnale convenzionale riconducibile a tali comunicazioni mute, non può assumere, neppure in via teorica, la necessaria qualità di pericolo concreto il cui accertamento presuppone la verifica della suscettibilità di realizzare un nocumento, alla pubblica amministrazione o ad un terzo, a mezzo della diffusione della notizia da tenere segreta. Così ricostruita la condotta realizzata, ciò che è imputabile agli interessati è di aver sconsideratamente agito con una iniziativa personale, per tentare di radicare le indagini nel territorio di loro pertinenza, anche a costo di comprometterle, ma poiché l'esecuzione di tale azione non assume un sicuro ed automatico effetto rilevatore della presenza dei controlli, per la natura del reato contestato, questo non risulta sussistente. Analogamente deve concludersi per la comunicazione SMS, che per il suo contenuto, con il quale si tentava di ingannare il destinatario per sollecitarlo ad un collegamento con un trafficante della zona, era chiaramente funzionale a radicare le indagini in quel territorio, sicché la sua esecuzione non conduceva neppure in via indiretta, sulla base del contenuto della comunicazione, con certezza alla rivelazione della presenza dei controlli, evento tipico del reato contestato. Del resto, proprio sull'efficacia rivelatrice della finalità della condotta inadempiente ai doveri di ufficio la sentenza non ha offerto specifiche illustrazioni, poiché ha dato conto della contestualità tra comunicazioni mute e spostamento dell'epicentro dell'attività sollecita, senza illustrare gli elementi acquisiti sulla correlazione tra i due eventi, che la difesa contesta, richiamando la presenza di contatti telefonici ulteriori tra i controllati anche nei giorni immediatamente successivi alle telefonate mute, che risulta contraddire l'automatismo richiamato. Ne consegue che, anche la realizzazione del pericolo concreto, a prescindere dalla sua volontaria realizzazione da parte degli agenti, non ha raggiunto il grado di certezza richiesto dalla legge ai fini dell'affermazione di responsabilità. Conseguentemente, con riferimento all'imputazione di cui all'art. 326 cod. pen. deve pervenirsi all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. 3. Deve giungersi all'annullamento della pronuncia di condanna anche in relazione all'ulteriore imputazione. Deve infatti considerarsi che gli interessati, sia pur militari, in quanto appartenenti all'arma dei Carabinieri, svolgevano l'attività oggetto di contestazione in qualità di agenti di p.g funzione che, per le sue caratteristiche proprie richiede un necessario adattamento dell'azione allo svolgimento delle indagini, e non prevede l'imposizione di ordini rigidi ed immutabili, la cui violazione possa integrare il reato contestato quest'ultimo richiede l'esistenza di una consegna precisa, che determini tassativamente e senza spazi di discrezionalità quale debba essere il comportamento del militare di servizio nel senso indicato Sez. 1, n. 8713 del 15/07/1993, Derin, Rv. 195070 . La correttezza di tale impostazione generale è emersa nel concreto dall'istruttoria svolta, ove si è dato conto che proprio per l'efficacia dell'indagine era ben possibile che gli agenti comandati, ascoltate le telefonate, potessero allontanarsi dal luogo ove avveniva la captazione per seguire in diretta le attività delittuose. Se ciò vero, deve convenirsi che, sia pure per uno scopo diverso dall'immediato sviluppo delle indagini, ma connesso a tale attività, almeno nelle intenzioni dei ricorrenti che, sulla base della ricostruzione contenuta in sentenza, risultano non aver agito per interesse personale, ma per un mal interpretato dovere di ufficio connesso alla necessità percepita di continuare a seguire l'indagine, l'allontanamento dalla postazione sia avvenuta sulla base di una determinazione soggettiva che esclude qualsiasi intento di ribellione alle consegne ricevute, che identifica l'elemento costitutivo del reato, all'atto in cui non sia lasciata alcuna discrezionale determinazione al soggetto comandato. Ne consegue che, per tale imputazione debba pervenirsi all'annullamento della sentenza di condanna, senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato in difetto del dolo del reato. 5. Le condotte tenute dagli interessati, al di fuori di qualsiasi coordinamento con i superiori, esclusa la configurabilità dei reati contestati, ben possono sostenere una valutazione di carattere disciplinare, risultando realizzata in violazione dei doveri di subordinazione gerarchica con i titolari del potere di coordinamento e controllo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di violata consegna, perché il fatto non costituisce reato, ed in ordine al reato di cui all'art. 326 cod. pen., perché il fatto non sussiste.