Truffe online realizzate col computer del Comune: dipendente salvo dall’accusa di peculato

Nessun dubbio sull’utilizzo, da parte del lavoratore, della postazione messagli a disposizione dall’ente pubblico gli accessi online erano finalizzati a mettere a segno diverse truffe commerciali. Ciò nonostante, non vi è alcun elemento per desumere un danno per il Comune o una lesione per l’operatività dell’ufficio.

Computer preso in prestito. Tutto regolare, in apparenza, se non fosse per due particolari primo, la postazione informatica è quella messa a disposizione dal Comune per il proprio dipendente secondo, la navigazione online, usufruendo dei mezzi dell’ente pubblico, è finalizzata, dal lavoratore, a mettere a segno alcune truffe commerciali. Vicenda ricostruita nei dettagli. Nessun dubbio, quindi, sulla condotta dell’impiegato del Comune, il quale, però, si salva dalla contestazione del reato di peculato. Possibili, invece, sanzioni su altri fronti, come quello disciplinare e quello del danno all’immagine dell’ente pubblico Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 33991/15 depositata oggi . Accessi online. Come detto, è acclarata, e non discutibile, la condotta attribuita al lavoratore, dipendente di un Comune egli ha utilizzato il computer dell’ufficio, durante l’orario di lavoro e per scopi estranei all’attività lavorativa , cioè per commettere una serie di truffe online, trattando la vendita di diversi oggetti, che sebbene regolarmente pagati, non venivano mai inviati agli acquirenti . Proprio alla luce di questi elementi, l’uomo viene condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato di peculato. Decisiva, per i giudici, la lesione della funzionalità dell’ufficio, derivante non soltanto dalla distrazione dei beni appartenenti alla pubblica amministrazione dalla loro destinazione originaria, ma soprattutto dall’utilizzo dei beni per commettere reati, al precipuo scopo di rendere impossibile, o, comunque, quanto mai difficile l’identificazione dell’autore . Danno. A sorpresa, però, ora arriva l’assoluzione per il dipendente del Comune. Ciò è frutto delle valutazioni compiute dai giudici della Cassazione, i quali, alla luce del concetto di peculato, ritengono non sussistere i presupposti per ravvisare una concreta lesione della funzionalità dell’ufficio . Rilevante, in questa ottica, la considerazione che non è scontato che l’impiego, da parte del pubblico dipendente, del computer d’ufficio, per usi privati e del tutto sporadicamente, possa comportare un effettivo pregiudizio all’attività della pubblica amministrazione , sia di quella da espletare a mezzo dello strumento informatico , sia, più in generale, di quella del singolo addetto, in quanto distolto dalle proprie mansioni a causa dell’abusiva navigazione . Detto in maniera chiara, la condotta del dipendente – con sei accessi spalmati su un arco temporale di quindici mesi – non pare poter ledere la funzionalità dell’ufficio, non comportando, di per sé, nessun ostacolo all’espletamento del servizio pubblico . Allo stesso tempo, va tenuto presente che, in questo caso, l’utilizzo della rete internet, da parte del dipendente del Comune, non ha cagionato nessun apprezzabile danno patrimoniale alla pubblica amministrazione , alla luce della tipologia di contratto ‘all inclusive’ stipulato dal Comune con il gestore telefonico , contratto da cui emerge che il corrispettivo pagato dall’ente territoriale al fornitore prescindeva completamente dalla durata della connessione al servizio internet e, dunque, dal ‘consumo’ . Quadro chiarissimo, quindi, che spinge i Giudici del Palazzaccio a ritenere impossibile la contestazione del reato di peculato nei confronti del dipendente del Comune, le cui azioni non possono ritenersi lesive dell’operatività della pubblica amministrazione . Anche se, va aggiunto, l’utilizzo del computer d’ufficio rappresenta condotta certamente biasimevole , e tale da avere ripercussioni negative, per il lavoratore, sul fronte disciplinare.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 giugno – 3 agosto 2015, n. 33991 Presidente Agrò – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento del 22 maggio 2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi del 23 aprile 2012, la Corte d'appello di Lecce, riqualificato il fatto come ritenuto in sentenza nel delitto previsto dall'art. 314, comma 2, cod. pen., ha concesso D.C.M. il beneficio della sospensione condizionale subordinato alla prestazione di un lavoro di pubblica utilità per la durata di tre mesi per due ore al giorno per quattro giorni alla settimana , confermando nel resto la sentenza appellata. Giova rilevare che il presente procedimento concerne l'utilizzo da parte dell'imputato del computer dell'ufficio del Comune di Francavilla Fontana, durante l'orario di lavoro e per scopi estranei all'attività lavorativa, per commettere una serie di truffe on-line, segnatamente trattando la vendita di diversi oggetti che, sebbene regolarmente pagati dai vari acquirenti, non venivano mai inviati a questi ultimi. Dopo aver passato in rassegna la giurisprudenza di questa Corte, il Collegio di merito ha evidenziato come, nel caso in oggetto, l'aspetto caratterizzante della fattispecie sia costituito, non dal danno economico cagionato alla P.A. conseguente dall'uso del computer e della rete Internet da parte dell'appellante - stante le condizioni del contratto di fornitura del servizio telefonico e telematico e l'entità del presunto danno quantificato dalla stessa pubblica amministrazione spalmato su di un ampio arco temporale -, bensì dalla lesione della funzionalità dell'ufficio, derivante non soltanto dalla distrazione dei beni appartenenti alla pubblica amministrazione dalla loro destinazione originaria, ma soprattutto dall'utilizzo dei medesimi beni per commettere reati, al precipuo scopo di rendere impossibile o comunque quanto mai difficile l'identificazione dell'autore degli stessi. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso personalmente D.C.M., assistito di fiducia dall'Avv. M. D.C., e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all'art. 314, comma 2, cod. pen., per avere la Corte d'appello ritenuto integrato il delitto di peculato d'uso, sebbene, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, ai fini dei superamento della soglia di rilevanza penale, è comunque necessario che si sia prodotto un apprezzabile danno al patrimonio della pubblica amministrazione, condizione insussistente nella specie, dal momento che il Comune di Francavilla Fontana aveva, all'epoca dei fatti, stipulato con la compagnia telefonica Telecom un abbonamento ADSL di tipo Flat h24 denominato Alice business , che consentiva, dietro versamento di una cifra forfettaria mensile, l'uso illimitato dei servizi telefonici, telefonate e connessione Internet, sicché il tempo di connessione al web non incideva sulla quantificazione delle spese di fornitura della rete. D'altra parte, l'utilizzo per fini privati del computer dell'ente si era ridotto a pochissimi minuti sicché non v'era stato nessun pregiudizio per l'attività ordinaria della pubblica amministrazione. 2.2. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all'art. 62 bis, 62, nn. 4 e 6, 323-bis e 133 cod. pen., per avere la Corte omesso di riconoscere all'imputato le suddette circostanze attenuanti e commisurato la pena non sul minimo edittalé, nonostante l'estinzione di tutti procedimenti penali in capo all'imputato, l'avvenuto risarcimento dei danno in favore delle vittime dei reati di truffa e l'esiguità del danno economico cagionato. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato, mentre il difensore dell'imputato ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato e va pertanto accolto con consente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. 2. In via preliminare, occorre rammentare che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire pronunciandosi anche a f in tema di peculato, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che utilizzi il telefono d'ufficio per fini personali al di fuori dei casi d'urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato di peculato d'uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell'ufficio, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzionalmente significative Cass. Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, Vattani e altro, Rv. 255296 Sez. 6 Sez. 6, n. 46282 del 24/09/2014, Brancato Rv. 261009 . Nella diffusa motivazione della citata pronuncia delle Sezioni Unite, si è in particolare evidenziato che non può non rilevarsi, giusta quanto già segnalato nell'analisi generale dei peculato ma la sottolineatura è qui particolarmente doverosa , che il raggiungimento della soglia della rilevanza penale presuppone comunque l'offensività del fatto, che, nel caso del peculato d'uso, si realizza con la produzione di un apprezzabile danno al patrimonio della p.a. o di terzi ovvero con una concreta lesione della funzionalità dell'ufficio eventualità quest'ultima che potrà, ad esempio, assumere autonomo determinante rilievo nelle situazioni regolate da contratto c.d. tutto incluso . L'uso dei telefono d'ufficio per fini personali, economicamente e funzionalmente non significativo, deve considerarsi, quindi anche al di fuori dei casi d'urgenza, espressamente previsti dall'art. 10, comma 3, del d.m. 28 novembre 2000, o di eventuali specifiche e legittime autorizzazioni , penalmente irrilevante. Considerata, poi, la struttura del peculato d'uso che implica l'immediata restituzione della cosa , la valutazione in discorso non può che essere riferita alle singole condotte poste in essere, salvo che le stesse, per l'unitario contesto spazio-temporale, non vadano di fatto a costituire una condotta inscindibile . 3. Ritiene il Collegio che la Corte territoriale, nel confermare il giudizio di penale responsabilità a carico del D.C. riqualificando il fatto da peculato ordinario in peculato d'uso, non abbia fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte, laddove ha ritenuto superata la soglia di rilevanza penale del fatto. 3.1. Sotto un primo aspetto - come rilevato anche dallo stesso Giudice a quo -, si deve ritenere pacifico che, nel caso in oggetto, l'utilizzo della rete Internet da parte dell'imputato a mezzo del pc dell'ufficio non abbia cagionato nessun apprezzabile danno patrimoniale alla P.A. In virtù della tipologia di contratto all inclusive - senza limiti - stipulato dal Comune di Francavilla Fontana con il gestore telefonico e vigente all'epoca dei fatti, il corrispettivo pagato dall'ente territoriale al fornitore prescindeva completamente dalla durata della connessione al servizio Internet e, dunque, dal consumo da parte dell'imputato. Nella specie non è dunque ravvisabile nessun danno economico penalmente rilevante per la pubblica amministrazione. 3.2. D'altra parte, non ricorrono nella specie neanche i presupposti per ravvisare una concreta lesione della funzionalità dell'ufficio. Secondo quanto argomentato dai Giudici della cognizione, la lesione alla funzionalità dell'ufficio deriverebbe, non da un utilizzo della rete Internet a fini privati tale da pregiudicare l'erogazione dei servizi da parte della pubblica amministrazione - in termini di intralcio all'attività dell'ufficio o anche solo di distrazione del dipendente pubblico dagli affari al medesimo assegnati -, bensì dalla circostanza che l'impiegato pubblico accedesse al servizio Internet mediante il pc dell'ufficio allo scopo di commettere reati, rendendo così impossibile o comunque difficile la propria identificazione. Se non che detta condotta si appalesa insuscettibile di ledere la funzionalità dell'ufficio, non comportando di per sé nessun ostacolo all'espletamento del servizio pubblico. Non risponde infatti a nessuna condivisibile massima d'esperienza che l'impiego da parte del pubblico dipendente del computer dell'ufficio, per usi privati e del tutto sporadicamente trattandosi, nella specie, di sei accessi spalmati nell'arco temporale dal 5 ottobre 2007 al 5 gennaio 2009 v. pagina 8 della sentenza in verifica , possa comportare un effettivo pregiudizio all'attività della pubblica amministrazione, sia di quella da espletare a mezzo dello strumento informatico, sia, più in generale, di quella dei singolo addetto, in quanto distolto dalle proprie mansioni a causa dell'abusiva navigazione. Ciò non può non valere anche nel caso in cui, in occasione di tali episodici utilizzi, sia svolta un'attività illecita, trattandosi di condotta certame r te biasimevole e tale da riverberare su diversi piani - quali quello disciplinare, pét tt Fein termini di danno all'immagine dell'amministrazione suscettibile di generare un danno erariale -, ma che di per sé non può ritenersi lesiva dell'operatività della P.A. 4. Tirando le fila delle considerazioni che precedono, in ossequio ai condivisibili principi espressi da questa Corte nel suo più ampio consesso, il fatto come ricostruito dai giudici della cognizione si appalesa privo di obbiettiva offensiva stante l'irrilevanza - rectius l'insussistenza - del danno economico cagionato alla P.A. e la mancanza di un qualunque pregiudizio alla funzionalità dell'ufficio. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.