Può proporre il reclamo solo chi concretamente subisce pregiudizio per l’indisponibilità del bene

E non chi vuol far valere mere violazioni di legge nell’esercizio della procedura di sequestro. Il Giudice cautelare non è il Giudice dell’”utilizzabilità” della prova. La Cassazione sconfessa un ormai minoritario orientamento.

Così si è espressa la Corte di Cassazione, sez. III Penale, nell’ordinanza n. 29072/15, depositata l’8 luglio. Il fatto. Per fatti di omessa dichiarazione ex art. 5 d.lgs. n. 74/2000 – gli amministratori avrebbero simulato che una società realmente operante nel territorio nazionale avesse sede in territorio lussemburghese, omettendo di versare le dovute imposte -, vengono mossi più decreti di sequestro probatorio aventi ad oggetto mail, messaggi, corrispondenze e comunicazioni informatiche probanti le circostanze di reato. Più misure vengono annullate dal Tribunale del riesame, per mancanza del nesso di pertinenzialità con il reato e per insufficiente descrizione delle contestazioni avanzate nei confronti degli amministratori depositari dei documenti. Avverso l’ultimo decreto del pm, confermato dal Tribunale del riesame, l’amministratore sociale contesta più vizi formali e di procedura, in quanto le medesime comunicazioni raccolte durante gli accertamenti tributari sarebbero state trasmesse alla Procura in assenza dei dovuti decreti autorizzativi ed in sibillina violazione della norme di procedura penale regolanti il sequestro di corrispondenza. La Cassazione trancia via le contestazioni, il Riesame è il luogo della verifica dell’ingiusto pregiudizio a danno dei depositari o dei conservatori i beni oggetto di sequestro, non è luogo di verifica dei vizi formali e di procedura. Di seguito i giudici rigettano il ricorso. Le violazioni formali in caso di sequestro di corrispondenza. Nel caso i ricorrenti contestavano la violazione dell’art. 220 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale, che impongono, quando nel corso delle attività ispettive o di vigilanza vengono in rilevo ipotesi di reato, l’osservanza delle norme di procedura. Il ricorrente deduce che il decreto di sequestro probatorio fosse furbescamente servito a ratificare le indagini già compiute dagli accertatori tributari, più che a renderne possibili di nuove. In particolare sarebbero risultate palesi le violazioni all’ostentazione del segreto professionale dei professionisti depositari della documentazione, in disprezzo degli artt. 256, comma 1, c.p.p. e 200 c.p. Altresì palesi sarebbero state le violazioni ex art. 254, comma 2, c.p.p. – regolanti le ipotesi del sequestro di corrispondenza – in conformità all’art. 15 Cost., nonché dell’art. 255 c.p.p. – alcuni documenti erano di fattura bancaria –. Non è questa la sede”, deduce la Cassazione. In sede di riesame occorre valutare il pregiudizio maturato a carico di coloro che vantano diritti sulle cose oggetto di sequestro. La Cassazione sconfessa il minoritario orientamento che ammette la richiesta al giudice, da parte del ricorrente, di un sindacato di legittimità sulle procedure di sequestro probatorio adottate. L’interesse tutelato del ricorrente, in sede di riesame e di sub-procedimento cautelare, è quello alla restituzione del bene e all’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli seguenti alla mancata disponibilità del bene e non quello della verifica della conformità legale della procedura, questa in capo esclusivamente al giudice chiamato a confermare od annullare la misura – che altrimenti sarebbe chiamato a pronunciarsi sull’inutilizzabilità della misura ex art. 192 c.p.p., ben oltre le competenze giudiziali in caso di procedimento cautelare -. Ne segue che il ricorso è ammissibile solo quando il sequestro probatorio è in grado di produrre siffatto pregiudizio – e la legittimazione del ricorrente si sussume come concreta ed attuale -, sicché l’eliminazione della misura comporti un ampliamento favorevole della sfera giuridica del proprietario o dell’avente diritto sul bene. Di fatto, nel caso concreto, alcun pregiudizio poteva essere stato prodotto, avendo gli accertatori tributari disposto il sequestro su copia di mail e comunicazioni che rimanevano nella disponibilità fisica ed informatica degli amministratori sociali. La Cassazione ha rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, ordinanza 25 settembre 2014 – 8 luglio 2015, n. 29072 Presidente Teresi – Relatore Savino Ritenuto in diritto B.P. ha proposto ricorso per Cassazione, per il tramite del difensore, avverso l'ordinanza in data 6.5.2014 con la quale il Tribunale del riesame di Bologna ha rigettato l'istanza di riesame proposta dal predetto, quale legale rappresentante della M. Estate s.p.a., avverso il decreto in data 7.4.2014 col quale è stato disposto il sequestro probatorio di messaggi di corrispondenza e comunicazioni inoltrate per via telematica, presenti all'interno di un supporto di memoria hard disk già in possesso del Nucleo di Polizia Tributaria essendo stato acquisito in via amministrativa nei confronti della società M. Estate s.p.a. , nell'ambito di procedimento penale a carico di C.R. e Bo.Gi. , indagati del reato di cui agli art. 81 cpv c.p., 5 d.lvo 74/2000. Il procedimento suddetto aveva tratto origine da una verifica fiscale eseguita nei confronti della predetta società, nel corso della quale la Polizia Tributaria del nucleo di Bologna aveva proceduto a trasferire su appositi supporti informatici il contenuto degli account di posta elettronica appartenenti a cinque soggetti che rivestivano ruoli apicali all'interno della predetta società fra i quali il B. , amministratore delegato e quindi legale rappresentante della M.Estate, e C.R. , presidente del Consiglio di amministrazione, oltre ad alcuni componenti del cda. e dirigenti della società, responsabili dei vari servizi tributari e finanziari. All'esito della verifica fiscale e dell'esame del materiale acquisito, essendo emersi indizi di reità nei confronti del C. e della Bo. per delitti in materia fiscale in relazione all'operatività in Italia della società GB sa, società a loro riferibile, pur avendo essa la sede in Lussemburgo, la Polizia tributaria trasmetteva alla Procura della Repubblica di Bologna la comunicazione di notizia di reato. Il P.M., in data 4.2.2014, emetteva il decreto di sequestro probatorio dei documenti informatici costituiti da corrispondenza, messaggi e comunicazioni varie già in possesso della PT, acquisiti in via amministrativa, trattandosi di materiale utile ai fini della conferma dell'ipotesi accusatoria e per dimostrare l'effettiva localizzazione in Italia dell'attività della società GB s.a Avverso il decreto di sequestro probatorio veniva proposta, con separati ricorsi, istanza di riesame del legale rappresentante della M. Estate spa, B.P. , amministratore delegato della stessa, e istanza di riesame dal C. e dalla Bo. Il Tribunale del riesame, con ordinanza depositata in data 12.3.2014, ritenendo mancante l'incolpazione provvisoria nel provvedimento, in accoglimento della richiesta di riesame, annullava il decreto di sequestro nei confronti della M. Estate ordinando la restituzione del materiale in sequestro alla ricorrente mentre, con ordinanza in data 1.4.2014 nel procedimento n. 53/2014 R.I.M.C.R., dichiarava inammissibile la richiesta di riesame nei confronti del C. e della Bo. di restituzione della documentazione informatica, il P.M. emetteva, in data 13.3.2014, nuovo decreto di sequestro dello stesso materiale contenente, con riferimento al motivo di annullamento del precedente decreto, l'incolpazione provvisoria con la contestazione del fatto-reato addebitato, che era stata omessa. Avverso detto decreto hanno proposto nuova istanza di riesame il B. in qualità di legale rappresentante della M. Estate, il C. e la Bo. , riproponendo le ulteriori violazioni di legge già dedotte nella prima richiesta di riesame e sulle quali il Tribunale non si era pronunciato, avendo disposto l'annullamento con riguardo alla mancata contestazione della condotta addebitata. Il Tribunale del riesame, con ordinanze depositate il 2.4.2014, ancora una volta ha accolto il riesame proposto nell'interesse della M. Estate dal legale rappresentante B. ritenendo insussistente l'indicazione del nesso di pertinenzialità fra i documenti in sequestro e il reato contestato , annullando il decreto di sequestro e disponendo la restituzione di quanto in sequestro alla società ricorrente, ed ha dichiarato nuovamente inammissibile l'istanza di riesame proposta da C.R. e Bo.Gi. . Contestualmente al decreto di restituzione, il P.M. ha emesso un terzo decreto di sequestro, questa volta avente ad oggetto 15 e-mail presenti all'interno di un supporto di memoria hard disk già in possesso del nucleo Polizia Tributaria, ed acquisito in via amministrativa nei confronti della M. Estate s.p.a Avverso detto provvedimento la M.Estate, in persona del legale rappresentante B. , ha proposto nuova richiesta di riesame deducendo le seguenti doglianze 1 - violazione di legge - art. 253 257, 324 c.p.p. con riferimento al sindacato riservato al giudice del riesame in materia di sequestro probatorio. Assume la difesa della società ricorrente che il Tribunale del riesame, pur dando atto che non è stato contestato nella richiesta di riesame il fumus delicti, entra nel merito dell'accusa, pronunciandosi sulla sua fondatezza, con riferimento al contenuto delle informative della PG arrivando a ritenere quelle che sono state indicate come semplici ipotesi di reato in termini di certezza, quali fatti effettivamente accaduti e già accertati, sconfinando dai limiti propri del sindacato del riesame di sequestro probatorio. Richiama a tale proposito la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, a differenza del sequestro preventivo, quando oggetto del riesame sia un sequestro probatorio, il controllo del tribunale deve essere limitato alla sola corrispondenza formale fra l'ipotesi legale e l'ipotesi storica, alla sola verifica circa l'astratta possibilità di sussumere la condotta quale contestata dal PM in una specifica ipotesi di reato. la legittimità di un sequestro probatorio deve essere valutata non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell'accusa, ma in riferimento all'idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utili l'espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all'indagato della disponibilità del bene o l'acquisizione della stesso nella disponibilità dell'AG Cass. sez 6, 26.3.2013 n. 20103 . Peraltro la condotta illecita contestata al C. e alla Bo. , quella di far apparire come società avente sede in Lussemburgo la GRB, unicamente per sottrarla all'obbligo della dichiarazione annuale dei redditi, emergerebbe, ad avviso dei giudici del riesame, proprio da quelle informative della PG del 10.10.2013 e 4.1.2014, richiamate dal tribunale, alle quali la PG è pervenuta proprio attraverso illegittime modalità di acquisizione del contenuto della corrispondenza informatica, perché poste in violazione delle norme costituzionali e della norme che disciplinano le indagini preliminari, oggetto delle censure avanzate in sede di riesame e riproposte col ricorso per Cassazione. Nel caso in esame il sequestro probatorio non era quindi finalizzato a rendere possibile nuove indagini ma a ratificare quelle già espletate dalla PG, convalidando la già avvenuta acquisizione del materiale probatorio, in violazione delle norme che la disciplinano. 2-violazione di legge, art. 15 Cost. e 220 disp. att. c.p.p., in relazione al procedimento di acquisizione del materiale poi oggetto di sequestro, trattandosi di materiale già utilizzato nell'ambito di medesimo procedimento penale dalla P.G., in epoca anteriore all'adozione del provvedimento di sequestro. 3 violazione di legge, art. 254 co. 2 c.p.p., in relazione alla disciplina stabilita per il sequestro di corrispondenza. 4 violazione di legge con riferimento alla disciplina stabilita dagli art. 256 co 1 c.p.p. che riguarda l'apprensione di documentazione in relazione alla quale può essere opposto il segreto professionale. 5 mancanza o comunque, è insufficiente motivazione in relazione al rapporto di pertinenzialità fra il materiale oggetto di sequestro e il delitto per il quale di procede, nonché in merito alla necessità del sequestro di tale materiale per l'accertamento dei fatti. Nel corso di un controllo fiscale svolto dal nucleo di Polizia tributaria, nei confronti della M. Estate, conclusosi con processo verbale di constatazione, la GdF, facendo uso dei poteri attribuiti per le verifiche di carattere amministrative, ha acquisto gli account di posta elettronica dai personal computer in uso a C.R. , presidente del cda, ed ad altri soggetti facenti parte del cda o titolari di incarichi apicali all'interno della società, creando tre copie contenute in supporti di memoria mobile identificati dai numeri seriali indicati nei verbali di sequestro. La corrispondenza tratta dagli account di posta elettronica, fino ad allora oggetto dell'indagine amministrativa, a seguito dell'emersione degli indizi di reità e della comunicazione della notizia di reato fatta dalla Polizia tributaria alla Procura di Bologna, è stata trasferita nel procedimento penale apertosi a carico del C. e della Bo. , indagati del reato di cui all'art. 5 d.lvo 74/2000, senza che fosse intervenuto alcun provvedimento di autorizzazione all'acquisizione da parte del PM, e dunque in violazione dell'art. 15 Cost., che prevede, a tutela della libertà e segretezza della corrispondenza la doppia riserva di giurisdizione . A partire da quel momento, essendo divenuto materiale acquisito alle indagini preliminari, detta corrispondenza è stata aperta, esaminata, selezionata, stampata e riportata in numerose annotazioni della PG, fra le quali quella del 10.10.2013 e quella del 4.2.2014. 2- Quanto al secondo motivo concernente le modalità di acquisizione del materiale sequestrato, rileva la difesa della società ricorrente che le 15 mail oggetto del terzo sequestro, cui si riferisce l'ultima richiesta di riesame, sono puntualmente descritte, testualmente riportate e fisicamente allegate alle informative in data 10.1.2013, 26.11.2013 e 4.2.2014, le prime due antecedenti l'adozione del primo sequestro, la terza, contestuale alla data di emissione del primo decreto di sequestro, costituente una integrazione della precedente in data 26.11.2013.con cui si sollecita al P.M. la sua adozione. Ciò vuoi dire che la polizia tributaria aveva già provveduto ad esaminare il contenuto degli account trasferiti sull'hard disk, estrapolando dalle migliaia di e-mail in esse rinvenute, quelle di interesse e provvedendo a copiarle a stamparle e ad allegarle alle informative. Tale attività di minuziosa analisi del materiale poi sequestrato effettuata dal nucleo PT diversi mesi prima del sequestro, ha consentito al P.M. di disporre il sequestro dei documenti già selezionati. Osserva la difesa che la redazione di tali informative con la allegazione della corrispondenza poi oggetto di sequestro, avrebbe presupposto la legittima acquisizione al procedimento penale delle e-mail in questione invece esse sono state acquisite nell'ambito di un controllo ispettivo-amministrativo da parte del nucleo polizia tributaria e trasferite nel procedimento penale contestualmente alla comunicazione di notizia di reato, senza rispettare le norme sulle indagini preliminari che disciplinano l'acquisizione della corrispondenza. Il sequestro quindi è stato emesso dal P.M. quando l'attività di indagine era stato ormai compiuta di iniziativa della PG senza alcuna vigilanza da parte dell'organo a ciò deputato. Ed è propria grazie a tale acquisizione ed utilizzazione da parte della PG dell'hard disk, avvenuta senza alcun provvedimento autorizzativo dell'autorità giudiziaria, che è stato possibile emettere un provvedimento di sequestro delle singole mail estrapolate e allegate in forma cartacea al decreto. 3- quanto al terzo motivo, assume la difesa che, con le modalità di acquisizione al procedimento penale della corrispondenza informatica sopra descritte, si è violato l'art. 220 disp. att. c.p.p. che disciplina il passaggio dalle risultanze penalmente rilevanti acquisite nel corso di accertamenti ispettivi ed amministrativi art. 51,52 dpr 633/1972 , disponendo che gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale, sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice. Nel caso in esame, la GdF ha acquisito l'hard disk contenente gli account di posta da cui sono estrapolate le e-mail oggetto di sequestro nel corso di attività amministrativa disciplinata dagli art. 32,33 dpr 600/1973e 52 dprp 633/1972. Per tutti i mesi che hanno preceduto l'adozione del provvedimento di sequestro il primo risale al 7.4.014 , la GdF ha utilizzato il materiale in oggetto, a fini investigativi in sede penale, in assenza di qualsiasi provvedimento autorizzativo motivato dell'autorità giudiziaria che ne giustificasse la presenza e l'impiego nella fase delle indagini preliminari, come se ci si trovasse ancora in sede di accertamenti amministrativi regolati dalle suddette norme. Invece, con la comunicazione della notizia di reato, in forza della previsione di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p., la cui valutazione è stata pretermessa dai giudici del riesame, nonostante fosse oggetto di specifica censura, avrebbero dovuto applicarsi da quel momento le norme del codice di procedura, che disciplinano la fase delle indagini preliminari, con riguardo al sequestro di corrispondenza art. 254 co. 2 e 353 cpp , le quali, ispirate alla tutela della libertà di corrispondenza e di segretezza della corrispondenza art. 15 cost. prevedono che nel caso di sequestro di corrispondenza eseguito dalla P.G., sia di iniziativa in casi di urgenza, salva la convalida del P.M., sia su autorizzazione dal P.M. con apposito decreto di sequestro, gli ufficiali operanti devono consegnare la corrispondenza sequestrata all'autorità giudiziaria senza aprirla e conoscerne il contenuto e solo in casi eccezionali il PM può autorizzare la PG che procede ad aprirla e a prendere visione del contenuto. 4- violazione di legge in ordine al materiale sequestrato, con riferimento alla previsione dell'art. 256 co 1 c.p.p Premesso che tutte la mail sequestrate provengono dai professionisti incaricati, per conto della società, dell'assistenza nella materia fiscale e tributaria, si sarebbero dovute applicare le norme che disciplinano l'acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria della corrispondenza esistente presso i soggetti indicati negli art. 200,.201 c.p. dettate proprio a tutela della riservatezza dei rapporti, che deve intercorrere fra i professionisti indicati Tali norme escludono un'acquisizione diretta ed immediata della corrispondenza in questione anche contro la volontà del professionista depositario di essa, ma prevedono un ordine di esibizione di essa rivolto al professionista il quale può anche opporvisi opponendo il segreto professionale o di ufficio, con dichiarazione scritta solo ove questa risulti è infondata l'autorità giudiziaria può disporre ugualmente il sequestro. Nel caso in esame, pur provenendo la corrispondenza da soggetti tenuti al segreto professionale, si è proceduto al sequestro senza interpellarli sulla volontà di avvalersi di esso e il contenuto degli atti è stato ampiamente esaminato a fini di indagine, in violazione delle norme in materia. Ritenuto in diritto Il ricorso è infondato. Quanto al primo motivo, si osserva che nel procedimento davanti al tribunale del riesame non è stato contestato da parte dell'indagato il fumus delicti ma solo la legittimità delle modalità di acquisizione delle fonti di prova. Ad ogni buon conto correttamente i giudici del riesame, senza entrare nel merito della contestazione, evidenziano i profili di responsabilità valevoli sotto il profilo del fumus delicti, emergenti dall'attività di indagine svolta dalla GdF da cui risulta che la società GRB s.a. con sede in OMISSIS è di fatto operante in Italia e che la sua collocazione in territorio lussemburghese era finalizzata solo alla elusione degli obblighi tributari. Passando all'esame degli altri motivi, a norma dell'art. 257 c.p.p., soggetti legittimati a proporre istanza di riesame avverso decreto di sequestro sono l'imputato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla restituzione del bene, ovvero, quanto a quest'ultima categoria, tutti coloro che sono titolari di un diritto di proprietà o altro diritto reale sul bene, o che vantano una legittima pretesa, pur se nascente da un rapporto obbligatorio e non da un diritto reale, a conseguirne il possesso o la detenzione. Tuttavia, per proporre richiesta di riesame del decreto di sequestro, occorre non solo che il richiedente sia legittimato, ma che vi abbia un interesse, come previsto in generale, per l'interesse a proporre impugnazione, dall'art. 568 co 4 c.p.p Tale interesse è stato individuato nella giurisprudenza della Suprema Corte, nella menomazione di una qualunque situazione giuridica soggettiva sulla cosa, apportata con il vincolo impresso dal sequestro. Sez. 5, Sentenza n. 44036 del 21/10/2008 dep. 25/11/2008 Rv. 241673, Sez. 3, Sentenza n, 10977 del 27/01/2010 dep. 22/03/2010 Rv. 246344, Sez. 5, Sentenza n. 10205 del 18/01/2013dep. 04/03/2013 Rv. 255225. Come affermato da questa Corte, avverso il sequestro preventivo è legittimato a proporre ricorso per cassazione, oltre al soggetto cui le cose sono state sequestrate o cui dovrebbero essere restituite, anche l'imputato o l'indagato, sempre che abbia un concreto interesse alla proposizione del gravame. Ne consegue che, nella ipotesi in cui egli non sia titolare del bene sottoposto a sequestro, in tanto può impugnare, in quanto il provvedimento ablativo abbia prodotto una lesione nella sua sfera giuridica, sì che la eventuale eliminazione o riforma del provvedimento stesso abbia l'effetto di render possibile il conseguimento di un risultato a lui giuridicamente favorevole. Sez. 1, Ordinanza n. 36038 del 21/09/2005 Cc. dep. 05/10/2005 Rv. 232254 . La difesa dei ricorrenti, partendo dalla finalità pacificamente riconosciuta della procedura del riesame in presenza di sequestro probatorio, ossia quella di evitare le conseguenze pregiudizievoli per la parte derivanti dal vincolo di indisponibilità del bene, ritiene che, nel caso in esame, esse non coincidano con la sussistenza di un interesse giuridicamente tutelato alla restituzione, bensì con l'interesse a che venga riconosciuta e dichiarata l'illegittimità del sequestro con conseguente restituzione del materiale all'avente diritto, in considerazione della illegittimità del procedimento acquisitivo dei documenti, avvenuto prima ancora che fosse emesso il decreto di sequestro, in violazione di norme costituzionali e procedurali, quali i rapporti fra accertamenti e verifiche amministrative ed indagini penali art. 220 dip. att. c.p.p. , in materia di sequestro di corrispondenza e di documentazione tutelata dal segreto professionale art. 254, 254, 256 c.p.p. . Sussiste, secondo la difesa dei ricorrenti, un interesse concreto degli indagati a che il materiale sequestrato che entri a far parte del fascicolo del Pubblico Ministero, sul quale potranno fondarsi nuovi provvedimenti cautelari, e sul quale il PM dovrà operare le sue valutazioni ai fini dell'esercizio dell'azione penale o meno, sia stato acquisito legittimamente, nel rispetto delle norme in materia. Tale opinione, che porta ad identificare l'interesse ad impugnare il provvedimento ablativo con l'esigenza di un regolare procedimento di acquisizione delle prove, non è condivisibile. La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che l'interesse concreto ed attuale che deve sussistere ai fini della proposizione dell'istanza di riesame del sequestro non può essere identificato nell'interesse, non già alla restituzione del bene, bensì ad assicurare il regolare svolgimento della procedura di acquisizione delle prove, attraverso la verifica che ogni mezzo diretto alla formazione delle prove sia acquisito regolarmente, nei casi ed entro i limiti previsti dalla legge. È inammissibile, per carenza di interesse, la richiesta di riesame di sequestro probatorio volta ad ottenere non già la restituzione del bene sequestrato, bensì una pronuncia sulla legittimità od utilizzabilità della prova acquisita essendo tale ultima valutazione riservata al solo giudice del processo ed essendo di contro la procedura di riesame destinata unicamente ad eliminare le conseguenze pregiudizievoli per la parte derivanti dal vincolo d'indisponibilità del bene. In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame avverso il sequestro di documentazione custodita nei computer in uso agli indagati ed eseguito mediante la sola estrazione di copia degli hard disks e, conseguentemente, senza l'asportazione di alcun bene materiale . Sez. 2, Sentenza n. 24958 del 14/06/2007 dep. 27/06/2007 Rv. 236759. La procedura di riesame avverso il decreto di sequestro probatorio è destinata unicamente ad eliminare - in caso d'illegittimità - le conseguenze pregiudizievoli per la parte derivanti dal vincolo d'indisponibilità imposto sulle cose oggetto del sequestro. L'interesse concreto ed attuale a proporre l'impugnazione deve essere pertanto coerente con la struttura e la finalità del procedimento cfr. Cass. sez. 1A, sent. n. 36038 dep. il 5 ottobre 2005 e deve ritenersi sussistente ogniqualvolta il provvedimento ablativo abbia prodotto una lesione nella sfera giuridica del soggetto, sì che l'eventuale eliminazione o riforma del provvedimento stesso abbia l'effetto di render possibile il conseguimento di un risultato a lui giuridicamente favorevole, e non può consistere nella volontà di ottenere risultati che non potrebbero conseguire all'accoglimento dell'impugnazione. In particolare, deve negarsi che l'incidente cautelare in tema di sequestro probatorio possa essere utilizzato per ottenere una pronuncia indiretta sulla legittimità dei mezzi di prova, o sull'utilizzabilità della prova acquisita, che abbia un effetto generale nel procedimento, poiché tali pronunce sono estranee alle attribuzioni del giudice innanzi al quale viene impugnato il sequestro cfr. Cass. sez. 2^, sent. n. 1480 del 30 aprile 1999 . È nota al Collegio l'esistenza di un precedente contrario Cass. sez. 6^, sent. n. 36775 dep. il 1 luglio 2003 , secondo cui è ammissibile l'istanza di riesame di un provvedimento di sequestro probatorio di documentazione, successivamente restituita dal Pubblico Ministero previa estrazione di copie, sussistendo l'interesse del richiedente a verificare che l'uso del mezzo tendente all'acquisizione della prova sia avvenuto nei casi ed entro i limiti previsti dalla legge. Tale indirizzo non è condivibile poiché un siffatto interresse di natura processuale è privo del requisito della concretezza che deve caratterizzare l'interesse ad impugnare il sequestro. Difatti l'eventuale declaratoria di illegittimità del sequestro in sede di riesame non comporterebbe alcuna conseguenza giuridicamente favorevole per i ricorrenti,non determinandosi per effetto dell'annullamento del sequestro, alcuna reintegrazione della loro sfera giuridica inoltre gli effetti di una eventuale qualificazione d'illegittimità o inutilizzabilità indirettamente attribuita alla prova acquisita mediante il sequestro revocato o mai eseguito sarebbero destinati ad esaurirsi nel procedimento incidentale. Il giudicato cautelare riguarda infatti il solo provvedimento cautelare, e ordinariamente non produce alcun effetto diverso, esaurendo completamente la propria efficacia con la pronuncia sul singolo provvedimento. Il ricorso deve dunque essere rigettato. Segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali Il ricorso deve dunque essere rigettato. Segue per la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.