Il riconoscimento di una sentenza straniera può portare alla revoca di benefici penitenziari previsti dal nostro ordinamento?

In tema di mandato di arresto europeo, qualora il giudice disponga che la pena detentiva inflitta dallo Stato straniero debba essere eseguita in Italia, il principio di conformità al diritto interno impone l’esecuzione dello stesso tipo di pena prevista per quel reato dal nostro ordinamento. Ove ci fosse incompatibilità, il giudice deve procedere all’adattamento.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24643 depositata il 10 giugno 2015. Il caso. La Corte d’appello di Roma revocava la sospensione condizionale della pena concessa ad un imputato dal Tribunale di Frosinone. Rilevava la Corte territoriale che l’imputato risultava destinatario di un mandato di arresto emesso dall’autorità giudiziaria rumena per l’esecuzione di due sentenze di condanna, riconosciute dalla medesima Corte d’appello italiana. Il riconoscimento rifiutava però la consegna dell’imputato allo Stato richiedente, posto che egli era cittadino di un paese membro dell’UE, legittimamente residente nel nostro territorio nazionale e che aveva espressamente chiesto di scontare la pena in Italia. Avverso tale pronuncia, l’imputato propone ricorso in Cassazione deducendo che il riconoscimento di sentenze straniere agli effetti penali non può essere implicito nella sentenza in tema di richiesta di consegna fondata sul MAE, necessitando invece di apposito procedimento, come previsto dagli accordi internazionali o comunitari sul tema. La disciplina interna e comunitaria. Preliminarmente i Giudici di legittimità, rilevano come lo strumento del MAE sia stato recepito anche dall’ordinamento rumeno ed è dunque applicabile nelle relazioni giurisdizionali tra le autorità italiane e rumene. Sul tema assume rilevanza la Convenzione di Strasburgo sul trasferimento di persone condannate, datata 21 marzo 1983 e ratificata in Italia con la l. n. 334/88, nonché la Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell’Unione Europea relativa al reciproco riconoscimento delle sanzioni penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale. In tal quadro normativo risulta dunque che il riconoscimento della sentenza penale non presuppone la condizione di detenzione del soggetto nei cui confronti viene avviata la procedura, mentre il trasferimento non richiede il consenso della persona condannata l’unico requisito indefettibile delle due procedure è la presenza del soggetto condannato nel territorio dello Stato di emissione della sentenza penale ovvero di quello in cui il medesimo provvedimento deve essere eseguito. Nel quadro normativo tracciato dalla Decisione quadro e dalla disciplina normativa richiamate, si inserisce l’estensione della nuova procedura di mutuo riconoscimento nell’esecuzione delle sentenze definitive di condanna in caso di mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano. L’adattamento del trattamento sanzionatorio. La S.C. conclude ribadendo il principio per cui, in tema di mandato di arresto europeo, qualora il giudice disponga che la pena detentiva inflitta dallo Stato straniero debba essere eseguita in Italia, il principio di conformità al diritto interno impone l’esecuzione dello stesso tipo di pena prevista per quel reato dal nostro ordinamento. Ove ci fosse incompatibilità, il giudice deve procedere all’adattamento circa la natura e la durata delle pene previste dai due ordinamenti giuridici. Nel caso di specie la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare in via preliminare la sussistenza delle condizioni generali per il riconoscimento della sentenza e solo successivamente vagliare la compatibilità delle pene irrogate con la sentenza straniera con le modalità di esecuzione in Italia. Per questi motivi la Corte di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 maggio – 10 giugno 2015, n. 24643 Presidente Giordano – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa l’01/07/2014 la Corte di appello di Roma, su conforme richiesta della Procura generale della Corte di appello di Roma, disponeva la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a C.D. con la sentenza irrevocabile emessa il 27/10/2010 dal G.U.P. del Tribunale di Frosinone. Tale revoca veniva giustificata dal fatto che, dopo tale sentenza, il C. risultava destinatario di un mandato di arresto emesso dall'autorità giudiziaria romena il 27/03/2012, per l'esecuzione di due sentenze di condanna riportate in Romania, emesse il 22/05/2009 dal Tribunale di Focsani e il 17/01/2012 dalla Corte di appello di Galati, che aveva riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Focsani il 17/05/2011. In relazione a tali sentenze interveniva la sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma il 25/02/2014, nel procedimento n. 3714 M.A.E., con le quali tali provvedimenti venivano riconosciuti nello Stato italiano. Questo riconoscimento veniva operato rifiutando la consegna del C. allo Stato richiedente, trattandosi di un cittadino membro dell'Unione Europea legittimamente residente nel territorio italiano, che aveva espressamente richiesto si scontare la pena in Italia. In conseguenza di tale mandato di arresto Europeo, le sentenze pronunciate dall'autorità giudiziaria rumena venivano automaticamente riconosciuta nello Stato italiano, non potendo applicarsi al caso di specie la disciplina speciale prevista dall'art. 13, comma 2, del d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161. Sulla scorta di tali elementi processuali si disponeva la revoca della sospensione condizionale della pena concessa ai sensi dell'art. 168, comma 2, cod. pen 2. Avverso tale ordinanza C.D. , a mezzo dell'avv. Carmelo Tripodi, ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge, in relazione agli artt. 10, 11 e 13 del d.lgs. n. 161 del 2010. Si deduceva, in particolare, che il riconoscimento delle sentenze straniere agli effetti penali non può ritenersi implicito nella sentenza sulla richiesta di consegna fondata su un mandato di arresto Europeo, necessitando di un'apposita procedura, riconducibile alla disciplina speciale attuativa di accordi internazionali o di atti normativi comunitari, in esecuzione dei quali veniva adottato il d.lgs. n. 161 del 2010. Ne discende che, nel caso di specie, venivano in rilievo non solo gli apprezzamenti in merito alla sussistenza delle condizioni generali per il riconoscimento della sentenza, ma anche le verifiche inerenti ai criteri di compatibilità della pena, in quanto ritenute compatibili, di cui agli artt. 10, 11 e 13 del d.lgs. n. 161 del 2010, oltre al vaglio delle modalità esecutive successive al riconoscimento e alle implicazioni connesse all'eventuale applicazione del principio di specialità. Profili, questi, su cui la giurisprudenza di legittimità era intervenuta nel senso richiamato dalla difesa del ricorrente e su cui il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto preliminarmente confrontarsi cfr. Sez. 6, n. 20527 del 14/05/2014, dep. 19/05/2014, Vatrà, Rv. 259785 . Queste ragioni processuali imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. In via preliminare, deve rilevarsi che lo strumento del mandato di arresto Europeo, entrato in vigore tra gli Stati membri dell'Unione Europea il 05/12/2011, è stato e recepito anche nell'ordinamento rumeno a decorrere dal 26/12/2013 ed è pertanto applicabile nelle relazioni giurisdizionali tra le competenti autorità del nostro Paese e della Romania. Tale strumento, com'è noto, ha la finalità di consentire l'esecuzione di una sentenza di condanna pronunciata dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione Europea nello Stato membro della persona condannata o in un altro Stato membro che abbia espresso il consenso a riceverla. L'ambito applicativo del riconoscimento delle sentenze penali di condanna presenta una pluralità di punti di contatto sia con quello della Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate adottata il 21/03/1983, ratificata in Italia con la legge 25 luglio 1988, n. 334, sia con quello della Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell'Unione Europea, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione Europea. Diversamente dalla Convenzione di Strasburgo, però, il riconoscimento della sentenza penale non presuppone la condizione di detenzione del soggetto nei cui confronti viene attivata la procedura in esame mentre, l'eventuale trasferimento non presuppone il consenso della persona condannata, conformemente a quanto previsto dagli artt. 5 e 10 del d.lgs. n. 161 del 2010. In questo ambito, l'unico presupposto indefettibile della procedura in esame è costituito dalla presenza del soggetto condannato nel territorio dello Stato membro di emissione della sentenza penale ovvero in quello di esecuzione dello stesso provvedimento. Per quanto riguarda, invece, i rapporti tra gli Stati membri dell'Unione Europea che hanno attuato la Decisione quadro 2008/909/GAI, le corrispondenti disposizioni della Convenzione di Strasburgo sono, tendenzialmente, sostituite dalle disposizioni dell'art. 26 della stessa decisione e dell'art. 25 del d.lgs. n. 161 del 2010. Per quel che attiene, infine, al rapporto con la procedura di consegna basata sul mandato di arresto Europeo, occorre considerare la previsione dell'art. 24 del d.lgs. n. 161 del 2010, che estende l'applicazione del nuovo meccanismo procedurale alle ipotesi affini di esecuzione della pena o della misura di sicurezza previste dagli artt. 18, comma 1, lett. r , 19, comma 1, lett. c , della legge 22 aprile 2005, n. 69. La nuova disciplina normativa, infatti, si propone di integrare il sistema di consegna del mandato di arresto Europeo, con specifico riferimento alle evenienze della consegna in executivis e della consegna per finalità processuali dei cittadini e dei soggetti residenti in Italia, rispettivamente disciplinate dagli artt. 18 e 19 della legge n. 69 del 2005. Questi principi, a loro volta, traggono origine della regola generale enunciata nell'art. 25 della Decisione quadro 2008/909/GAI - intitolato Esecuzione delle pene a seguito di un mandato d'arresto Europeo” - il cui contenuto si riferisce espressamente alle ipotesi dell'esecuzione delle pene a seguito di un mandato di arresto Europeo, dalle quali può ricavarsi il criterio di riparto secondo cui Fatta salva la decisione quadro 2002/584/GAI, le disposizioni della presente decisione quadro si applicano, mutatis mutandis , nella misura in cui sono compatibili con le disposizioni di tale decisione quadro, all'esecuzione delle pene nel caso in cui uno Stato membro s'impegni ad eseguire la pena nei casi rientranti nell'articolo 4, paragrafo 6, della detta decisione quadro, o qualora, in virtù dell'articolo 5, paragrafo 3, della stessa decisione quadro, abbia posto la condizione che la persona sia rinviata per scontare la pena nello Stato membro interessato, in modo da evitare l'impunità della persona in questione”. In questa cornice sistematica, dunque, si inserisce la disciplina normativa che si è richiamata, che estende l'applicazione della nuova procedura di mutuo riconoscimento nell'esecuzione delle sentenze definitive di condanna alle fattispecie previste dagli artt. 18, comma 1, lett. r e 19, comma 1, lett. c , della legge n. 69 del 2005, con la quale occorre confrontarsi, caso per caso, nella valutazione sulla sussistenza dei presupposti richiesti per l'esecuzione delle sentenze penali straniere. 2. In questa stratificata cornice normativa, deve rilevarsi che, nel caso di specie, la Corte di appello di Roma avrebbe dovuto preliminarmente verificare la sussistenza delle condizioni generali per il riconoscimento della sentenza, vagliando successivamente, nel rispetto della disciplina del d.lgs. n 161 del 2010, così come ricostruita nel paragrafo precedente, la compatibilità delle pene irrogate con le sentenza straniere subite dal C. , le modalità di esecuzione successive al riconoscimento e le implicazioni connesse all'eventuale applicazione del principio di specialità. Valutazioni, queste, che la corte territoriale ha correttamente espresso in termini di compatibilità sistematica generale, ma che il mutato quadro normativo impone di allargare sul più ampio orizzonte delle condizioni, dei presupposti e dei motivi contemplati nelle disposizioni del d.lgs. n 161 del 2010, la cui osservanza comporta una verifica concreta - e non meramente edittale - della compatibilità delle pene irrogate con le sentenze penali straniere presupposte. Ne consegue che il provvedimento impugnato è ineccepibile sul piano dei principi di diritto che vi sono sottesi, ma risulta generico sotto il profilo del vaglio di compatibilità richiesto dal d.lgs. n 161 del 2010, con specifico riferimento alle sentenze penali irrevocabili rumene in conseguenza delle quali veniva disposta la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente concesso a C.D. . Nel caso di specie, dunque, si imponeva al giudice dell'esecuzione una complessiva operazione di rilettura delle vicende giurisdizionali presupposte, tenuto anche conto della procedura di consultazione con l'autorità competente dello Stato di emissione, espressamente regolata nell'art. 13, comma 2, del d.lgs. n 161 del 2010, che esclude un riconoscimento meramente formale dei provvedimenti giurisdizionali stranieri. Esemplare, da questo punto di vista, risulta un passaggio della motivazione dell'arresto giurisprudenziale di questa Corte, già richiamato nei paragrafi precedenti, contenuto a pagina 5, nel quale si afferma Al riguardo, inoltre, giova rilevare che, ai fini degli effetti giuridici del riconoscimento, non è sufficiente limitarsi alla mera indicazione che la sentenza straniera è riconosciuta agli effetti della legge italiana, ma occorre sempre precisare i reati per i quali il riconoscimento viene effettuato, tenuto conto, in particolare, della eventualità di un riconoscimento parziale ex art. 10, comma 3 , ovvero delle possibili conseguenze legate, ad es., alle preclusioni ai benefici penitenziari di cui all'art. 4 bis Ord. Pen.” cfr. Sez. 6, n. 20527 del 14/05/2014, dep. 19/05/2014, Vatrà, cit. . Né potrebbe essere diversamente, atteso che ci si trova di fronte di forme alternative di riconoscimento e di esecuzione della sentenza penale di condanna di uno Stato membro, connotate da finalità rieducative similari, ma solo in parte regolate dalla medesima disciplina normativa, che determina una differente valutazione processuale delle conseguenze applicative del provvedimento riconosciuto. Tale differenziazione non può non riverberarsi sugli effetti indiretti della procedura attivata - nel nostro caso costituiti dalla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con una precedente sentenza irrevocabile al C. - in relazione ai quali occorre un vaglio giurisdizionale che tenga conto, sulla base delle specifiche emergenze processuali, delle conseguenze del riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali presupposti sull'esecuzione della pena cfr. Sez. 6, n. 20527 del 14/05/2014, dep. 19/05/2014, Vatrà, cit. . D'altra parte, nella materia esecutiva, questa Corte ha già avuto modo di pronunziarsi, affermando che, in tema di mandato di arresto Europeo, qualora la corte di appello disponga, ai sensi dell'art. 18, lett. r , della legge n. 69 del 2005, che la pena detentiva inflitta dallo Stato di emissione sia eseguita in Italia, il principio della conformità al diritto interno impone l'esecuzione dello stesso tipo di pena prevista per il reato in Italia. Ne consegue che, in caso di incompatibilità della natura e della durata delle pene previste nei due ordinamenti giuridici, la corte di appello deve procedere agli adattamenti necessari, applicando i principi stabiliti dall'art. 10, comma 5, del d.lgs. n. 161 del 2010, secondo cui Se la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza applicate con la sentenza di condanna sono incompatibili con quelle previste in Italia per reati simili, la corte di appello procede al loro adattamento. La durata e la natura della pena o della misura di sicurezza adattate non possono essere inferiori alla pena o alla misura di sicurezza previste dalla legge italiana per reati simili, né più gravi di quelle applicate dallo Stato di emissione con la sentenza di condanna. La pena detentiva e la misura di sicurezza restrittiva della libertà personale non possono essere convertite in pena pecuniaria” cfr. Sez. 6, n. 4413 del 29/01/2014, dep. 30/01/2014, Nalbariu, Rv. 258259 . Nel caso di specie, tale verifica preliminare di compatibilità - limitatamente alla revoca della sospensione condizionale della pena originariamente concessa a C.D. con la sentenza irrevocabile emessa il 27/10/2010 dal G.U.P. del Tribunale di Frosinone - si imponeva con riferimento a entrambe le sentenze irrevocabili sulle quali era intervenuto il riconoscimento da parte della Corte di appello di Roma del 25/02/2014, rappresentate dalla sentenza emessa il 22/05/2009 dal Tribunale di Focsani e dalla sentenza emessa il 17/01/2012 dalla Corte di appello di Galati, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Focsani il 17/05/2011. 3. Le ragioni giuridiche che si sono esposte impongono l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Roma. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Roma.