La condotta negligente del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro

Nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24469, depositata l’8 giugno 2015. Il caso. Il datore di lavoro di una società ricorre in Cassazione a seguito della sentenza della Corte d’appello di Milano che rideterminava la pena originariamente inflitta nel giudizio di primo grado. All’imputato si addebitava il fatto di non aver adottato appropriate misure organizzative e di protezione, relative alle operazioni di caricamento delle polveri nei reattori che hanno causato un’esplosione con conseguente infortunio di un lavoratore. Anche in presenza di una condotta negligente del lavoratore non vi è esclusione del nesso di casualità tra le omissioni del datore e l’evento verificatosi. Le difese del datore di lavoro, incentrate su una diversa collocazione dei fatti, addebitando la responsabilità sul lavoratore per non aver tenuto una condotta conforme ai parametri stabiliti dalle norme antinfortunistiche, sono risultate infondate. Infatti, i Giudici di legittimità, a sostegno della decisione adottata dalla Corte d’appello, ricordano come le stesse norme sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Per di più, l’esistenza del rapporto di casualità si può escludere solo nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato, dove per abnormità si debba intendere la stranezza e imprevedibilità delle condotte del dipendete che si pongono al di fuori di ogni possibilità di controllo . Dal momento in cui nel caso di specie tale comportamento non si può desumere, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso del datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 maggio – 8 giugno 2015, n. 24469 Presidente Brusco – Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 3.07.2014, in parziale riforma della sentenza di condanna resa dal Tribunale di Milano in data 7.11.2013, nei confronti di B.D. , in riferimento al reato di cui all'art. 590, cod. pen., riconosciute le circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena originariamente inflitta e confermava nel resto. Al B. , si contesta, nella sua qualità di direttore dello stabilimento con delega di funzioni in materia di sicurezza, relativo al sito di , della società IVM Chemicals s.r.l., di avere cagionato al lavoratore R.D. , per colpa derivante dalla violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, lesioni personali consistite in ustioni della superficie corporea di terzo grado, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a quaranta giorni. All'imputato si addebita di non aver adottato appropriate misure organizzative e di protezione, relative alle operazioni di caricamento delle polveri nei reattori, di talché si verificava l'esplosione che determinava l'infortunio occorso al R. . Al B. si contesta, in particolare, di non aver predisposto procedure di lavoro dettagliate relative alle operazioni di carico dei miscelatori, di non aver elaborato ed aggiornato il documento sulla protezione contro le esplosioni e ciò con riguardo ai rischi derivanti da atmosfere esplosive e rispetto alle cause di innesco. La Corte territoriale, nel censire le specifiche ragioni di doglianza dedotte dalla parte appellante, rilevava che l'affermazione di responsabilità del prevenuto doveva essere confermata. Ciò in quanto si era accertato che la scheda tecnica relativa alle operazioni di scioglimento della polvere denominata CAB all'intero del miscelatore risultava carente, in riferimento alla decisiva circostanza data dalla tempistica relativa alla sequenza da seguire nella introduzione delle diverse polveri. Il Collegio rilevava, pertanto, che le schede tecniche fornite ai lavoratori risultavano carenti, proprio in riferimento al rischio di scoppio per contato tra le polveri aventi una diversa carica. La Corte distrettuale osservava, poi, che il comportamento negligente, certamente posto in essere dal lavoratore infortunato, non valeva ad escludere il nesso di causalità tra le riferite omissioni e l'evento verificatosi. Al riguardo, sottolineava che la normativa antinfortunistica è volta anche a prevenire le conseguenze lesive che possono derivare dai comportamenti imprudenti posti in essere dagli stessi lavoratori. 2. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione B.D. , a mezzo del difensore. Con il primo motivo l'esponente deduce il vizio motivazionale. La parte rileva che la Corte di Appello ha pedissequamente richiamato le argomentazioni svolte dal Tribunale ed osserva che si tratta di valutazioni del tutto incompatibili con il contenuto delle emergenze probatorie. A sostegno degli assunti, il deducente considera che i lavoratori erano stati adeguatamente informati sui potenziali rischi della lavorazione e sottolinea che l'attività produttiva di cui si tratta non è ancorata ad una rigida sequenza temporale, giacché il lavoratore deve effettuare il controllo visivo dello stato di scioglimento delle polveri, scioglimento che dipende da una serie di elementi, soggetti a variazione. Il ricorrente sottolinea che erroneamente i giudici di merito hanno individuato, quale ulteriore causa rispetto alla verificazione dell'incidente, la mancata predisposizione di uno schermo protettivo. Sul punto, viene dedotto il travisamento della prova, osservandosi che il richiamato presidio serve unicamente a convogliare le polveri. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale, dolendosi della valutazione espressa dalla Corte territoriale, in riferimento alla condotta colposa posta in essere dallo stesso lavoratore. La parte osserva che la responsabilità del destinatario delle norme antinfortunistiche deve essere esclusa, quando la condotta del lavoratore risulti abnorme e rileva che tale deve ritenersi quella posta in essere dal R. , che ebbe inaspettatamente a disattendere le sequenze, anche temporali, indicate nella scheda di produzione. Con il terzo motivo viene dedotta violazione di legge e vizio motivazionale in riferimento alla prevedibilità dell'evento. L'esponente ritiene che la Corte di Appello abbia in realtà omesso di effettuare la valutazione dell'elemento psicologico del reato, proprio con riguardo alla prevedibilità dell'evento, secondo un giudizio ex ante . E rileva che si tratta di valutazione che deve essere effettuata anche nelle ipotesi di condotta imprudente del lavoratore, come nel caso di specie. Considerato in diritto 1. Il ricorso è destituito di fondamento. 2. Il primo motivo di ricorso si pone ai limiti della inammissibilità. Le censure dedotte dall'esponente, invero, si risolvono nella prospettazione di una ricostruzione alternativa del sinistro per cui è processo, rispetto alle valutazioni effettuate dai giudici di merito. Giova, al riguardo, rilevare che secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, invero, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali con la conseguenza che il sindacato di legittimità deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali in tal senso, ex plurimis , Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272 . Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945 . E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo comunque preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109 . Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177 Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181 . È poi appena il caso di considerare che la Corte di Appello, secondo un percorso argomentativo immune da fratture di ordine logico e perciò non sindacabile in sede di legittimità, ha espressamente considerato che la scheda tecnica relativa alle operazioni di scioglimento della polvere denominata CAB, all'interno del miscelatore, risultava carente, proprio in riferimento alla decisiva circostanza data dalla tempistica relativa alla sequenza che doveva essere adottata, nella introduzione delle diverse polveri nel medesimo miscelatore. Segnatamente, il Collegio ha rilevato, soffermandosi specificamente sugli acquisiti elementi di prova, che in nessuno dei corsi in materia di sicurezza era stato esaminato il tema delle tempistiche della lavorazione delle vernici trasparanti di cui si tratta, in relazione al rischio specifico di scoppio e che anche le schede tecniche fornite ai lavoratori risultavano carenti, in riferimento al rischio di scoppio, derivante dal contatto tra le polveri, aventi una diversa carica. E preme evidenziare che la Corte territoriale ha considerato che lo stesso consulente tecnico della difesa aveva osservato che la lavorazione all'interno del miscelatore richiedeva un arco temporale di trenta minuti e che tale tempistica difficilmente poteva essere rispettata dai lavoratori, in assenza di prescrizioni univoche e perentorie, rispetto al pericolo di deflagrazione. Mette conto poi rilevare che la Corte di Appello ha del tutto legittimamente considerato che una ulteriore causa del sinistro era da individuarsi nella mancata predisposizione di uno schermo protettivo, idoneo a chiudere il miscelatore. Al riguardo, i giudici hanno osservato che detto schermo avrebbe svolto una duplice funzione da un lato, avrebbe evitato il contatto delle polveri con l'ossigeno dall'altro, avrebbe comunque protetto il lavoratore, dalle conseguenze derivanti da uno scoppio accidentale. E, conclusivamente sul punto, il Collegio ha pure evidenziato che detto semplice presidio, all'indomani dell'infortunio occorso al R. , era stato apposto su tutti i miscelatori dell'unità produttiva. 3. Il secondo motivo di ricorso è del pari infondato. Al riguardo, deve rilevarsi che la Suprema Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Segnatamente, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità che può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento che, nella materia che occupa, deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica cfr. Cass., sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. il 20.03.2000, Rv. 215686 . E preme altresì evidenziare che la Suprema Corte ha chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore - come certamente è avvenuto nel caso di specie -che abbia compiuto un'operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, dep. 9.03.2007, Rv. 236109 . Come si vede, la valutazione espressa dalla Corte territoriale, laddove si è osservato che la condotta negligente del lavoratore non valeva ad escludere il nesso causale tra le accertate omissioni in materia di sicurezza riferibili all'imputato e l'evento, si colloca del tutto coerentemente nell'alveo del richiamato orientamento interpretativo. 4. Con l'ultimo motivo di ricorso l'esponente, in termini meramente assertivi, ritiene che la Corte di Appello abbia omesso di soffermarsi sul tema della prevedibilità dell'evento. Al riguardo, deve considerarsi che, in sede di merito, è stata effettuata una specifica valutazione, rispetto alla prevedibilità dell'evento lesivo, consistente in una deflagrazione, originata dall'impiego di materiali altamente infiammabili, che aveva investito le braccia ed il volto della parte offesa. Ed invero, i giudici di primo e secondo grado - le cui argomentazioni, concordando nell'analisi e nell'apprezzamento degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo motivazionale cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 8868 del 26.06.2000, Rv. 216906 - hanno evidenziato che l'evento verificatosi rientrava nell'area del rischio tipico della lavorazione effettuata dalla IVM, secondo l'oggetto sociale e che il rischio di deflagrazione era prevedibile, in riferimento alle modalità temporali della lavorazione delle polveri e che pure era prevedibile il pericolo di ustioni per il lavoratore, stante la mancanza di uno schermo protettivo, introdotto solo successivamente, rispetto ai miscelatori come quello in uso al R. . Si tratta di valutazioni del tutto coerenti, rispetto all'insegnamento ripetutamente espresso dalla Corte regolatrice, in base al quale si è chiarito che, ai fini del giudizio di prevedibilità richiesto per la configurazione della colpa, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell'evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione Cass. Sez. 4, Sentenza n. 35309 del 25/06/2013, dep. 21/08/2013, Rv. 255956 e che la responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare deve aver determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mirava a prevenire -come certamente avvenuto nel caso di specie - poiché alla colpa dell'agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causalmente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1819 del 03/10/2014, dep. 15/01/2015, Rv. 261768 . 5. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.