L’ex marito non versa l’assegno perché senza lavoro, ma deve dimostrarlo se vuole evitare la pena

L’incolpevole impossibilità economica dedotta dall’imputato quale giustificazione per il mancato versamento dell’assegno a favore della ex moglie e della figlia, come stabilito in sede di separazione, deve essere dimostrata da chi la deduce.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16810/15 depositata il 22 aprile. Il caso. Il Tribunale di Gela dichiarava l’imputato colpevole per il reato di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza a danno della ex moglie e della figlia in tenera età, per non aver versato l’assegno mensile come stabilito del giudice civile in sede di separazione consensuale dei coniugi. La decisione veniva confermata anche in secondo grado. Avverso la sentenza della Corte d’appello propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato lamentando la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione che aveva sancito la responsabilità dell’imputato sulla base delle sole dichiarazioni della moglie e della madre di lei, trascurando gli elementi favorevoli alla difesa. In particolare l’imputato aveva dedotto l’incapacità economica a far fronte agli obblighi derivanti dalla separazione coniugale per la mancanza di un lavoro. Il ricorrente lamenta inoltre la violazione del principio di correlazione per essere stato ritenuto responsabile anche in relazione alla violazione degli obblighi di assistenza morale nei confronti della figlia, fatto estraneo all’imputazione. La prova dell’impossibilità economica. Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Con riguardo alla prima doglianza, i Giudici di legittimità confermano la correttezza della pronuncia impugnato che ha applicato consolidati principi giurisprudenziali in tema di valutazione dell’impossibilità economica ad adempiere agli obblighi di assistenza familiare. Compete infatti all’imputato l’onere di fornire una compiuta dimostrazione della propria incapacità economica ad adempiere all’obbligo contributivo giudiziale impostogli a favore dei prossimi congiunti. Non è pertanto sufficiente dedurre la mancanza di un’attività lavorativa, se tale affermazione non può essere argomentata sulla base di specifici elementi probatori forniti in giudizio dall’imputato stesso. Allo stesso modo nessun pregio merita il secondo profilo di doglianza, in quanto la Corte territoriale non risulta aver alterato lo spettro dell’accusa specificamente contestata all’imputato, avendo invece semplicemente puntualizzato l’intensità dell’elemento soggettivo argomentando sul totale disinteresse dell’imputato per le sorti della figlioletta. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 settembre 2014 - 22 aprile 2015, n. 16810 Presidente Agrò – Relatore Paoloni Fatto e diritto 1. Riuniti i procedimenti oggetto di due separati decreti di citazione a giudizio per il reato di cui all'art. 570 - co. 2, n. 2- c.p. l'uno relativo alla moglie separata Cu.Va. l'altro relativo alla figlia minore C.M.S. , il Tribunale di Gela, con sentenza resa il 4.10.2010 all'esito di giudizio ordinario, ha dichiarato C.F. colpevole del reato di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in pregiudizio della consorte separata e della figlia minorenne, avendo fatto mancare loro - dal luglio 2014 in permanenza attuale e, quindi, fino alla data della sentenza - il contributo mensile di Euro 400 stabilito dal Tribunale di Gela con decreto di omologazione della separazione consensuale dei coniugi. Per l'effetto al C. è stata inflitta la pena, in ragione del concorso formale ex art. 81 co. 1 c.p. delle due separate condotte omissive, di sette mesi di reclusione ed Euro 700 di multa con coeva condanna al risarcimento del danno in favore delle due parti civili, determinato in complessivi Euro 15.000 di cui Euro 3.000 per la moglie separata ed Euro 12.000 per la figlia minorenne . 2. Adita dall'impugnazione del C. , la Corte di Appello di Caltanissetta con sentenza contumaciale del 19.2.2013 ha respinto il gravame e confermato la decisione di condanna di primo grado. Nel condividere la ricostruzione e l'analisi degli eventi processuali operate dalla sentenza di primo grado, la Corte territoriale ha - per un verso - ribadito la piena credibilità della persona offesa Cu.Va. , ancorché costituita parte civile in proprio e per la figlia minore , perché avvalorata dalle concordi testimonianze della madre e della sorella della donna A.C. e Cu.Gi. e del maresciallo CC M.G. quanto all'attività lavorativa svolta dall'imputato dopo l'abbandono del domicilio coniugale e un pressoché totale disinteresse per le sorti della moglie e della figlia di appena due anni . Per altro verso la stessa Corte nissena ha escluso la sussistenza di dati giustificativi della condotta del C. con particolare riguardo alla addotta mancanza di redditi lavorativi o di altra natura per far fronte al suo obbligo contributivo di coniuge separato e di padre, avendo la p.o. Cu. attendibilmente riferito di aver perfino visto le buste paga percepite dal suo ex marito , mostratele dal suocero in dibattimento avvalsosi della facoltà di non testimoniare , con il quale ha mantenuto buoni rapporti . I giudici di appello hanno, infine, ritenuto di non poter ridurre la pena irrogata all'appellante, tenendo conto del lungo periodo in cui si è sviluppata la sua illecita condotta omissiva oltre cinque anni . 3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato che ha dedotto i vizi di legittimità di seguito sintetizzati. 3.1. Erronea applicazione dell'art. 570 co. 2 c.p. e contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione. La Corte di Appello e in precedenza il Tribunale hanno sancito la responsabilità dell'imputato sulla base delle sole dichiarazioni accusatorie della moglie separata e della madre della stessa, tralasciando di valutare gli elementi favorevoli all'imputato e, primo fra tutti, l'addotto stato di incapacità economica per mancanza di un lavoro. Lo stesso maresciallo L. ha riferito che nel 2004/2005 l'imputato è stato licenziato dall'azienda in cui lavorava dopo un periodo di cassa integrazione e che in seguito non ha svolto stabili attività lavorative. Ciò non ha impedito al prevenuto di inviare in più casi, quando ne ha avuto la possibilità, delle somme di denaro alla moglie separata, come si desume dalle ricevute dei vaglia telegrafici versate in atti. Deve allora concludersi che vi è la ragionevole certezza che l'imputato si sia trovato in una situazione di parziale incapacità economica che gli impediva di assolvere appieno alle obbligazioni pecuniale impostegli dal giudice civile. 3.2. Violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521 c.p.p L'accusa contestata all'imputato con i due originali decreti di citazione a giudizio è stata incentrata sulla mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza alla moglie e alla figlia. La sentenza impugnata ha confermato la condanna di primo grado, motivandola anche con la violazione degli obblighi di assistenza morale nei confronti della figlia minore art. 570 co. 1 c.p. . Violazione che integra un fatto estraneo all'imputazione in palese elusione dei criteri di valutazione della prova dettati dall'art. 192 co. 1 c.p.p L'inottemperanza agli obblighi di assistenza morale avrebbe dovuto formare oggetto di specifica contestazione e di puntuale accertamento nel corso del dibattimento. Il che non è avvenuto, a tacere del fatto che è stata la C. , trasferitasi da a omissis con un nuovo compagno, ad impedire all'imputato di avere rapporti con la figlia minorenne. 3.3. Illogico diniego della sospensione condizionale della pena. La Corte di Appello ha negato il beneficio al C. , formulando nei suoi confronti una sfavorevole prognosi comportamentale desunta unicamente dal lungo lasso di tempo che avrebbe scandito la sua condotta penalmente rilevante, senza tenere conto della condizione di difficoltà economica sofferta dall'imputato. 4. Il ricorso proposto nell'interesse di C.F. va dichiarato inammissibile per indeducibilità e manifesta infondatezza dei motivi di censura. 4.1. Premesso che l'articolazione del ricorso si mostra generica per sostanziale carenza di specificità delle censure, replicanti le ragioni di doglianza già rimesse all'esame della Corte di Appello e, per vero, anche al giudice di primo grado , che le ha analizzate e disattese con corretti argomenti giuridici, contestati dal ricorso mediante una alternativa rilettura delle fonti di prova di segno meramente fattuale di per sé non consentita nel giudizio di legittimità , destituiti di ogni fondamento vanno considerati i rilievi sull'addotta incapacità economica dell'imputato nel fronteggiare l'obbligo contributivo in favore della figlia e della moglie separata fino alla pronuncia della sentenza di primo grado. Affatto fuorviante e impropria è, in vero, la lettura della sentenza di appello enunciata nel ricorso. La sentenza impugnata, al pari della sentenza del Tribunale, non ha fatto altro che applicare consolidati principi in tema di valutazione dello stato di impossibilità economica ad adempiere dell'imputato del reato di cui all'art. 570 - co. 2, n. 2 - c.p., segnalando come competa all'imputato fornire compiuta dimostrazione della propria incapacità di adempiere l'obbligo contributivo giudiziale impostogli per assicurare i mezzi di sussistenza ai suoi prossimi congiunti. Incapacità enunciata dall'imputato, ma della cui storicità ovvero della cui non riconducibilità ad un suo colpevole contegno egli non ha offerto concrete prove cfr., ex plurimis Sez. 6, n. 7372 del 29.1.2013 S Rv 254515 Sez. 6, n. 23017 del 29.5.2014, P., Rv. 259955 . Tutto ciò in un ambito probatorio che appare escludere in radice la presunta totale mancanza di redditi lavorativi del ricorrente, emergendo dall'istruttoria dibattimentale come il C. abbia continuato quandoché per effetto di incarichi non stabili, a svolgere una durevole attività di lavoro. 4.2. Nessuna discrasia logica e meno che mai la violazione del principio di correlazione è ravvisabile nelle valutazioni di merito espresse dalla Corte territoriale mssena. La sentenza impugnata non ha alterato lo spettro dell'accusa contestata all'imputato, come si ipotizza nell'odierno ricorso. La semplice lettura della sentenza di appello chiarisce come i giudici del gravame abbiano richiamato il contegno di disinteresse del C. per le sorti della figlia al solo scopo di puntualizzare l'intensità dell'elemento soggettivo dolo che ha sorretto, per lungo periodo di tempo, il comportamento deliberatamente” omissivo del prevenuto nell'assolvere l'obbligo contributivo verso la moglie e la bambina, che era ed è rimasto l'unico oggetto della contestata accusa penale. 4.3. Indeducibile è la subordinata censura sulla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. La motivazione al riguardo fornita dalla sentenza di appello è sufficiente, logica e immune da possibili rilievi nella odierna sede. Merita soltanto aggiungere che la sentenza del Tribunale di Gela, che sì integra con la sentenza di appello oggi impugnata dal C. , ha precisato come costui abbia già fruito una volta della sospensione condizionale e sia gravato da precedenti penali per fatti recenti della stessa specie di quelli ascrittigli nel presente processo. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in misura di Euro 1.000 mille . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.