Se la personalità è disturbata, la mente è viziata?

Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, i disturbi della personalità possono concorrere a incidere sulla capacità di intendere e di volere, anche se essi non appartengono al novero delle malattie mentali. Ciò a condizione che il reato commesso sia la risultante eziologica del disturbo e che quest’ultimo sia intenso e grave.

Ecco il principio di diritto enucleato dalla Sesta Sezione della Cassazione, che, con la sentenza n. 53600, depositata il 23 dicembre 2014, ha accolto il ricorso dell’imputato annullando con rinvio per nuovo giudizio. L’infermità mentale non è provocata da un numero chiuso di cause. Si è portati istintivamente a ritenere che la malattia di mente sia soltanto quella annoverabile tre le patologie ufficialmente” catalogate dalla scienza medica. Il resto delle turbe psichiche che possono affliggere un individuo vengono genericamente indicate come disturbi della personalità”. In che misura questi possono incidere sulla capacità di intendere e di volere? O, per meglio dire, il disturbo psichico è in grado di far venir meno, in tutto o in parte, l’imputabilità? Nel caso che ci occupa l’imputato veniva giudicato colpevole di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, ma, al momento dei fatti, versava in evidente stato di squilibrio mentale e la sua reazione scomposta ne era proprio l’effetto. Un orientamento ormai ben consolidato riconosce gli effetti dei disturbi della personalità. La Cassazione non ha più alcuna difficoltà ad ammettere che la capacità di intendere e di volere di un uomo possa diminuire - o venire meno del tutto - anche se il soggetto in questione non risulta affetto da alcuna delle patologie conosciute dalla scienza medica. Il disturbo della personalità, quindi, può rientrare nel concetto di infermità. Lo dicono gli Ermellini, aggiungendo così un ulteriore tassello ad un orientamento che si è iniziato a consolidare quasi dieci anni fa, come testimonia la serie di precedenti elencati dalla Cassazione nella sentenza in commento il più antico è del 2005, il più recente rimonta, invece, al 2012. Prima condizione devono essere gravi. In primo luogo occorre che i disturbi della personalità invocati per far ritenere esclusa o diminuita la capacità di intendere e volere siano consistenti, intensi e gravi, tanto da poter essere valutati, appunto, per giudicare se un certo soggetto è imputabile oppure no. Seconda condizione il reato deve essere la risultante causale del disturbo mentale. In buona sostanza, occorre che sia raggiunta la prova dell’esistenza di un nesso eziologico tra disturbo della personalità e reato. Lo stato psichico alterato del soggetto agente deve aver provocato il reato. Come si può immaginare, questa non è una prova facile da offrire non potrà, quindi, invocarsi il difetto di imputabilità se il reato oggetto di giudizio non è il risultato – per così dire – dello stato di alterazione mentale dell’agente. Il rigore di questo requisito comporta alcune esclusioni. Non verrà dato alcun rilievo a quegli stati di alterazione mentale che, antecedenti o concomitanti al reato, non lo hanno in alcun modo cagionato. Se, quindi, dovesse pervenirsi alla conclusione che l’illecito sarebbe stato posto in essere a prescindere dallo stato di alterazione psichica, non vi sarà spazio per affermare che la capacità di intendere e di volere era diminuita o, a maggior ragione, insussistente. Non avranno nessun rilievo, tiene a precisare la Suprema Corte, nemmeno quelle anomalie caratteriali, o alterazioni della personalità che non abbiano quei caratteri di intensità, gravità ed efficacia causale, tali da poter incidere concretamente sulla capacità di intendere e volere. E gli stati emotivi e passionali”? Anche questi, in linea di massima, non hanno alcun effetto diminutivo sulla imputabilità di un soggetto. A meno che, dice la Corte, questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità . Come si vede, il punto di partenza del principio di diritto così individuato è sempre ben saldo è vero che non occorre la corrispondenza tra il singolo disturbo e una delle voci” della nomenclatura medica, ma è pur vero che non ogni disarmonia” corrisponde ad una infermità”. Per usare un linguaggio familiare tra gli operatori del diritto penale, potremmo dire che le cause di diminuzione o esclusione della capacità di intender e di volere possono ben essere atipiche”, purché l’effetto da esse provocato sia, invece, tipico, tanto da poter rendere tecnicamente – se così si può dire – infermo l’individuo che ne soffre.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 – 23 dicembre 2014, n. 53600 Presidente Milo – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20 marzo 2014 la Corte d'appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bologna in data 20 gennaio 2010, appellata da R.M., ha concesso all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando nel resto l'impugnata pronuncia, che all'esito di giudizio abbreviato lo dichiarava responsabile dei reati [ascrittigli ai capi d'imputazione sub B e C ] di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate in danno del Maresciallo Ciccozzi Pierluigi e del Brigadiere Filippone Pietro, e lo condannava, concesse le attenuanti geN.che ed applicata la diminuente del rito, alla pena di mesi dieci di reclusione, dichiarando altresì non doversi procedere in ordine al reato di minacce aggravate in danno della convivente I.N.J.H.di cui al capo sub A , per intervenuta remissione di querela, dopo aver escluso la contestata aggravante di cui al secondo comma dell'art. 612 c.p. . 2. Avverso la su indicata pronunzia della Corte di merito ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'imputato, deducendo violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione alla ritenuta configurabilità dell'elemento psicologico di entrambi i reati di cui ai capi sub B e C , nonché in merito alla eccessività della pena per violazione dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p 2.1. In relazione al reato di cui al capo sub B si evidenzia, in particolare, che le stesse condizioni soggettive dell'imputato - presentatosi in Caserma pronunziando frasi sconnesse e con chiare intenzioni suicide, a causa del prolungato periodo in cui non era riuscito a vedere la figlia a seguito della separazione dalla compagna - hanno determinato i Carabinieri a richiedere l'intervento del 118 per disporre il T.S.O. con ricovero presso una struttura psichiatrica. Come attestato, inoltre, dalla responsabile del dipartimento salute mentale A.U.S.L. di Bologna in data 8 agosto 2007, i Carabinieri riferirono che il R. era già in stato di alterazione psichica quando si recò in Caserma chiedendo di fare una denuncia contro la compagna, madre della figlia di sette anni, che non vedeva da diverse settimane. Essi gli impedirono di compiere gesti estremi, poichè si resero conto che si trovava in uno stato di profondo sconforto e disperazione, tanto che allertarono le autorità sanitarie non solo per le cure mediche del caso, ma soprattutto per sottoporlo al T.S.O., che in effetti fu richiesto al Sindaco di Bologna già in data 3 agosto 2007 dal dott. Iarussi Bruno. La misura durò sino all'8 agosto 2007 e non venne prorogata solo perché il R. accettò un ricovero volontario almeno fino al successivo 13 agosto. Si pone in rilievo, in definitiva, l'esistenza di un nesso eziologico tra il su indicato disturbo mentale e la realizzazione dei fatti per cui è processo, mentre da nessuna fonte di prova è possibile ricavare, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d'appello, una volontà simulatoria del suicidio da parte del R., volta ad impedire il compimento di atti da parte dei pubblici ufficiali presso il cui Ufficio egli si era, peraltro, volontariamente recato. 2.2. In relazione al reato di lesioni aggravate, si ripropongono le medesime argomentazioni già svolte con riguardo alla prospettata carenza dell'elemento soggettivo del reato di resistenza, soggiungendosi, inoltre, che il venir meno della prima ipotesi delittuosa inevitabilmente provoca l'esclusione dell'aggravante del nesso teleologico all'imputato ascritta nel reato di cui al capo sub C . Anche in relazione a tale fattispecie di reato, dunque, si evidenzia che la relativa condotta è riconducibile ad una grave forma di patologia psichiatrica non curata, che rendeva l'imputato non in grado di valutare le proprie azioni con coscienza e volontà dei propri gesti e delle relative conseguenze. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate. 2. Emerge dalla motivazione della sentenza impugnata che l'imputato, dopo essersi presentato presso la Stazione dei Carabinieri di Borgo Panigale in evidente stato di ebbrezza, inveiva contro i pubblici ufficiali presenti e minacciava intenzioni suicide qualora non gli avessero riportato la figlia minore, compiendo altresì atti di autolesionismo ed opponendo violenta resistenza, con calci e pugni, nei confronti dei Carabinieri che cercavano, in quel frangente, di riportarlo alla calma. Emerge, peraltro, che nei confronti dell'imputato venne subito richiesta e disposta la misura del trattamento sanitario obbligatorio, con il suo ricovero presso il servizio psichiatrico ospedaliero di Bologna dovuto ad uno stato di agitazione psicomotoria in paziente con disturbo di personalità , e che, alcuni giorni dopo, egli venne trasferito in regime di ricovero volontario presso un'altra struttura ospedaliera, dalla quale fu dimesso in buone condizioni il successivo 13 agosto 2007, per essere poi preso in carico presso il SERT di Budrio. Nella diagnosi formulata all'atto della sua dimissione si faceva riferimento, inoltre, ad una reazione di adattamento con disturbo della condotta, ad abusi etilici e a dipendenza da cocaina, oltre che ad una personalità narcisistica, all'interno di un contesto relazionale e sociale connotato da problemi coniugali, economici e da lavoro. 3. Pur avendo posto in rilievo tali dati di fatto, l'impianto motivazionale della sentenza impugnata non consente tuttavia di rilevare un adeguato approfondimento dell'incidenza esercitata, sulle ragioni e sulle modalità di svolgimento dell'azione delittuosa, dalla tipologia e dall'intensità del disturbo di personalità che ha imposto l'adozione nei confronti dell'imputato di una misura come quella sopra indicata - peraltro seguita da un ulteriore ricovero ospedaliero - né chiarisce, con il supporto di congrue ed esaustive argomentazioni, quale sia la base probatoria posta a fondamento dell'affermazione secondo cui egli avrebbe posto in essere una sceneggiata , minacciando un tentativo di suicidio mediante impiccagione ed altri gesti autolesionistici all'interno della Caserma dei Carabinieri. A tale riguardo, invero, questa Suprema Corte Sez. Un., n. 9163 del 25/01/2005, dep. 08/03/2005, Rv. 230317 v., inoltre, Sez. 6, n. 43285 del 27/10/2009, dep. 12/11/2009, Rv. 245253 Sez. 1, n. 14808 del 04/04/2012, dep. 18/04/2012, Rv. 252289 ha da tempo stabilito il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità , che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità , purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità . Ne discende, ancora, che ai fini del riconoscimento della sussistenza del vizio totale o parziale di mente e ferma restando la necessità dell'accertamento del nesso eziologico fra il disturbo rilevato, che può essere anche temporaneo, e l'azione delittuosa , acquistano rilievo solo quelle turbe della personalità di tale consistenza e gravità da determinare in concreto una situazione psichica incolpevolmente incontrollabile da parte del soggetto che, di conseguenza, non può gestire le proprie azioni e non ne percepisce il disvalore Sez. 2, n. 2774 del 02/12/2008, dep. 21/01/2009, Rv. 242710 . 4. S'impone, conseguentemente, l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza, per un nuovo giudizio sui punti critici or ora evidenziati, che, nella piena libertà dei relativi apprezzamenti di merito, dovrà colmare le su indicate lacune motivazionali, uniformandosi ai principii di diritto in questa Sede stabiliti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.