Mancato sostentamento alla famiglia: padre è chi il bimbo fa

Il riscontro di responsabilità penale per l’omissione precedente all’accertamento di paternità risulta condizionato soltanto dalla necessità di verificare coscienza e volontà che di tale vincolo potesse avere il genitore inadempiente prima della sentenza di accertamento.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 51215, depositata il 10 dicembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Perugia condannava un imputato per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ai sensi dell’art. 570, commi 1 e 2, n. 2, c.p L’imputato ricorreva in Cassazione, contestando il riconoscimento della sua responsabilità anche per il periodo in cui non era ancora stata accertata la paternità naturale del minore, dovendo invece intendersi l’obbligo di mantenimento sorto solo all’atto del deposito della sentenza che ha dichiarato il vincolo di discendenza. Effetti ex tunc. La Corte di Cassazione ricorda però al ricorrente che le sentenze in materia di stato delle persone, ed in particolare quella di accertamento della paternità, per la loro natura dichiarativa hanno effetti ex tunc anche riguardo all’epoca di insorgenza dell’obbligazione. Perciò, il riscontro di responsabilità penale per l’omissione precedente all’accertamento di paternità risulta condizionato soltanto dalla necessità di verificare coscienza e volontà che di tale vincolo potesse avere il genitore inadempiente prima della sentenza di accertamento. Piena consapevolezza. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano rilevato la piena consapevolezza dell’imputato la madre gli aveva dato notizia della gravidanza fin dalla fase iniziale ed in seguito il ricorrente si era sottratto agli accertamenti sanitari idonei a fare chiarezza sulla paternità. Era, quindi, sussistente il dolo del reato, riconducibile alla consapevolezza della nascita di un proprio figlio, che aveva dovuto attendere la sentenza di accertamento per il riconoscimento formale. Perciò, i rilievi riguardanti la negazione della sussistenza di un’obbligazione legale, conseguente al mancato accertamento dello stato di padre naturale, erano da considerarsi irrilevanti. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 novembre – 10 dicembre 2014, n. 51215 Presidente Di Virginio – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Perugia, con sentenza del 25/01/2013, ha parzialmente riformato il provvedimento del 01/12/2008 con il quale il Tribunale di quella città -sezione distaccata di Foligno aveva condannato M.M. per il reato continuato di cui agli artt. 570 commi 1 e 2 n. 2 cod.pen., e ravvisata l'unicità del fatto compiuto fino al 18 dicembre 2006, ha ridotto la pena inflitta a mesi quattro di reclusione € 400 di multa, confermando nel resto la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore della parte civile. 2. La difesa di M., con un primo motivo di ricorso deduce violazione di legge, oltre che mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, nella parte in cui ha riconosciuto la responsabilità dell'imputato anche per il periodo in cui non era ancora stata accertata la paternità naturale del minore, dovendo intendersi l'obbligo di mantenimento sorto solo all'atto del deposito della sentenza che ha dichiarato il vincolo di discendenza. In proposito si richiama la diversità esistente tra obbligazione civile ed accertamento della responsabilità penale, e si desume che l'obbligo derivante dal rapporto di discendenza cui fa riferimento la norma incriminatrice si collega ad una situazione di legge, non di fatto, come dimostrato dalla circostanza che il disconoscimento di paternità, anche se passato in giudicato, opera ex novo, circostanza che dimostra che la norma penale non attribuisce rilevanza alla realtà biologica, ma agli effetti della filiazione legittima. Si rileva sotto il medesimo profilo che, per la condotta anteriore all'accertamento di paternità, manca l'elemento soggettivo del reato e la consapevolezza dell'interessato della sussistenza dell'obbligo. Sulla base di tale deduzione si chiede l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza per la determinazione della pena per il differente periodo di operatività della disposizione, riconducibile all'ottobre 2000. 3. Con il secondo motivo si deducono i medesimi vizi della sentenza, nella parte in cui ha escluso l'incapacità economica dell'imputato e la rilevanza del quadro di salute dell'interessato, evoluto nel 2008 con il riconoscimento di una invalidità totale, con permanente inabilità al lavoro al 100%, e nella conseguente riduzione degli redditi, determinabili nel periodo successivo alla sentenza in circa € 150 mensili, derivati dagli utili sull'impresa familiare gestita dal padre. Si contesta la logicità della motivazione che ha dato rilievo alla mancata dimostrazione dei redditi dell'impresa familiare, e non ha considerato che, ai sensi dell'art. 230 cod. civ., i suoi componenti sono in grado di ricavare esclusivamente quanto spettante sulla base della percentuale di collaborazione prestata, circostanza che rende irrilevante verificare la capacità reddituale dell'impresa, mentre non risulta che l'interessato abbia condotto una vita agiata e la circostanza che l'interessato fosse mantenuto dei genitori, pur considerata dalla Corte, costituisce un'ulteriore prova della sua incapacità economica. Da ultimo la Corte assume la persistenza dell'obbligo, anche in presenza di redditi minimi, in contraddizione con quanto affermato in precedenza sull'oggettiva insufficienza di quanto percepito per le esigenze personali dell'interessato. 4. Si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla non rilevata mancanza di elementi probatori sull'incapacità economica dell'imputato, elemento valutato sulla base di semplici presunzioni, non assistite dal carattere della gravità precisione e concordanza. 5. Da ultimo si deducono vizi di motivazione con riferimento alla valutazione della testimonianza del sanitario escusso, il cui sviluppo non aveva sollecitato eccezioni a cura delle parti presenti o del giudice che aveva raccolto la prova, ed invece ha irrazionalmente condotto il giudice d'appello a motivare l'inattendibilità della deposizione sulla base di una determinazione della natura suggestiva delle domande, non rilevata dinanzi al giudice di primo grado, che ha condotto ad una valutazione erronea della prova. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. L'eccezione svolta dall'interessato, riguardante il momento in cui è sorto dell'obbligo giuridico di contribuzione in favore del figlio naturale è stata correttamente risolta dal primo giudice nel senso di ritenere sussistente tale obbligo, e la correlata violazione penale, fin dalla nascita dei minore, in luogo che dalla data della pronuncia che ha accertato la paternità. Non vi è dubbio che le sentenze in materia di stato delle persone, ed in particolare quella di accertamento della paternità, per la loro natura dichiarativa abbiano effetti ex tunc anche con riguardo all'epoca di insorgenza dell'obbligazione, tanto che, in sede civile, la Corte di legittimità ha ritenuto il genitore che ha riconosciuto il minore titolare del diritto di regresso sull'altro per il recupero delle somme spese per il mantenimento del minore fin dalla sua nascita Sez. 1, Sentenza n. 5652 del 10/04/2012, Rv. 622137 . Le difformi pronunce della Corte di legittimità poste a sostegno del ricorsoli attengono a fattispecie diverse, nelle quali era mancante la prova della paternità, che risultava desunta esclusivamente dalla testimonianza della madre, circostanza che aveva imposto il richiamo al necessario effetto accertativo della pronuncia civile per riconoscere l'esistenza dell'obbligazione, fattispecie per quanto esposto difforme da quella in esame. L'accertamento di responsabilità penale per l'omissione precedente all'accertamento di paternità risulta quindi condizionata solo dalla necessità di accertare coscienza e volontà che di tale vincolo potesse avere il genitore inadempiente prima della sentenza di accertamento, e sul punto il giudice di merito ha operato una concreta e coerente valutazione, ove ha ricondotto alla piena consapevolezza dell'interessato della paternità, sulla base sia della specifica e tempestiva informazione resagli dalla madre al riguardo fin dalla fase iniziale della gestazione, che della sua condotta, poiché a seguito di tale informazione egli sistematicamente si sottrasse agli accertamenti sanitari idonei a fare chiarezza sulla paternità, con ciò rivelando la sostanziale assenza di elementi di contestazione al riguardo. In tal senso quindi risulta correttamente argomentato l'accertamento del dolo del reato, riconducibile alla consapevolezza della nascita di un proprio figlio, che ha dovuto attendere la sentenza di accertamento per il suo riconoscimento formale. Sotto tale profilo quindi i rilievi formulati in ricorso non colgono nel segno ove negano la sussistenza di un'obbligazione legale, conseguente al mancato accertamento dello stato di padre naturale, omettendo la considerazione, già valutata dal giudice di merito, della piena consapevolezza di tale paternità da parte dell'interessato, desunta dalle condizioni di fatto richiamate. 3. Insussistenti sono i rilievi riguardanti la pretesa mancanza di capacità ad adempiere, quanto al primo periodo, per la mancata allegazione di una situazione patologica idonea ad escludere la capacità dell'interessato di produrre reddito, attesa l'insorgenza di una patologia invalidante al 100% solo nel corso dei 2008 -in epoca successiva alla contestazione formulata nel presente giudizio, limitata al dicembre 2006 ed il totale inadempimento realizzato in epoca pregressa, che impone di escludere l'individuazione della possibile causa di tale condotta in una effettiva incapacità di adempiere. Quanto al secondo nella sentenza impugnata sono coerentemente illustrate le ragioni di fatto sulla base delle quali, pur preso atto della riduzione della percezione di redditi di lavoro, non sia risultata provata la sua assoluta impossibilità di adempiere, in relazione alla mancata dimostrazione dell'assenza di redditi diversi, la cui esistenza appare prevedibile attesa la mancata allegazione di una condizione di assoluta indigenza dell'interessato, che risulta aver vissuto, per tutto il periodo di riferimento, nella casa dei genitori ed aver pertanto fatto fronte agevolmente alle sue esigenze di vita. Tale allegazione risulta necessaria, sulla base della constante giurisprudenza della Corte di legittimità, che non ritiene liberatoria per l'interessato neppure la deduzione di uno stato di disoccupazione da ultimo Sez. 6, Sentenza n. 7372 del 29/01/2013 Rv. 254515 stante la chiara possibilità di superare lo stato di inadempimento, che si correla a tale condizione, con la presenza di redditi diversi, idonei a riconoscere quanto meno il versamento dei mezzi di sussistenza ai suoi familiari. Né l'allegata condizione reddituale risulta aver mai suggerito all'interessato un accertamento giudiziale al fine di escludere l'obbligo contributivo, mentre proprio le allegazioni formulate all'odierna udienza in ordine all'adempimento successivo dell'obbligo di contribuzione, che ha condotto alla rinuncia alla costituzione di parte civile, dimostrano la mancanza di tale assoluta impossibilità di adempiere connessa alla situazione richiamata,che sola potrebbe escludere la sussistenza dell'obbligo contributivo. 4. Deve escludersi il sopraggiungere di una causa estintiva dei reato, dovendo aggiungersi al periodo di estinzione, la sospensione pari a cinque mesi ed un giorno conseguente al rinvio disposto nel giudizio di merito a seguito della dichiarazione di adesione del difensore all'astensione collettiva dalle udienze, che consente di collocare il termine di estinzione al 19/11/2014, successivo alla presente pronuncia. Il rigetto del ricorso impone, ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.