Sarà anche una testa di legno… ma senza il dolo non c’è bancarotta!

La pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. Al contrario, in tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratore di fatto solo se sia raggiunta la prova che egli aveva la almeno generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distraeva, occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali o esponeva o riconosceva passività inesistenti.

Con la pronuncia n. 50976, depositata il 4 dicembre 2014, la Cassazione ha, altresì, affermato il seguente ulteriore principio di diritto, in tema di bancarotta documentale Se in materia di bancarotta fraudolenta documentale non è necessario il dolo specifico di danno per i creditori, essendo prevista una ipotesi alternativa che richiede esclusivamente il dolo generico e cioè la consapevolezza di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, ovvero di renderla particolarmente difficoltosa , non vale ad integrare tale elemento soggettivo la semplice consapevole omissione dell’amministratore di diritto . Posizioni di garanzia e responsabilità colpevole. Troppo di sovente, nella giurisprudenza di merito, la consapevole assunzione di una formale posizione di garanzia da parte della testa di legno si traduce, con un semplice sillogismo, nella affermazione della penale responsabilità di costui per i reati commessi dall’amministratore di fatto. La figura del dolo eventuale costituisce, infatti, altrettanto di frequente, un simulacro di responsabilità attraverso il quale mere condotte di omesso controllo, correlate alla assunzione formale della posizione di garanzia, vengono, invero per via non meno formalistica, sanzionate penalmente, a titolo di concorso, come condotte commissive di bancarotta. Il sillogismo che la consapevole assunzione della posizione di garanzia, unita all’omesso controllo, implica l’accettazione del rischio del verificarsi di condotte criminose da parte dell’amministratore di fatto costituisce il leitmotiv di troppe sentenze di condanna, che non si curano di accertare l’effettiva consapevolezza in capo all’amministratore apparente delle condotte concretamente poste in essere dall’amministratore di fatto. Attraverso tale via, il principio costituzionale di una responsabilità personale e colpevole ha subito progressive quanto pericolose erosioni. Di fronte a tale deriva la sentenza che si annota riafferma importanti punti fermi, richiamando i giudici di merito alla necessità, per contro, di un puntuale approfondimento del coinvolgimento psicologico dell’imputato, e, conseguentemente, al dovere di corredare la decisione di un adeguato e congruo apparato motivazionale. Una condanna non motivata. Nelle quattro parole dell’epigrafe di questo paragrafo può riassumersi il giudizio della Corte di Cassazione, che si abbatte come una implacabile mannaia sulla pronuncia della Corte d’appello di Firenze. Il Tribunale, in prima battuta, e la Corte d’appello, in secondo grado, avevano infatti, senza indugi, condannato per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale l’amministratore di diritto della società fallita, sulla base del rilievo che non di mera testa di legno trattavasi, ma di soggetto presente in azienda, consapevole e cosciente della condotta gestoria posta in essere dall’amministratore di fatto. Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione l’imputato dolendosi del fatto che, in punto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, nessuna indagine concreta sull’elemento soggettivo era stata compiuta dai giudici di merito che si erano limitati a rilevare come l’omesso controllo implicasse, quanto meno, esplicita accettazione del rischio. Egualmente, in punto di bancarotta fraudolenta documentale, lamenta il ricorrente come la mera omessa vigilanza sulla tenuta della contabilità possa integrare ipotesi di colpa e dunque bancarotta semplice e non fraudolenta. Le censure del ricorrente fanno facile breccia nelle mura della motivazione della Corte d’appello che la Cassazione non esita a demolire. Dolo eventuale sì, dolo ipotetico no. In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale è certamente vero, ricordano gli Ermellini, che è sufficiente il dolo eventuale, ma ciò non deve tradursi in un dolo ipotetico e cioè, sostanzialmente, presunto in ragione della posizione di garanzia rivestita dall’imputato e dalla sua condotta omissiva. Occorre infatti sempre la prova, chiarisce la Cassazione, di una almeno generica consapevolezza da parte dell’amministratore apparente che l’amministratore effettivo distraeva, occultava, distruggeva, dissipava, etc. etc., i beni sociali. Prova sulla quale la motivazione della Corte d’appello difettava totalmente, con conseguente annullamento con rinvio, da parte della Cassazione. Non è legittimo – prosegue la Corte – affermare che l’amministratore di diritto debba rispondere della dispersione dei beni aziendali per il mero fatto di avere, nonostante la propria posizione di garanzia, tollerato o consentito che detti beni fossero nella disponibilità dell’amministratore di fatto. La consapevolezza che dei beni disponesse l’amministratore di fatto è ben lungi, infatti, dall’identificarsi con la conoscenza che detti beni vengano destinati a scopi estranei rispetto a quelli sociali. Omessa tenuta non implica fraudolenza. In punto di bancarotta fraudolenta documentale, il giudizio della Cassazione sulla motivazione della Corte di Appello non è certo più benevolo. Detta fattispecie delittuosa, ricordano gli Ermellini, non è integrata dalla semplice mancata tenuta delle scritture contabili, che di per sé non implica il dolo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, essendo necessario un particolare atteggiarsi dell’elemento soggettivo, che superi il semplice disinteresse per l’adempimento degli obblighi sociali facenti capo all’imprenditore formale. Per contro, la semplice omessa tenuta delle scritture contabili, realizzata con coscienza e volontà ovvero con mera negligenza, come noto, integra il meno grave delitto di bancarotta documentale, con la conseguenza che il predetto accertamento appare assolutamente indispensabile al fine di chiarire se il caso di specie sia riconducibile alla fattispecie astratta della bancarotta documentale fraudolenta ovvero semplice. La motivazione della Corte di Appello sul punto viene ritenuta debole e non appagante in quanto non ancorata a precisi dati fattuali dai quali possano inferirsi i suddetti elementi, con conseguente annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello onde rivalutare se sussista bancarotta documentale semplice o fraudolenta.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 ottobre – 4 dicembre 2014, n. 50976 Presidente Vessichelli – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. L.V.E. è imputato di vari reati fallimentari, tra cui bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della M3 Metal Mobil Market, dichiarato l'11 ottobre 2006 con sentenza del tribunale di Firenze. 2. II giudice di primo grado ha ritenuto provata la responsabilità penale del L.V. e per l'effetto lo ha condannato alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione. La Corte d'appello di Firenze ha confermato integralmente la sentenza di primo grado, sulla considerazione che il L.V. non era una mera testa di legno, ma aveva effettivamente svolto le mansioni di amministratore e comunque era presente in azienda, consapevole e consenziente in relazione agli atti sociali compiuti dall'amministratore di fatto Prosperoso Giuseppe. 3. Contro la predetta sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato per i seguenti motivi a. con un primo motivo di ricorso deduce violazione od erronea applicazione degli articoli 216 e 223 della legge fallimentare, nonché motivazione illogica e contraddittoria secondo la difesa, la motivazione sarebbe inidonea laddove afferma la responsabilità del L.V. esclusivamente sulla base della sua posizione di garanzia, quale amministratore formale della società, senza una concreta indagine sull'elemento soggettivo ed in particolare sulla consapevolezza, da parte sua, delle azioni delittuose poste in essere dall'amministratore effettivo,' b. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'elemento psicologico della ritenuta bancarotta fraudolenta documentale mancata derubricazione del reato in bancarotta semplice. Secondo la difesa, i giudici di merito hanno fatto discendere l'affermazione di penale responsabilità esclusivamente dalla mancanza della contabilità e dalla ritenuta sufficienza del dolo generico, che al più configuravano un'ipotesi di omessa vigilanza, con la necessità di derubricare il fatto a bancarotta semplice colposa. Osserva, poi, il ricorrente che, nonostante la totale mancanza della contabilitàper il periodo in questione, il movimento degli affari è stato ricostruito con il rinvenimento delle fatture, mentre gli ammanchi perpetrati dal Prosperoso risultano in fatto per il mancato reperimento dei beni. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo di ricorso la difesa ha sostenuto che la penale responsabilità dell'amministratore di diritto nei fatti distrattivi commessi dall'amministratore di fatto sia stata affermata solo sul fondamento di una posizione di garanzia del L.V., mancando ogni analisi sulla sua effettiva e concreta corresponsabilità il punto che doveva essere oggetto di compiuta dimostrazione atteneva a coscienza e volontà dei L.V. di partecipare all'attività distrattiva, pacificamente posta in essere dal Prosperoso. Di fronte a questa doglianza, il giudice di primo grado ha ritenuto che il L.V. dovesse rispondere della dispersione dei beni aziendali in forza della sua posizione di garanzia, che lo obbligava ad impedire che i beni sociali passassero nella disponibilità dell'amministratore di fatto. La Corte territoriale, chiamata a rivedere una motivazione carente ed erronea, giacchè la sola omissione di controllo non integra il reato di bancarotta, ha semplicemente rilevato che il Prosperoso era stato lasciato libero di disporre dei beni sociali a suo totale piacimento e che ciò comportava quantomeno l'accettazione del rischio che l'amministratore di fatto li distraesse, come in effetti avvenuto. Anche la motivazione della Corte territoriale, peraltro, non è sufficiente, atteso che la condotta del L.V. viene sempre sanzionata per il mancato controllo dell'amministratore di fatto, quando, invece, la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di fatto Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010, Succi e altri, Rv. 247251 . Al contrario, in tema di bancarotta fraudolenta l'amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall'amministratore di fatto solo se sia raggiunta la prova che egli aveva la almeno generica consapevolezza che l'amministratore effettivo distraeva, occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività inesistenti Sez. 5, n. 11938 del 09/02/2010, Mortillaro, Rv. 246897 . La Corte territoriale, dunque, dovrà prima di tutto valutare nuovamente la sussistenza del reato contestato e, in caso positivo, argomentare adeguatamente sulla sussistenza del dolo anche solo eventuale, ma non meramente ipotetico . 2. Con il secondo motivo di ricorso si solleva nuovamente la questione dell'elemento soggettivo, con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale, sostenendo che l'omessa tenuta della contabilità integra gli estremi del predetto reato solo qualora si accerti che scopo della omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori, mentre nel caso di specie il L.V. aveva semplicemente violato gli obblighi di garanzia e controllo che fanno capo all'amministratore formale. Ebbene, se in materia di bancarotta fraudolenta documentale non è necessario il dolo specifico di danno per i creditori, essendo prevista un'ipotesi alternativa che richiede esclusivamente il dolo generico e cioè la consapevolezza di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o dei movimento degli affari, ovvero di renderla particolarmente difficoltosa , non vale ad integrare tale elemento soggettivo la semplice consapevole omissione dell'amministratore di diritto il giudice di primo grado, per quanto riportato nella sentenza di appello, aveva ritenuto che il L.V. fosse responsabile del reato perché, pur essendovi obbligato nella sua qualità di amministratore, non aveva tenuto le scritture contabili. Anche in tal caso la Corte, chiamata a rivalutare il dato soggettivo, non ha fornito adeguata motivazione sul dolo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, né ha proceduto alla derubricazione del reato in quello di bancarotta documentale semplice. 3. Si deve tener conto, a tal proposito, che la semplice mancata tenuta delle scritture contabili non integra di per sé il dolo del reato di bancarotta fraudolenta, essendo necessario un particolare atteggiarsi dell'elemento soggettivo, che superi il semplice disinteresse per l'adempimento degli obblighi sociali facenti capo all'imprenditore formale. Ai fini dell'integrazione della bancarotta semplice, infatti, l'elemento soggettivo può indifferentemente essere costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall'art. 216, comma primo, n. 2, I. fall., l'elemento psicologico deve essere individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore Sez. 5, n. 48523 del 06/10/2011, Barbieri, Rv. 251709 . Su questo presupposto di fatto la motivazione appare debole e non appagante, né ancorata a precisi dati fattuali la responsabilità per il reato più grave, allora, sembra fondarsi su un mero sillogismo, senza approfondimento dei coinvolgimento soggettivo dell'imputato. Anche su questo aspetto, dunque, la Corte territoriale è chiamata a rivalutare se sussista bancarotta semplice o documentale, fornendo della propria decisione adeguata motivazione. 4. Per quanto riguarda l'ipotesi di bancarotta semplice di cui al capo a2, il reato è ormai estinto per prescrizione ne consegue, sul punto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. A seguito della declaratoria di estinzione, il Giudice di rinvio dovrà rideterminare la pena, espungendo dal calcolo quella relativa al reato prescritto. 5. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente al reato di bancarotta semplice capo a2 per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione e con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze per nuovo esame relativamente agli altri capi ed al trattamento sanzionatorio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di bancarotta semplice capo a2 per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione e con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze per nuovo esame relativamente agli altri capi ed al trattamento sanzionatorio.