Sequestro per equivalente finalizzato alla confisca in materia tributaria, si può

Si può procedere a sequestro per equivalente nei confronti del legale rappresentante dei beni della persona giuridica che sia uno schermo fittizio per violazioni tributarie, non essendo previsto che si proceda preventivamente ad un sequestro diretto” dei beni della persona giuridica stessa, laddove vi sia l’impossibilità anche solo transitoria del sequestro del profitto del reato.

Confisca per equivalente. Come è noto, l’ambito di applicazione della confisca per equivalente è stato esteso ai reati tributari dall’art. 1, comma 143, L. n. 244/2007, secondo cui nei casi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di Iva, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all'art. 322-ter c.p . . La norma, dispone che è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo dei reati previsti dagli artt. 314-320 c.p., salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. In definitiva, la confisca per equivalente può riguardare a differenza dell'ordinaria confisca prevista dall'art. 240 c.p., che concerne cose direttamente riferibili al fatto illecito beni che non hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato difatti, tale provvedimento non ricade direttamente sui beni costituenti il profitto del reato, ma ha per oggetto il controvalore di essi. Come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità qualora il profitto ricavato dalla consumazione di reati tributari per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, non è necessaria una previa verifica che le somme provengano proprio dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato per l'adozione del sequestro preventivo, e ciò stante che l’ammontare oggetto di ablazione deve solo equivalere all'importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato. Il caso. Il Tribunale del riesame di Messina, rigettando l’istanza presentata dalla legale rappresentante di una società, confermava il provvedimento di sequestro per equivalente, fino alla concorrenza della somma di quasi centomila euro, in quanto gravemente indiziata di avere consumato i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di falsa indicazione nella dichiarazione dei redditi di falsi elementi passivi al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte. In particolare, il Tribunale evidenziava, da un lato, la sussistenza del fumus dei reati contestati che di contro, parte ricorrente riteneva mancante , e dell’altro, la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità dei reati su cui si fondava tale provvedimento cautelare. Ricorreva, inoltre, deducendo l’errata applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti delle persone fisiche coinvolte, in quanto si sarebbe prima dovuto procedere a una preventiva verifica della possibilità del sequestro diretto” nei confronti della società. La Corte ha rigettato entrambi i motivi di ricorso. Più nello specifico, ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale di merito che non è incorso in alcuna violazione di legge. Fumus ed elemento soggettivo. Ed infatti, ha ritenuto sussistente il fumus dei reati tributari contestati e indubbia la circostanza che l’indagata, in effetti prestanome del terzo, amministratore di fatto, fosse a conoscenza e attiva collaboratrice nell’attività di evasione fiscale. La società, invero, veniva utilizzata per fare figurare come spese della società esborsi che di fatto erano connessi a esigenze personali e familiari dell’amministratore. Ha ricordato la Corte che tra i presupposti di ammissibilità del sequestro preventivo o probatorio che sia , non è da includere la fondatezza dell’accusa e tantomeno la colpevolezza dell’imputato/indagato, bensì l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, salvo il caso che la sua infondatezza risulti del tutto manifesta si ritiene quindi che l’indagine sulla gravità indiziaria sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello oggettivo debba essere circoscritta alle misure cautelari personali in considerazione dei diritti coinvolti, mentre il giudice del riesame o dell’appello della misura cautelare reale non può e non deve orientare le proprie valutazioni su elementi che concernono il merito delle imputazioni contestate ”. Confisca del profitto e confisca per equivalente. La Corte, infine, rileva che, trattandosi di materia cautelare reale, non è possibile pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto del reato, risultando assolutamente ammissibile la transitorietà della impossibilità del sequestro del profitto, giacché, durante il tempo necessario per l’espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, così venendo vanificata ogni esigenza di tutela. D’altra parte, afferma, se si tratta di persona giuridica che costituisce uno schermo fittizio di violazioni tributarie, è ammesso il sequestro per equivalente e la giurisprudenza non richiede che sia data priorità al sequestro dei beni della persona giuridica.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 18 novembre – 3 dicembre 2014, n. 50681 Presidente Gentile – Relatore Alma Ritenuto in fatto Con ordinanza del 3/4/2014, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di Messina ha rigettato l'istanza di riesame presentata nell'interesse di C.C. e, per l'effetto, ha confermato il decreto di sequestro per equivalente fino a concorrenza della somma di Euro 95.430,00, emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale della stessa città in data 17/3/2014 in relazione ai reati di cui ai capi 23, 24, 25, 26, 27 riguardanti il reato di cui all'art. 8 d.lgs 74/2000 e 34 riguardante il reato di cui all'art. 2 d.lgs 74/2000 . In particolare la C. , nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società Caleservice S.r.l., è ritenuta gravemente indiziata di aver consumato i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di falsa indicazione nella dichiarazione dei redditi di falsi elementi passivi al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte. Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell'indagata, deducendo 1. Violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen. per errata contestazione dell'art. 8 d.lgs 74/2000 e mancanza di fumus in relazione ai capi contestati. Rileva parte ricorrente che l'ordinanza impugnata appare contraddittoria nella misura in cui in parte narrativa descrive l'estraneità dell'indagata alle condotte contestate per poi ritenerla meritevole di un sequestro preventivo per equivalente. Infatti, da tutto l'iter argomentativo dell'ordinanza impugnata emerge che il di lei cognato G. era socio al 99,97% di detta società oltre che amministratore di fatto della stessa. Il fatto che il G. fosse l'amministratore di fatto della predetta società - afferma parte ricorrente - risulta avvalorato da conversazioni intercettate nr. 639 del 14/5/2013 e nr. 1786 del 21/5/2013 delle quali alcuni passi vengono riportati nel ricorso nelle quali si evince che la C. era chiamata a dare esecuzione a disposizioni impartite dal G. delle quali la stessa era ignara, non conoscendo le operazioni poste in essere, né i propri interlocutori e/o partner aziendali, né tantomeno le sedi delle banche con cui operava la società. Vi sarebbero, poi, ulteriori circostanze a comprova di quanto affermato quali il fatto che la C. operava di fatto come segretaria dell'on.le G. utilizzando l'indirizzo di posta elettronica OMISSIS . Dopo avere evidenziato tali aspetti, rileva la difesa della ricorrente che il reato di cui all'art. 8 del d.lgs 74/2000 richiede per la sua configurabilità il dolo specifico, consistente nella volontà e rappresentazione che l'emissione del documento sia finalizzata ad agevolare una potenziale evasione fiscale di un soggetto terzo che, di converso, dovrà rispondere separatamente per violazione dell'art. 2 del medesimo decreto legislativo. Ne consegue che è d'uopo chiedersi se di tale reato debba rispondere l'amministratore di fatto o quello di diritto della società interessata. La difesa di parte ricorrente, propendendo per la prima soluzione, cita alcuni arresti giurisprudenziali di questa Corte Suprema secondo i quali è l'amministratore di fatto che può essere ritenuto responsabile della violazione fiscale a condizione che risulti pacifica l'estraneità dalla gestione del rappresentante legale della società. A ciò si aggiunge, prosegue la difesa, che in tema di concorso nel reato tra amministratore di diritto e di fatto, occorre una condivisione del medesimo dolo, circostanza che presuppone una completa coscienza e conoscenza delle finalità a cui tende l'azione. Né, per contro sarebbe possibile un concorso omissivo nel reato tributario. In ogni caso, osserva ancora parte ricorrente, anche qualora si volessero condividere le argomentazioni esposte dal Tribunale del riesame nel provvedimento impugnato, sarebbe comunque illegittimo il provvedimento cautelare emesso nei confronti della C. in quanto la pacifica qualifica di amministratore di fatto del G. , quale gestore di una società cartiera non può che sollevare la C. da ogni addebito di responsabilità penale. A ciò si aggiunga che l'ordinanza impugnata presenta passi motivazionali in aperto contrasto tra loro allorquando da un lato si afferma che la C. era una mera prestanome del G. e dall'altro si afferma che la stessa era a conoscenza ed ha collaborato attivamente nell'attività di evasione fiscale o, ancora, laddove si afferma che la C. è stata amministratrice della Caleservice per un decennio allorquando le contestazioni mosse all'indagata riguardano solo le annualità 2007, 2008 e 2009. 2. Violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen. per errata applicazione della legge penale in relazione al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Rileva il ricorrente che il provvedimento cautelare applicato nei confronti della C. appare illegittimo in quanto privo di un qualsivoglia appiglio giuridico che giustifichi il provvedimento stesso e ne autorizzi l'emissione, ciò in quanto nello stesso sarebbe stata operata un'indebita commistione tra il reato di cui all'art. 314 cod. pen. sul quale sarebbe stato fondato il provvedimento cautelare e quelli fiscali mentre il calcolo sull'ammontare equivalente sarebbe stato effettuato sui capi afferenti la violazione di norme tributarie. La miscelazione tra le diverse condotte pone - a detta di parte ricorrente - seri profili di legittimità dell'atto impugnato non tenendo in considerazione l'intreccio di norme da applicare in materia di reati tributari, confisca per equivalente e responsabilità amministrativa degli enti. In sostanza, come evidenziato anche dal Giudice per le indagini preliminari, non potendosi provvedere al sequestro dei beni facenti capo alla Caleservice S.r.l. non rientrando i reati in contestazione nelle ipotesi di cui all'art. 19 del d.lgs. 231/01, la mano cautelare del Tribunale sarebbe caduta indiscriminatamente sulle persone fisiche coinvolte nella vicenda. Tale impostazione non è tuttavia condivisibile essendo la questione superata dai principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sent. 30/1/2014, n. 10561 che ha ipotizzato la possibilità di operare il sequestro preventivo nell'ipotesi della confisca diretta, ossia avente ad oggetto il profitto del reato, con la conseguenza del fatto che la possibilità/impossibilità della disponibilità in capo al patrimonio della società costituisce il discrimen per l'applicazione della misura cautelare. Poiché tale accertamento non è stato fatto, essendosi indirizzata direttamente la misura cautelare reale nei confronti della persona fisica, ciò comporterebbe un vizio del provvedimento impugnato. Sarebbe quindi censurabile la parte dell'ordinanza impugnata nella quale si è affermato che non sussiste un obbligo di sequestro delle somme in capo alla persona giuridica prima di operare sulle somme dell'amministratore. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Premesso che in tema di misure cautelari reali è ammissibile il ricorso per cassazione solo per violazione di legge e non pure per vizio di motivazione, l'ordinanza impugnata rispetta i presupposti di cui all'art. 321 cod. proc. pen., trattandosi di sequestro per equivalente del profitto derivante dalle varie ipotesi di evasione fiscale contestate all'indagata e delle quali il Tribunale di Messina ha vagliato l'astratta configurabilità, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, sulla base degli elementi di fatto esposti nell'ordinanza impugnata. Come sopra evidenziato il primo motivo di ricorso ruota sostanzialmente sull'asserita indimostrata consapevolezza della C. in quelle che erano le attività o forse sarebbe meglio dire le non attività della Caleservice S.r.l. nella quale rivestiva la carica di amministratore di diritto asseritamente come mera testa di paglia dell'amministratore di fatto on.le G. . La questione risulta essere già stata posta dalla ricorrente in sede di riesame ed il Tribunale di Messina risulta averla esaminata ed avervi dato una risposta adeguata. Il Tribunale ha infatti evidenziato tra l'altro tenendo in doverosa considerazione anche le stesse conversazioni intercettate richiamate dalla difesa nel motivo di ricorso che in questo momento ci occupa come da un lato esiste il fumus dei reati tributari contestati in verità non messo in discussione neppure nel ricorso e come, dall'altro, pur essendo indubbio che la C. era una prestanome del G. amministratore di fatto della Caleservice appare altrettanto indubbio che la stessa fosse a conoscenza ed abbia collaborato attivamente nell'attività di evasione fiscale. Contrariamente a quanto asserisce la difesa della ricorrente, la considerazione appena riportata è tutt'altro che contraddittoria in quanto il Tribunale del riesame ha, poi, spiegato le ragioni in forza delle quali, sulla base di una valutazione di puro merito come tale insindacabile in questa sede , ha ritenuto la sussistenza anche dell'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità dei reati sui quali si è fondato il provvedimento cautelare reale è appena il caso di ricordare che la C. - come ha segnalato il Tribunale - è stata raggiunta anche da provvedimento cautelare personale ragionevolmente in relazione alle più complesse vicende che emergono dagli atti . Nell'ordinanza impugnata è stato, infatti evidenziato pag. 3 che la Celeservice società avente come oggetto sociale l'attività di consulenza e di pianificazione aziendale, la fornitura di software e la compravendita immobiliare è stata nel tempo utilizzata per far figurare come spese della società esborsi che di fatto erano connessi alle esigenze personali e familiari del G. in modo tale da poterle detrarre, come elementi negativi, ai fini delle imposte Irpef ed IVA peraltro le componenti positive di reddito della società provenivano dallo stesso G. , socio di maggioranza che al contempo era il principale - o pressoché unico - cliente della società che avrebbe erogato in suo favore prestazioni di contabilità, attività connesse agli adempimenti fiscali e disbrigo pratiche, consulenze, affitto di appartamenti e servizi di pulizia, con la conseguenza che tali fatture venivano utilizzate in ciascuna annualità fiscale per abbattere il reddito imponibile. Inoltre la società non aveva né il personale, né le attrezzature per erogare le prestazioni dichiarate a favore di G. e tale organizzazione non risulta neanche dai riscontri contabili perché l'erogazione dei servizi fatturati avrebbe certamente comportato dei costi che non risultano sostenuti. A fronte di un simile quadro - come detto neppure contestato dalla difesa della ricorrente - il Tribunale ha sostanzialmente rilevato che la C. ancorché prestanome del G. non poteva non essere a conoscenza delle attività delittuose poste in essere ed alle quali si era prestata, il tutto ulteriormente confortato dal fatto che la stessa ha ricoperto per un decennio l'attività di amministratrice della Caleservice francamente irrilevante e tutt'altro che contraddittorio è il fatto evidenziato dalla difesa che le evasioni fiscali in contestazioni riguardano solo un triennio - ndr. nonché dai legami della C. con il G. che, anche nei periodi in cui l'odierna ricorrente non ha rivestito l'incarico di amministratore della società, aveva affidato detto incarico amministrativo a propri familiari. Ha aggiunto ancora il Tribunale pag. 5 dell'ordinanza che la C. nel periodo nel quale non rivestiva alcuna carica societaria era talmente addentro alle dinamiche che ispiravano le fittizie prestazioni erogate a G. da inviare un messaggio di posta elettronica dall'indirizzo E-mail indicato dallo stesso ricorrente - ndr. alla dipendente di una banca concordando un appuntamento e fornendo disposizioni sui giroconti dalla Ge.pa. S.r.l. a G. , da G. alla Caleservice e dalla Caleservice alla Ge.fin. Ora, a fronte di tali considerazioni ed anche senza scendere a valutazioni di merito che non competono a questa Corte Suprema, sostenere che il Tribunale del riesame sarebbe incorso in errore di diritto nel momento in cui ha considerato la sussistenza in capo alla ricorrente dell'elemento soggettivo dei reati in contestazione in presenza di un amministratore di diritto da lunga data di una società palesemente cartiera , priva di struttura operativa, da sempre amministrata in modo familiare , che fattura prevalentemente, se non esclusivamente, al socio di assoluta maggioranza che è anche amministratore di fatto della società stessa appare a dir poco azzardato. Gli elementi sopra evidenziati e gli aspetti motivazionali del provvedimento impugnato, devono, poi, essere rapportati alla fase procedimentale nella quale ci si trova che è una fase cautelare di natura reale e non quella di un completo giudizio di merito sulla responsabilità penale del soggetto interessato. Infatti la giurisprudenza anche costituzionale Corte cost. sent. n. 48 del 1994 Corte cost. n. 444 del 1999 è costante nel ritenere che tra i presupposti di ammissibilità del sequestro, sia esso preventivo o probatorio, non è da includere la fondatezza dell'accusa Cass. Sez. U n. 7 del 23/2/2000, Rv. 215840 Sez. 2 n. 12906 del 14/2/2007, Rv. 236386 e tantomeno la colpevolezza dell'imputato/indagato Sez. 3 n. 11290 del 13/2/2002, Rv. 221268 , bensì l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato, salvo il caso che la sua infondatezza risulti del tutto manifesta Sez. 1 n. 1810 del 4/3/1997, Rv. 207194 si ritiene, quindi, che l'indagine sulla gravità indiziaria sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo debba essere circoscritta alle misure cautelari personali in considerazione della natura dei diritti coinvolti, mentre il giudice del riesame o dell'appello della misura cautelare reale non può e non deve orientare le proprie valutazioni su elementi che concernono il merito delle imputazioni contestate, trattandosi di elementi caratterizzati dalla non ancora raggiunta completezza per essere atti d'indagine, valutabili in termini complessivi all'esito della conclusione dell'attività investigativa. In sostanza, i principi evidenziati dalla difesa della ricorrente attraverso la citazione di arresti giurisprudenziali di questa Corte Suprema in materia di elemento soggettivo dei reati fiscali con riguardo ai rapporti tra amministratore di fatto ed amministratore di diritto di una società, se ben dovranno essere presi in attenta considerazione all'esito dell'eventuale giudizio di merito riguardante la penale responsabilità della C. non assumono dirimente rilevanza nella fase in cui è stato emesso il provvedimento impugnato. Se infatti è ben vero, secondo un recentissimo arresto giurisprudenziale di questa Corte Suprema, che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benché gli sia precluso l'accertamento del merito dell'azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del fumus del reato ipotizzato, con riferimento anche all'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo v. Corte cost., ord. n. 153 del 2007 Cass. Sez. 6, sent. n. 16153 del 06/02/2014, dep. 11/04/2014, Rv. 259337 è però altrettanto vero che nel caso in esame un corretto controllo risulta essere stato effettuato dal Tribunale e che, sulla base degli elementi indicati nella motivazione dell'ordinanza impugnata, il difetto dell'elemento soggettivo in capo alla C. non è certo di immediato rilievo . 2. Anche il secondo motivo di ricorso, così come sopra riassunto, si presenta infondato. Sostanzialmente parte ricorrente deduce che non si sarebbe potuto procedere al sequestro per equivalente nei suoi confronti, in quanto il Pubblico Ministero e, successivamente, il Tribunale avrebbe dovuto prima verificare la possibilità di procedere al sequestro diretto possibile anche per i reati fiscali del profitto del reato nei confronti della società. Il Tribunale, avendo omesso tale verifica, avrebbe violato l'art. 322-ter cod. pen. norma di riferimento anche se non espressamente citata nel ricorso nella parte in cui tale norma richiede, per procedere al sequestro per equivalente, che sia accertata la impossibilità di procedere in via diretta sui cespiti della società. In ogni caso il Tribunale avrebbe dovuto spiegare perché doveva ritenersi impossibile la confisca diretta presso la società della somma corrispondente all'imposta evasa, cosa non fatta in quanto non risulta che alcun accertamento sia stato compiuto al riguardo. Fuor di dubbio è, innanzitutto, il fatto che quanto alla determinazione del profitto in tema di reati tributari, detto profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario Cass. Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Rv. 255036 . Ancora, come ribadito dalla Sezioni Unite di questa Corte Suprema sent. n. 10561 del 30/01/2014, dep. 05/03/2014, Rv. 258646 la confisca del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per i reati commessi dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica, quando il profitto sia rimasto nella disponibilità della stessa e, inoltre, a norma dell'art. 6, comma 5, d.lgs. n. 231 del 2001, anche nei confronti degli enti per i quali non sia applicabile la confisca-sanzione di cui all'art. 19 dello stesso decreto per essere stati efficacemente attuati i modelli organizzativi per impedire la commissione di reati da parte dei rappresentanti dell'ente. Ciò doverosamente ricordato, va rilevato che la questione denunciata con il motivo di ricorso che in questa sede ci occupa risulta essere già stata posta al Tribunale del riesame che ha però evidenziato - al di là del corretto rilevo dell'inconferenza della questione secondo la quale sarebbe stata operata un'indebita commistione tra il reato di cui all'art. 314 cod. pen. sul quale sarebbe stato fondato il provvedimento cautelare e quelli fiscali mentre il calcolo sull'ammontare equivalente sarebbe stato effettuato sui capi afferenti la violazione di norme tributarie atteso che il sequestro risulta emesso solo con riferimento a questi ultimi reati - che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema con la sentenza di cui sopra n. 10561/2014 citata anche dalla difesa della ricorrente si sono limitate ad affermare la possibilità che si possa procedere a sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica che sia uno schermo fittizio per le violazioni tributarie senza, tuttavia, stabilire che in tali casi devono essere prioritariamente sequestrati i beni della persona giuridica cfr. pag. 7 dell'ordinanza impugnata . È appena il caso di rilevare che, mentre non è sfuggito al Tribunale del riesame, per contro a pag. 14 del ricorso, il difensore della ricorrente nel riportare testualmente il principio di diritto enunciato nella più recente delle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema ha dimenticato di citare l'ultima parte del tale principio di diritto enunciato a pag. 15 della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte nel quale si afferma che La impossibilità del sequestro del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato”. Ciò del resto trova una ragionevole spiegazione, già evidenziata in altre sentenze di questa Corte Suprema ma ribadita anche dalle Sezioni Unite, in base alla quale versandosi in materia di misura cautelare reale, non è possibile pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato, giacché, durante il tempo necessario per l'espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, così vanificando ogni esigenza di cautela. Infatti, quando il sequestro interviene in una fase iniziale del procedimento, non è, di solito, ancora possibile stabilire se sia possibile o meno la confisca dei beni che costituiscono il prezzo od il profitto di reato, previa loro certa individuazione. Ne consegue che nessuna violazione di legge è, pertanto, ravvisabile nel modus procedendi che ha portato all'emissione del provvedimento di sequestro cautelare reale nei confronti dell'odierna ricorrente C.C. . Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.