Sequestro preventivo: il denaro vola via e non torna più

In caso di mancato versamento delle imposte da parte del legale rappresentante di una società, quando l’illecito profitto si sostanzia in un mancato esborso, il sequestro deve necessariamente avvenire nella forma per equivalente, non soltanto perché il denaro è un bene assolutamente fungibile, ma anche in quanto esso non ha mai avuto una sua materialità fisica, consistendo solo in un’immateriale entità contabile che, non essendoci stato un esborso, non si è mai concretizzata in moneta contante.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 49630, depositata il 28 novembre 2014. Il caso. Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettava la richiesta del pm di applicazione di sequestro preventivo per equivalente nei confronti di una società, la cui rappresentante legale non aveva presentato la dichiarazione IVA per il 2008, omettendo quindi di versare le imposte. Il pm ricorreva in Cassazione, deducendo la natura fittizia della società, che avrebbe consentito perciò l’esperibilità del sequestro per equivalente anche nei suoi confronti. Inoltre, i giudici avrebbero comunque potuto concedere il sequestro diretto relativamente ai beni costituenti il patrimonio della società, che, almeno in parte, era costituito da ciò che rappresenta il profitto o il prezzo conseguito con la commissione del reato da parte della rappresentante legale. Sequestro limitato. La Corte di Cassazione richiama il precedente n. 10561/2014 delle Sezioni Unite, secondo cui, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui il reo agisce come effettivo titolare dei beni. L’onere di provare la natura fittizia della società spetta alla pubblica accusa, dovendo ritenersi che, in linea di principio, alla soggettività giuridica corrisponda anche un’effettiva realtà. Nel caso di specie, questo onere non era stato soddisfatto, in quanto il pm si era limitato ad allegare le circostanze che il capitale sociale della società, ritenuto inadeguato rispetto al giro d’affari, fosse integralmente sottoscritto dalla rappresentante legale, che le scritture contabili erano state oggetto di furto e che la stessa società era stata coinvolta in altri reati fiscali commessi dai precedenti amministratori. Secondo la Cassazione, questi elementi erano equivoci e quindi inidonei a dimostrare la natura fittizia della società. Possibilità di sequestro diretto. Per quanto riguarda l’esperibilità del sequestro diretto, nel caso di specie il denaro di cui era stato richiesto il sequestro non era entrato nel patrimonio della società, andandosi a sommare con altri beni, ma semplicemente non ne era uscito, in quanto era stato illecitamente risparmiato, grazie alla mancata corresponsione delle imposte. Tuttavia, sottolineano gli Ermellini, quando l’illecito profitto si sostanzia in un mancato esborso, il sequestro deve necessariamente avvenire nella forma per equivalente, non soltanto perché il denaro è un bene assolutamente fungibile, ma anche in quanto esso non ha mai avuto una sua materialità fisica, consistendo solo in un’immateriale entità contabile che, non essendoci stato un esborso, non si è mai concretizzata in moneta contante. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso del pm.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 maggio – 28 novembre 2014, numero 49630 Presidente Fiale – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, adito in sede di appello dal locale Procuratore della Repubblica, avverso il decreto col quale il Gip di tale sede giudiziaria ha rigettato la richiesta di applicazione di sequestro preventivo per equivalente nei confronti della Mazzone srl, essendo C.G. indagata in quanto nella qualità di legale rappresentante della predetta società, non aveva presentato la dichiarazione IVA per l'anno di imposta 2008, conseguentemente omettendo di versare imposte per Euro 192.194,34, ha confermato l'impugnato decreto. Con la detta ordinanza il giudice del gravame ha, in sostanza, ritenuto che non era possibile dare corso alla richiesta del PM in quanto in tema di reati tributari non sarebbe ammesso il sequestro preventivo strumentale alla confisca per equivalente dei beni della società tenuta al pagamento delle imposte evase, laddove non fosse risultato che l'ente impersonale costituisse in realtà un mero strumento in mano al suo amministratore. Aggiungeva, in particolare con riferimento alla possibilità di procedere al sequestro diretto del profitto e del prezzo del reato, che, essendo la ricordata società comunque fallita senza attivo in epoca anteriore alla eventuale commissione del reato, non erano stati individuati i beni costituenti il profitto del reato contestato. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, deducendo la illegittimità del provvedimento reiettivo del suo appello. Invero, rileva il ricorrente, per un verso, agli atti del procedimento vi sono elementi idonei a provare, nei limiti della presente cognizione cautelare, la fittizietà della Mazzone srl sì da consentire la esperibilità del sequestro per equivalente anche nei confronti di quella e, per altro verso, non risultando comunque un criterio di pregiudizialità fra la richiesta di sequestro per equivalente e quella di sequestro diretto, poteva essere quantomeno concesso quest'ultimo relativamente ai beni costituenti il patrimonio della Società, essendo questo, stante l'avvenuto risparmio di spesa e data la naturale fungibilità del danaro, in parte costituito da ciò che rappresenta il profitto o il prezzo conseguito attraverso la commissione del reato ascritto alla C. . Né risulterebbe ostativa la circostanza che sia stato dichiarato il fallimento della Mazzone srl, potendo ben risultare che la predetta Società sia riuscita ad occultare dei beni senza che gli stessi siano stati conferiti alla massa fallimentare. Considerato in diritto Il ricorso, risultato infondato, non è, pertanto, meritevole di accoglimento. Rileva al riguardo il Collegio che la presente impugnazione ha ad oggetto la ordinanza emanata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 24 ottobre 2013 e con la quale è stato rigettato l'appello proposto dalla locale Procura della Repubblica avverso il decreto del 25 luglio 2013 del Gip del Tribunale sammaritano e con il quale è stata rigettata la richiesta di sequestro nei confronti della Mazzone srl giova ulteriormente precisare che il sequestro era stato richiesto nel corso di indagini aventi ad oggetto la asserita violazione da parte di C.G. , amministratore della predetta società dell'art. 5 del dlgs numero 74 del 2000, per avere ella omesso, nella ricordata qualità, di presentare la dichiarazione dei redditi relativamente all'anno di imposta 2007, evadendo quindi Iva ed Ires per un importo complessivo pari a Euro 192.142,34. Ciò premesso osserva questa Corte che il tema della sequestrabilità ai sensi dell'art. 322-ter cod. penumero dei beni di soggetti terzi rispetto all'autore dell'illecito, in particolare, nel caso di reati tributari commessi nella qualità di organo di una società commerciale, ai fini della confisca per equivalente dei beni facenti capo alla predetta società, è stato oggetto di un articolato dibattito giurisprudenziale, svoltosi in seno a questa stessa III Sezione, nel corso del quale, negli ultimi anni, era stato deciso, secondo alcune pronunce, che, con riferimento ai reati tributari, sarebbe possibile applicare il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona giuridica, anche al di fuori dei casi in cui la sua creazione era finalizzata a farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali quale società schermo . Ciò in ragione dell'affermazione che, sebbene il reato tributario fosse addebitabile all'indagato, le conseguenze patrimoniali erano destinate a ricadere in ogni caso sulla società a favore della quale egli aveva agito, salvo che si fosse dimostrata una rottura del rapporto organico. Secondo i fautori di tale tesi, dunque, non era richiesto che l'ente fosse direttamente responsabile, ai sensi del dlgs numero 231 del 2001, e lo stesso non poteva considerarsi terzo estraneo al reato poiché esso si giovava degli incrementi economici che erano derivati dalla commissione del reato stesso così ex plurimis Corte di cassazione sezione III penale, 19 luglio 2011, numero 28731 del 19.7.2011 idem Sezione III penale, 9 giugno 2011, numero 26389 . Di segno contrario erano state, invece, altre pronunce nelle quali si era affermata l'impossibilità di applicare l'istituto del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni appartenenti alla persona giuridica, nei casi in cui si procedeva per violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della stessa, in quanto gli articoli 24 e seguenti del D.Lgs. numero 231 del 2001 non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l'adozione di un provvedimento siffatto, tranne che nel caso in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, tanto che ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia in realtà immediatamente riconducibile alla disponibilità dell'autore del reato Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 giugno 2012, numero 25774 idem Sezione III penale 3 aprile 2013 numero 15349 idem Sezione III penale, 10 luglio 2013, numero 42350 idem Sezione III penale, 20 settembre 2013, numero 42476 . Siffatto contrasto è stato, di recente, infine composto tramite l'intervento chiarificatore delle Sezioni unite penali di questa Corte che, con la sentenza numero 10561 del 2014, hanno precisato che in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli artt. 1, comma 143, della legge numero 244 del 2007 e 322-ter cod. penumero non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni Corte di cassazione Sezioni unite penali, 5 marzo 2014, numero 10561 . Risulta, pertanto, chiaro che con siffatta indicazione, subito confermata dalla giurisprudenza di questa Corte si veda, infatti, subito dopo identicamente orientata, Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 maggio 2014, numero 18311 , si è inteso avallare il secondo degli indirizzi giurisprudenziali illustrati. Si tratta, pertanto, di verificare se, nel caso che interessa il Tribunale ha esposto i criteri in base ai quali ha ritenuto che la società destinataria della richiesta di sequestro non era caratterizzata dallo stigma della fittizietà in modo tale da soddisfare l'obbligo della motivazione imposto dall’art. 125 cod. proc. penumero . È ovvio che l'onere di addurre gli elementi che, nella presente fase cautelare, siano indicativi della mera fittizietà dello schermo societario incombe sulla pubblica accusa, dovendo ritenersi, salvo elementi contrari, che, in linea di principio, alla soggettività giuridica corrisponda anche una effettiva realtà, sia pur sempre suo specie juridica . Nel caso in esame, per quanto emerge anche dal contenuto del ricorso proposto avverso il provvedimento del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, può escludersi che tale onere sia stato soddisfatto, essendosi l'ufficio richiedente limitato ad allegare la circostanza che il capitale sociale della Mazzone srl, ritenuto inadeguato rispetto al suo giro di affari, fosse integralmente sottoscritto dalla attuale indagata, che non risultavano le scritture contabili in quanto divenute oggetto di furto, che la predetta società era stata in passato coinvolta in altri reati fiscali commessi dai suoi amministratori del tempo. Si tratta all'evidenza di elementi del tutto equivoci e non idonei a fornire, neppure a quel livello indiziario rilevante nella presente fase cautelare, dati significativi in relazione alla effettività o meno della società in questione, di tal che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale appare del tutto congrua e adeguatamente motivata. Quanto alla esperibilità del sequestro diretto, il quale deve attingere nella sua materialità il prezzo od in profitto conseguito tramite la realizzazione del reato, anch'essa implicitamente negata dal provvedimento impugnato, rileva il Collegio che nel caso in esame è certo, stante la natura del reato per il quale si indaga, che il denaro del quale è chiesto il sequestro non è entrato nel patrimonio della società in questione, andandosi a sommare con gli altri beni di esso facenti parte, ma, secondo l'ipotesi accusatoria, semplicemente non ne uscito, perché, come ipotizzato dagli inquirenti, esso sarebbe stato illecitamente risparmiato, essendo il frutto della mancata corresponsione di imposte dovute. Ma per questa ipotesi va chiarito che, allorquando la illecita locupletazione si sostanzia in un mancato esborso, il sequestro dovrà necessariamente avvenire nella forma per equivalente e ciò, non solo perché il denaro è bene assolutamente fungibile di talché non avrebbe senso, come è ovvio, l'apposizione di un vincolo su taluni individuati beni nummari , ma principalmente perché, in tal caso, esso non ha mai avuto una sua materialità fisica, ma è consistito in una immateriale entità contabile che, proprio perché non ha dato luogo a un esborso, non si è mai reificata in moneta contante. La dimostrata legittimità del provvedimento impugnato quanto al mancato accoglimento dell'appello avente ad oggetto il sequestro per equivalente, giustifica pertanto, anche il rigetto relativo alla impugnazione concernente la mancata concessione anche del sequestro diretto. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Pubblico ministero.