Omicidio colposo: medico assolto per le carenze dell’ospedale

Anche nell’ambito della causalità omissiva vale la regola di giudizio della ragionevole, umana certezza. Tale apprezzamento va compiuto tenendo conto da un lato delle informazioni inerenti il coefficiente probabilistico che assiste il carattere salvifico delle misure doverose appropriate, e dall’altro delle contingenze del caso concreto.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 46336, depositata il 10 novembre 2014. Il fatto. La Corte d’appello di Firenze, riformando la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Livorno, aveva assolto i due imputati dal reato di omicidio colposo, l’uno perché il fatto non costituisce reato, l’altro perché il fatto non sussiste. Il primo quale medico di turno del pronto soccorso ortopedico dell’ospedale di Livorno ed il secondo quale medico di turno del pronto soccorso generale del medesimo nosocomio, venivano accusati di aver colposamente cagionato la morte di un paziente trasportato presso la struttura sanitaria a seguito di incidente stradale, avendo tardivamente diagnosticato una imponente frattura alla milza così inibendo le tempestive, necessarie e risolutive attività terapeutiche. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la parte civile, lamentando in primo luogo che la Corte d’appello ha omesso di prendere in considerazione la richiesta di rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale e, in secondo luogo, censurando la pronunzia di merito per ciò che attiene alla ritenuta assenza di colpa dei due dottori. Il collegio ritiene il ricorso infondato, affermando che in appello è stata eseguita indagine peritale e che sul caso si sono espressi diversi esperti di parte che hanno adeguatamente ponderato le posizioni dei due imputati. Concause. È stato infatti considerato che il drammatico evento è stato frutto di una serie di concause, indipendenti dalla condotta dei due medici. In particolare, l’errore dei volontari dell’ambulanza che trasportarono il paziente al pronto soccorso ortopedico e non a quello generale, la negata percezione di dolori addominali da parte del ferito, l’assenza di un apparecchio per l’ecografia, l’irrazionale separazione dei diversi pronto soccorso, la mancanza di linee guida uffici efficienti per il trasferimento del paziente, la mancata valutazione da parte dell’infermiera della reale situazione del paziente, al quale aveva assegnato un codice verde imponendo un’ora di attesa. La causa della morte sta nelle deficienze organizzative della struttura sanitaria. Nessuna censura per l’ortopedico che ha fatto quanto in suo potere. Mentre, il medico del pronto soccorso di medicina generale, essendo l’unico in servizio e impegnato a seguire un altro paziente, invece di telefonare al collega per lamentarsi dell’errore di valutazione fatto nel non inviare direttamente in chirurgia la vittima dell’incidente, avrebbe dovuto verificare personalmente la gravità della situazione. Ma anche questa omissione non può essere considerata la causa della morte, ma negligenza. Anche per la Cassazione, quindi, la causa della morte va addebitata all’ora notturna e alle deficienze organizzative della struttura sanitaria, che hanno ridotto all’osso, rendendoli nulli, i tempi per operare con successo. A seguito di queste riflessioni, la Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 ottobre – 10 novembre 2014, n. 46336 Presidente Romis – Relatore Blaiotta Motivi della decisione 1. Riformando la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Livorno, la Corte d'appello di Firenze ha assolto gli imputati in epigrafe dal reato di omicidio colposo il P. perché il fatto non costituisce reato e il C. perché il fatto non sussiste. Il P. quale medico di turno del pronto soccorso ortopedico dell'ospedale di ed il C. quale medico di turno del pronto soccorso generale del medesimo nosocomio, sono stati accusati di aver colposamente cagionato la morte del paziente B.F. , trasportato presso la struttura sanitaria a seguito di incidente stradale occorsogli alla guida della propria motocicletta, avendo tardivamente diagnosticato una imponente frattura alla milza così inibendo le tempestive, necessarie e risolutive attività terapeutiche. In particolare al P. è stato contestato, a seguito di episodio di vomito del paziente accompagnato da dolori addominali, di essersi limitato a richiedere una valutazione chirurgica per il subito trauma addominale e di aver inviato il paziente al pronto soccorso generale invece che al reparto di chirurgia e di aver inoltre omesso di segnalare l'urgenza del caso. Al C. è stato addebitato di aver tardivamente visitato il paziente, solo a seguito di pressioni dei familiari e di un ispettore di polizia. 2. Ricorre per cassazione la parte civile deducendo diverse questioni. 2.1 Con il primo motivo si lamenta che la Corte d'appello ha completamente omesso di prendere in considerazione la richiesta di rinnovazione parziale dell'istruttoria dibattimentale per acquisire sentenza del Tribunale di Livorno relativa ad una coimputata, nonché delle dichiarazioni rese da alcuni testi in quel processo, al fine di chiarire la controversa esecuzione di radiografia della pelvi, dell'anca e del bacino. Al riguardo vi è totale mancanza di motivazione. 2.2 Con il secondo motivo si censura la pronunzia di merito per ciò che attiene alla ritenuta assenza di colpa del dottor P. . Si considera che l'anamnesi circostanziale e la ricognizione critica del quadro lesivo imponevano di orientarsi verso l'ipotesi di una possibile lesione interna. L'avvio al pronto soccorso generale, dunque, fu tardivo e comunque non appropriato, imponendosi l'invio diretto al reparto di chirurgia. Pure tardivo e non appropriato fu il contatto con il pronto soccorso generale. 2.3 Il terzo motivo concerne l'imputato C. . Si è trascurato che la condizione del paziente avrebbe richiesto la immediata infusione di liquidi ancor prima di qualsiasi diagnosi. La ricostruzione dei tempi per l'esecuzione di intervento chirurgico è inoltre priva di ancoraggio alla situazione concreta. La valutazione del giudice di merito ripercorre il soggettivo ed opinabile punto di vista del perito senza considerare in modo appropriato la possibilità di accelerare l'esecuzione dell'atto chirurgico anche a seguito di una tempestiva diagnosi. 3. Il ricorso è infondato. La sentenza d'appello espone che il P. visitò il paziente, constatò e fronteggiò una frattura alla scapola. Nel prosieguo, a seguito di un conato di vomito ed avendo il paziente riferito dopo insistenti domande del terapeuta , anche un dolore addominale, il sanitario sospettò un trauma interno e decise di avviare il giovane al pronto soccorso generale, stilando apposito referto, dopo aver vanamente cercato un contatto telefonico, richiedendo una valutazione chirurgica in riferito trauma addominale . A tale scopo chiamava un'ambulanza, attesa la distanza esistente tra i due pronto soccorso. L'autolettiga non era tuttavia disponibile ed il B. venne infine trasferito in barella. Il paziente fu ricevuto nel pronto soccorso generale dal dottor C. , unico sanitario presente. Costui non ricevendo segnalazioni di criticità in atto, proseguiva nelle visite ordinarie. Lo stesso paziente veniva contrassegnato dall'infermiera addetta al triage con codice verde cioè non urgente, nonostante avesse perso feci e manifestasse segni di sofferenza nonché difficoltà respiratorie, come riferito dal padre che lo assisteva. Il C. visitò il paziente solo dopo un'ora quando questi versava già in una condizione disperata, tanto che dopo cinque minuti sopraggiunse shock emorragico cui seguì esito letale nonostante le manovre rianimatorie. L'indagine autoptica rivelò che la morte era stata determinata da shock emorragico seguito a lesione della milza. Tale patologia avrebbe potuto essere fronteggiata solo con terapie di contenimento della perdita ematica seguite da intervento chirurgico di splenectomia. Purtroppo, invece, il paziente fu sottoposto a visita medica solo un'ora dopo l'arrivo nel pronto soccorso generale quando le sue condizioni erano ormai irreversibilmente segnate. La pronunzia dà conto che in appello è stata eseguita indagine peritale e che sul caso si sono espressi diversi esperti di parte. Le relative valutazioni vengono analiticamente esposte e la motivazione culmina nella ponderazione delle posizioni dei due ricorrenti. Si considera che la patologia alla milza avrebbe potuto essere diagnosticata tempestivamente attraverso l'esame ecografico. La condotta terapeutica del P. viene ritenuta immune da censure. Egli curò correttamente il paziente in ordine alle lesioni di sua competenza, non disponeva di elementi per propendere verso una decisa diagnosi di emorragia addominale ed avviò tempestivamente il paziente al pronto soccorso generale, secondo i protocolli interni dell'ospedale. Il paziente avrebbe potuto essere salvato con elevata probabilità prossima alla certezza solo nel tempo in cui egli si trovò presso il pronto soccorso ortopedico, allorché la ipovolemia era compensata e lo shock emorragico era contenuto. In quel frangente si verificarono tuttavia disguidi, disorganizzazione ed equivoci non imputabili all'unico sanitario presente nel pronto soccorso ortopedico, tra l'altro impegnato nella cura di un grave caso di emorragia che aveva colpito un paziente operato in quel giorno. Il sospetto di trauma ad organi interni sopravvenne solo al termine del trattamento ortopedico ed in quel momento il ricorrente ritenne opportuno avviare il giovane al pronto soccorso generale per un approfondimento di chirurgico per sospetto trauma addominale. L'invio all'altro pronto soccorso in autoambulanza, stante la distanza dei siti rispettò il protocollo interno della direzione sanitaria e non implica una scelta censurabile. Il ritardo nel trasferimento fu determinato non già dalla decisione del medico ma dalla indisponibilità in quel momento di una autolettiga. Attesa l'assenza di colpa è stata adottata pronunzia assolutoria perché il fatto non costituisce reato. Tale apprezzamento appare immune da censure. Il comportamento del sanitario non rivela apprezzabili elementi di colpa. Egli era addetto all'emergenza ortopedica e dette immediatamente luogo agli interventi occorrenti. La possibilità di una patologia in organi interni si rivelò solo in prosieguo e solo dopo molte insistenze del terapeuta. Questi, peraltro, non disponeva di un ecografo che gli consentisse una preliminare valutazione del paziente. Tale mancanza costituisce evenienza che, come del resto ritenuto dal giudice di merito, mostra una drammatica, radicale carenza organizzativa cui va ascritto un ruolo davvero significativo nella successione degli accadimenti che condussero alla morte del paziente. Dunque, la richiesta di valutazione da parte dell'urgenza generalista appare corretta. Pure corretto il tentativo di instaurare contatto telefonico col medico di turno nell'altro pronto soccorso. I ritardi nel trasferimento non gli sono certo imputabili, ma costituiscono conferma delle sorprendenti carenze organizzative cui si è già fatto cenno. Dunque, la sentenza assolutoria non è censurabile. 4. Diversa la posizione del C. . Egli era l'unico sanitario presente nel pronto soccorso ed era impegnato nella visita di un paziente con urgenza media. Tuttavia l'infermiera del triage lo avvisò dell'arrivo di un ferito da incidente stradale per il quale vi era espressa richiesta medica scritta di approfondimento per sospetto trauma addominale. Il C. telefonò al collega P. ma ciò avvenne più per protestare sulla pretesa irregolarità formale del trasferimento al pronto soccorso generale invece che al reparto di chirurgia e non già per approfondire la criticità del caso trasmessogli. In tale situazione il terapeuta avrebbe dovuto personalmente valutare la gravità del paziente a seguito della segnalazione che, se fondata, rappresentava un rischio della massima urgenza. Verosimilmente una immediata visita avrebbe messo in moto un immediato meccanismo di verifica strumentale volto all'accertamento del trauma addominale, considerata la importante sintomatologia manifestata dal B. . Tutto ciò non fu fatto e ciò implica comportamento negligente idoneo ad integrare l'elemento soggettivo della colpa. Difetta tuttavia la prova della connessione causale fra tale condotta omissiva e l'evento di danno, che deve essere dimostrata con apprezzamento dotato elevata probabilità logica. Tale valutazione non è stata correttamente espressa dal primo giudice. Le documentate e condivise valutazioni del perito sulla tempistica della diagnosi, della trasfusione e dell'intervento chirurgico rispetto alla rapidità di evoluzione della patologia rendono del tutto incerta la riconducibilità causale della morte del giovane paziente alla ritardata visite. L'insuccesso di eventuali terapie risulta ancor più accreditato in considerazione della cattiva organizzazione del nosocomio. Si rammenta in proposito che sarebbe stato necessario eseguire ecografia addominale non praticabile nel pronto soccorso per l'assenza della relativa apparecchiatura, che si sarebbe dovuto reperire ed infondere sangue, che si sarebbe dovuta allestire la sala operatoria e si sarebbero dovuti pure reperire in orario notturno i chirurghi per l'esecuzione dell'intervento di splenectomia. La pronunzia analizza in dettaglio i tempi per le diverse operazioni e perviene alla conclusione che pur a seguito di visita tempestiva l'evento letale con elevata probabilità non si sarebbe potuto evitare. Ciò perché non si disponeva della strumentazione diagnostica, perché occorreva reperire il sangue del gruppo zero ed occorreva altresì porre gli adempimenti preparatori all'atto chirurgico. In conclusione, all'esito della prova controfattuale è assai dubbio che una condotta terapeutica appropriata avrebbe salvato la vita del paziente. L'argomentazione viene completata considerando che il drammatico evento è stato frutto di una serie di concause. L'errore dei volontari dell'ambulanza che trasportarono il paziente al pronto soccorso ortopedico e non a quello generale, la negata percezione di dolori addominali da parte del ferito, l'assenza di un apparecchio per l'ecografia, l'irrazionale separazione dei diversi pronto soccorso, la mancanza di linee guida uffici efficienti per il trasferimento del paziente, la mancata valutazione da parte dell'infermiera della reale situazione del paziente. Di qui la pronunzia assolutoria perché il fatto non sussiste alla stregua dell'assenza di prova in ordine all'indicato nesso causale. Pure tale apprezzamento non può che essere confermato. Questa Corte, anche a sezioni unite S.U. Franzese, 2002 S U. Espenhanh, 2014 ha chiarito che anche nell'ambito della causalità omissiva vale la regola di giudizio della ragionevole, umana certezza e che tuttavia tale apprezzamento va compiuto tenendo conto da un lato delle informazioni di carattere generalizzante afferenti al coefficiente probabilistico che assiste il carattere salvifico delle misure doverose appropriate, e dall'altro delle contingenze del caso concreto. Nella fattispecie in esame tale apprezzamento è stato correttamente compiuto. Non solo si è mostrato che le probabilità di successo della terapia appropriata sono correlate alla tempestività dell'intervento terapeutico ma si è correttamente aggiunto che nel caso in esame l'ora notturna e le conclamate deficienze organizzative della struttura sanitaria rendevano sostanzialmente impossibile un intervento tempestivo. L'argomentazione non è astratta ma scende correttamente a puntualmente analizzare le scansioni temporali. Dunque, l'apprezzamento è immune da vizi logici o giuridici. Rispetto a tali concludenti valutazioni appare priva di rilievo l'invocata riapertura dell'istruttoria per l'acquisizione di documenti di cui non si spiega neppure la teorica rilevanza. È dunque da ritenersi che la complessiva argomentazione espressa dalla pronunzia d'appello rechi un implicito quanto evidente giudizio d'irrilevanza delle prove richieste. Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.