41-bis e Costituzione non sono come cane e gatto

Non può essere accolta l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 41- bis o.p., proposta per una pretesa violazione del diritto al doppio grado di giurisdizione in materia penale.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 45161, depositata il 31 ottobre 2014. Il caso. Il tribunale di sorveglianza di Roma respingeva il reclamo di un detenuto contro il decreto del Ministero della Giustizia che aveva disposto nei suoi confronti la proroga del regime detentivo differenziato ex art. 41- bis o.p., con conseguente sospensione di alcune regole di trattamento previste dalla legge penitenziaria. Il detenuto ricorreva in Cassazione, proponendo un’eccezione di incostituzionalità dell’art. 41- bis o.p., deducendo una violazione del diritto di difesa, in quanto la norma non garantirebbe il diritto al doppio grado di giudizio, in quanto l’impugnazione davanti alla Corte di Cassazione sarebbe limitata al solo caso della violazione di legge e non anche del vizio di motivazione. Inoltre, a suo giudizio, la norma sarebbe da censurare, in quanto non verrebbe attribuita alcuna rilevanza a fattori come la durata del trattamento per la valutazione dei presupposti dell’istituto con conseguente violazione dell’art. 3 Cedu in materia di trattamenti inumani e degradanti . Doppio grado. La Corte di Cassazione, però, ribatte che il diritto ad un doppio grado di giurisdizione in materia penale previsto nella Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo , anche se fosse ritenuto estensibile ad un procedimento speciale come quello di sorveglianza, non può essere inteso come garanzia del diritto ad un doppio grado di giurisdizione di merito, bensì come riconoscimento del diritto, per l’imputato, ad avvalersi, contro la pronuncia di condanna nel caso specifico contro il provvedimento di rigetto del reclamo , di mezzi ordinari di impugnazione o di revisione di qualsiasi portata presso un altro organo giurisdizionale. Trattamento inumano. Per quanto riguarda l’eccezione riguardante il divieto di pene o trattamenti inumani e degradanti, i giudici di legittimità ricordano che la Corte di Strasburgo non ha mai formulato un giudizio negativo sull’in sé della sospensione delle regole trattamentali. Inoltre, non può essere considerata una durata precisa per determinare il momento a partire da cui è raggiunta la soglia minima di gravità per rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 3 Cedu la durata deve, infatti, essere esaminata alla luce delle circostanze di ogni caso di specie, per cui si dovrà verificare se il rinnovo o la proroga delle restrizioni fossero giustificati e se le restrizioni fossero dovute alla necessità di impedire al soggetto, socialmente pericoloso, di mantenere contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza. Tale verifica era stata svolta dal tribunale di sorveglianza. Per tali motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 – 31 ottobre 2014, n. 45161 Presidente Zampetti – Relatore Cavallo Ritenuto in fatto 1. II Tribunale di sorveglianza di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha respinto il reclamo proposto da G.C. avverso il decreto del 23 settembre 2009 del Ministro della Giustizia che aveva disposto nei riguardi dello stesso la proroga del regime detentivo differenziato di cui all'art. 41 bis Ord. Pen., con la conseguente sospensione di alcune regole di trattamento previste dalle legge penitenziaria. II Tribunale - disattese le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis Ord. pen. sollevate dalla difesa dei condannato, in quanto manifestamente infondate - riteneva, infatti, sintetizzando argomentazioni assai più diffuse, che permanessero le condizioni di applicazione dello speciale regime detentivo, assimilabile ad una misura di prevenzione il C. era stato condannato all'ergastolo per gravissimi reati tra i quali anche plurimi omicidi aggravati era membro di assoluto rilievo dell'omonima cosca di cui il fratello Ferdinando era fondatore e capo, ancora operante in territorio campano in particolare nella zona di Pompei e Castellammare di Stabia aveva avuto un comportamento intramurario contrassegnato da varie segnalazioni disciplinari, anche di epoca recente fine del 2013 aveva concrete possibilità di collegamenti con l'esterno, ove non sottoposto a disciplina di particolare rigore. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'anzidetto condannato per il tramite del suo difensore, avvocato Sergio Cola, che ha motivato l'impugnazione - con i primi tre motivi, viene proposta eccezione di incostituzionalità dell'art. 41 bis Ord. Pen. a nella parte in cui non è prevista la fruibilità di una impugnazione di merito avverso le ordinanze di rigetto dei reclami proposti contro il decreto ministeriale di applicazione o proroga del regime carcerario differenziato b nella parte in cui è impedita al detenuto la possibilità di sindacare le ordinanze pronunciate a seguito di reclami ex art. 41 bis innanzi alla Suprema Corte di cassazione ai sensi dell'art. 606 lett. e cod. proc. pen. ovvero per vizio di motivazione c nella parte in cui, ai fini della valutazione dei presupposti dell'istituto, non è attribuita alcuna rilevanza a fattori quali la durata del trattamento nel caso del C., prorogato dall'anno 2000 - con il quarto motivo, denunziando violazione di legge artt. 24, 25, 111 comma 1 Cost artt. 1, 1, 125 e 127 cod. proc. pen. art. 41 bis comma 2 quinquies e comma 2 sexies Ord. Pen. per avere il giudice a quo ritenuto che il sindacato del Tribunale di sorveglianza sui decreti ministeriali di proroga, non è un giudizio di di merito ma di legittimità con la conseguenza di non esercitare la giurisdizione di merito sulle doglianze difensive - con il quinto motivo, denunziando violazione di legge artt. 121, 125 comma 3, 127, 178 comma 1, lett. c , 292 comma 2, lettera c bis, 546 comma 1 lett. e cod. proc. pen. art. 41 bis Ord. Pen. per apparente, non adeguata o dei tutto omessa valutazione dell'atto di reclamo, degli elementi di prova ivi evidenziati provvedimenti giurisdizionali che escludevano la perdurante operatività del clan C. - con il sesto motivo, denunziando violazione di legge artt. 121, 125 comma 3, 178 comma 1, lett. c bis, cod. proc. pen. per apparente, non adeguata o del tutto omessa motivazione, sulla permanenza dei presupposti che legittimano la persistente capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali. 2.1 Con memoria in data 23 settembre 2014 la difesa del ricorrente, replicando alla requisitoria del Procuratore Generale presso questa Corte con la quale si chiedeva il rigetto dell'impugnazione, ha ribadito sia la non manifesta infondatezza delle eccezioni di illegittimità costituzionale dell'art. 41 bis Ord. Pen., sia la richiesta di annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. L'impugnazione è inammissibile, perché basata su motivi non consentiti dalla legge nel giudizio di legittimità ovvero manifestamente infondati. 1.1 Quanto ai profili di illegittimità dell'art. 41 bis Ord. Pen. prospettati in ricorso, con i primi due motivi d'impugnazione, occorre evidenziare che con gli stessi si denuncia, in buona sostanza, una pretesa lesione dei diritti di difesa del ricorrente, nel senso che, secondo la difesa del C., la proroga del regime differenziato nei confronti del prevenuto ha trovato conferma giurisdizionale, all'esito di un procedimento di sorveglianza asserìtamente non equo e condotto nel rispetto dei diritti minimi del ricorrente previsti dall'art. 6 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, firmata a Roma il 4.11.1950, resa esecutiva con legge n. 848 del 1955, non garantendo in particolare la norma impugnata d'incostituzionalità il diritto al doppio grado di giudizio , risultando, in particolare, l'impugnazione proposta dinanzi alla Corte di Cassazione limitata alla sola ipotesi della violazione di legge e non anche dei vizio di motivazione. 1.2 Trattasi di eccezione d'incostituzionalità manifestamente infondata. È il caso di rilevare, al riguardo, che il diritto a un doppio grado di giurisdizione in materia penale , previsto nella citata Convenzione e nell'art. 2 del Protocollo n. 7 richiamato dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. g , ove pure ritenuto estensibile ad un procedimento speciale quale quello di sorveglianza, non può essere inteso, come questa Corte di legittimità ha già avuto occasione dì precisare più volte Sez. 1, n. 3252 dei 14/02/1994 - dep. 18/03/1994, Pino ed altri, Rv. 199177 Sez. 6, n. 7812 del 12/02/2008 - dep. 20/02/2008, Tavano, Rv. 238727 come garanzia del diritto a un doppio grado di giurisdizione di merito, bensì come riconoscimento del diritto, per l'imputato, ad avvalersi, avverso la pronuncia di condanna nello specifico avverso il provvedimento di rigetto del reclamo , di mezzi ordinari di impugnazione o di revisione di qualsiasi portata presso altro organo giurisdizionale. 1.3 Quanto poi all'eccezione sollevata con riferimento al divieto di pene o trattamenti inumani e degradanti art. 3 CEDU ed in riferimento alla protratta durata della sospensione delle regole trattamentali, è sufficiente qui rilevare che la Corte di Strasburgo, come ben evidenziato anche in dottrina, non ha mai formulato un giudizio negativo sull'in sé della sospensione delle regole trattamentali in tal senso si veda ex multis, la decisione Gallico v. Italia evidenziando in particolare, in una non remota decisione del 2009 Enea v. Italia , come la Corte non può considerare una durata precisa per determinare il momento a partire dal quale è raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nell'ambito di applicazione dell'art. 3 [trattamento inumano e degradante], nel senso che la durata deve essere esamina alla luce delle circostanze di ogni caso di specie, dovendo verificarsi se il rinnovo e la proroga delle restrizioni fossero giustificati o meno se le restrizioni imposte al ricorrente erano necessarie per impedire all'interessato, socialmente pericoloso, di mantenere contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza verifica questa in concreto svolta dal Tribunale di sorveglianza e risoltasi con motivato giudizio affermativo. 1.4 Inammissibili devono ritenersi poi anche gli ulteriori motivi d'impugnazione con i quali si censura il provvedimento impugnato con riferimento alla ritenuta sussistenza dei presupposti legittimanti la proroga della sospensione delle regole trattamenti, che si assume affermata dal Tribunale con motivazione solo apparente, che non avrebbe tenuto conto della documentazione prodotta, con riferimento, soprattutto, al definitivo dissolvimento del clan C., oggetto di riconoscimento anche in alcuni provvedimenti giurisdizionali a carattere definitivo, richiamati in ricorso. 1.5 Nel controllo di legittimità sul provvedimento di proroga, infatti, il Tribunale di sorveglianza ha - invero - valutato gli elementi indicati nel decreto ministeriale e quelli addotti dalla difesa, li ha sottoposti ad autonomo vaglio critico, accertando che quelli allegati al decreto ministeriale di proroga fornivano dati realmente significativi sulla effettiva capacità del reclamante - anche a ragione della sua intraneità al clan camorristico C., ancora operativo sul territorio - di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, quindi sull'attuale pericolosità del detenuto, dovendo distinguersi tra attualità del collegamento con l'organizzazione esterna e l'attualità dei concreti contatti. 1.6 In particolare, evocando provvedimenti giurisdizionali ed i contenuti motivazionali degli stessi nonché articolate informative degli organi inquirenti Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, DNA, DIA, DDA, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri , il Tribunale ha motivatamente spiegato che il C., condannato per gravi delitti ed intraneo all'omonimo clan con funzioni apicali, in assenza di elementi sintomatici di autentica dissociazione e di acquisizione di valori di legalità, potesse continuare a dare apporti di impulso, di indirizzo, di coordinamento a scelte delinquenziali da attuarsi all'esterno ad opera di soggetti appartenenti all'organizzazione, espressamente obiettando, alle deduzioni difensive, che tutte le forze di polizia interpellate avevano evidenziato che il clan di appartenenza, caratterizzato da una consistente componente di tipo familiare, deve ritenersi tuttora operativo, evocando al riguardo, tra gli altri concreti elementi, l'applicazione nel 2011 di una misura cautelare nei confronti del cugino Vincenzo, in relazione ad una vicenda estorsiva, nonché recenti operazioni giudiziarie aprile 2011 eseguite nei confronti di persone che effettuavano richieste estorsive con modalità tali da farli ritenere appartenenti al succitato clan. In presenza di un percorso motivazionale, articolato, logico ed aderente a precise risultanze processuali acquisite agli atti, solo sommariamente illustrato in questa sede, le pur diffuse e suggestive argomentazioni difensive sviluppate in ricorso, lungi dal segnalare effettive violazioni di legge, non superano la soglia di una non consentita, opinabile ricostruzione alternativa e meramente congetturale. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non ricorrendo ipotesi di esonero - al versamento di una somma alla cassa delle ammende, congruamente determinabile in € 1000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000,00 alla cassa delle ammende