Sesso, droga e videotape: non c’è pace per la minorenne. Ma senza E-mule non sussiste la pornografia minorile

L’ipotesi più grave scatta solo in caso di possesso di strumenti software in grado di diffondere in rete i files illeciti.

Così per la Cassazione, sez. III Penale, nella sentenza n. 40781, depositata il 3 ottobre 2014. Il fatto. Forniva cocaina ad una quindicenne in cambio di rapporti sessuali completi e consenzienti, filmava tutto a sua insaputa ed aveva raccolto un piccolo database delle proprie esperienze pedopornografiche. Non era un esperto di personal computer né di social sharing – la pratica di condivisione on-line di files personali -, la Corte d’appello aveva tuttavia presunto il reato di pornografia minorile ex art. 600- ter c.p., condannandolo a seguito dell’abbreviato. Ricorre l’imputato sostenendo la forzatura del dato giudiziale l’accertamento tecnico non aveva consentito di rinvenire nel personal computer alcun programma di condivisione dati, quei video sarebbero rimasti alla sola sua semplice disposizione, i fatti avrebbero eventualmente integrato la meno grave imputazione di semplice possesso di materiale pedopornografico ex art. 600- quater c.p Si tratta di un reato di pericolo concreto. A seguito dell’ultima modifica apportata dalla l. n. 38/2006, il reato di pornografia minorile s’è ampliato di nuove condotte l’ utilizzo di minorenni anziché il meno vasto sfruttamento , al fine di realizzare, produrre o diffondere materiale illecito presso il web od altri canali di comunicazione, pur assente un fine di lucro. La soglia di punibilità è superata laddove la consistenza delle condotte – ad esempio, il reo è un esperto del files sharing oppure tende a conservare nell’hard disk comunicazioni o foto di minori - sia tale da integrare il concreto pericolo della diffusione presso i canali della comunicazione. Il semplice possesso di un personal computer, privo di un quid pluris organizzativo e strutturale - costituito dal possesso di programmi di files sharing che consentano in pochi minuti di poter condividere nel web contenuti privati - non basta ad integrare la fattispecie in esame. La Corte denuncia il vizio di motivazione, l’insostenibilità di una consecutio logica che dal mero possesso di un pc induca al concreto pericolo di diffusione via web del materiale pedopornografico. Si tratta di una soluzione che segue le linee direttive già tracciate in altre occasioni dai giudici di legittimità, tuttavia ignora il dato della pronta reperibilità dei programmi in oggetto – scaricabili in pochi minuti in via assolutamente gratuita ed altrettanto celermente rimovibili dall’hard disk del personal computer -. La concretezza del pericolo i criteri sintomatici. L’esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale per la trasmissione del materiale pedofilo, i contatti pregressi con altri pedofili, l’utilizzo contemporaneo o differito di più minori per la produzione del materiale pornografico, i precedenti penali o altra sintomatologia atipica, atta a dimostrare la significatività delle condotte. Non sono sufficienti la maniacalità e l’attenzione nella catalogazione del materiale raccolto o il semplice deposito dei files in apposite cartelle accuratamente separate. Non configurabile il tentativo. Strutturalmente incompatibile il reato di pornografia minorile con il tentativo. La soluzione costituirebbe l’anticipazione dell’anticipazione della lesione del bene giuridico tutelato dalla norma, su un campo troppo scivoloso per essere investito dalle fermezze dell’accertamento delle responsabilità penali, ben oltre i canoni e le certezze richieste dalla verifica dell’offensività della condotta.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 giugno – 2 ottobre 2014, n. 40781 Presidente Squassoni – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 09/07/2012 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, all'esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato il sig. D.M.A. colpevole dei seguenti delitti commessi in omissis A del delitto di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 73 e 80, d.P.R. 309/90 cessione continuata di sostanza stupefacente del tipo cocaina in favore della minorenne D.N.V. B del delitto di cui agli artt. 81, cpv., 600-ter, cod. pen. realizzazione di esibizioni pornografiche filmando i rapporti sessuali intrattenuti con la minorenne D.N.V. ad insaputa della stessa D del delitto di cui all'art. 600-quater cod. pen. detenzione di materiale pedopornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18 unificati tutti i reati dal vincolo della continuazione, ritenuto più grave quello di cui al capo A della rubrica, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante di cui all'art. 80, d.P.R. 309/90, lo aveva condannato alia pena già ridotta per il rito di cinque anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, oltre statuizioni accessorie. 2. Con sentenza del 13/03/2013, la Corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza impugnata dall'imputato, ha concesso le attenuanti generiche ritenendole, unitamente alla già concessa circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, prevalenti sulla contestata aggravante di cui all'art. 80, d.P.R. 309/90, ed ha rideterminato la pena nella misura di tre anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa, rimodulando le statuizioni accessorie e confermando nel resto. 2.1. Per quanto qui di interesse, la vicenda riguarda i rapporti sessuali, completi e consenzienti, intrattenuti dall'imputato con la D.N. , all'epoca quindicenne, e dal primo video-ripresi. 2.2.In cambio della disponibilità ai rapporti, l'uomo aveva procurato alla ragazzina quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina che, secondo la rubrica, variavano nella misura di gr. 1, gr. 5, gr. 7, per volta. 2.3.In relazione a questi fatti all'imputato era stato contestato, tra gli altri, il reato di cui all'art. 600-ter, cod. pen. perché, in più occasioni, realizzava esibizioni pornografiche Filmando i rapporti sessuali intrattenuti con la minore, a insaputa della stessa”. 2.4. Nel superare le censure mosse alla sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza del pericolo richiesto dalla norma per l'integrazione del reato di cui all'art. 600-ter, cod. pen. tema specificamente affrontato dal giudice di prime cure , la Corte territoriale, nel condividere la ricostruzione fattuale della vicenda come operata dal giudice di prime cure e non senza aver rimarcato la assenza di specificità dei motivi di gravame, ha così argomentato a il reato di cui all'art. 600-ter, cod. pen., è reato di pericolo concreto b non sussiste alcun dubbio, alla stregua delle concordi dichiarazioni delle parti” sul fatto che l'imputato abbia video-ripreso, con il proprio telefonino, le prestazioni sessuali della minorenne, sia in auto che a casa, ad insaputa di quest'ultima c quando la ragazzina era venuta a sapere che l'imputato l'aveva ripresa, nonostante gli avesse chiesto la cancellazione dei video, l'uomo non lo aveva fatto d tali video erano stati scaricati nella memoria del computer, attraverso il quale estremamente agevole sarebbe stata la diffusione in rete” e la conservazione del video nella memoria del PC e la sua mancata distruzione in vista di un successivo uso, non escludeva la possibilità che tale uso potesse esulare da finalità esclusivamente personali ed estendersi alla sua diffusione in rete f lo stesso D.M. aveva dimostrato una elevata capacità di servirsi dello strumento elettronico per scaricare, come dallo stesso ammesso, materiale pedopornografico con bambini in età adolescenziale” g questa ammissione prova l'inserimento dell'imputato in un circuito di soggetti pedofili nei quali è estremamente facile non solo ricevere, ma anche fornire materiale pedopornografico del tipo di quello in possesso dell'imputato” h il D.M. , peraltro, non si era avvicinato al mondo della pedopornografia in modo occasionale, come dimostrato dal numero di video posseduti e dalla maniacalità con cui aveva provveduto a filmare i rapporti con la minorenne. 2.5. Nell'accogliere, invece, l'appello relativamente al profilo sanzionatorio, la Corte territoriale ha indicato la pena base nella misura di quattro anni e sei mesi di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, l'ha ridotta a quattro anni di reclusione ed Euro 15.000,00 di multa per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, l'ha aumentata, per la continuazione, a cinque anni di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, ulteriormente riducendola per il rito nei termini sopra indicati. 2.6. La Corte territoriale ha ritenuto di valorizzare, ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche negate dal primo giudice e del giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante di cui all'art. 80, d.P.R. 309/90, la sicura presa di coscienza delle proprie problematiche personali, che hanno indotto l'imputato ad intraprendere un percorso terapeutico finalizzato al recupero personale e ad evitare il ripetersi di fenomeni analoghi sulla cui gravità [non ha inteso] soffermarsi, risultando la stessa in re ipsa”. 3. Ricorre per Cassazione il D.M. articolando, per il tramite dei difensori di fiducia, i seguenti motivi di doglianza. 3.1. In primo luogo eccepisce, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 600-ter, cod. pen. a violazione di legge b travisamento del fatto, anche sulla determinazione della pena in concreto c manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. a Non v'è prova, sostiene il ricorrente, del pericolo concreto di diffusione delle immagini pedopornografiche ad una pluralità di destinatari b le considerazioni effettuate dalla Corte territoriale per superare le specifiche doglianze mosse, con l'atto d'appello, alla sentenza di primo grado fondano su una realtà fattuale completamente distorta e travisata. L'accertamento tecnico effettuato in sede di indagini preliminari, infatti, aveva verificato l'inesistenza di strumenti tecnici idonei alla creazione, trasmissione o scambio di materiale pedopornografico. Inoltre v'era un solo video attinente ad un unico rapporto con la D.N. ripreso con il telefonino e travasato sul PC, dal quale non erano state estrapolate che poche immagini riflettenti ragazze diverse dall'attuale vittima talune neanche coinvolte in condotte sessualmente esplicite le comunicazioni con la D.N. avvenivano esclusivamente via chat c in questo contesto probatorio, la motivazione della sentenza è del tutto apparente, contraddittoria ed illogica. 3.2. Con il secondo motivo lamenta l'assenza di motivazione in ordine alla rinnovata quantificazione della pena, di gran lunga superiore al minimo e prossima al massimo edittale di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. Non può assolvere a tale onere il richiamo ad una gravità in re ipsa”, formula, quest'ultima, evanescente, generica, criptica ed adattabile ad ogni ipotesi di reato, del tutto avulsa ed astratta dalla singolarità della fattispecie, caratterizzata dalla assenza di dati salienti sulla quantità della sostanza ceduta, del numero delle cessioni, del principio attivo, dalla peculiarità del contesto in cui tali cessioni erano avvenute. Tra l'altro, tale giudizio di gravità collide con la concessione delle circostanze attenuanti generiche e le ragioni che hanno ispirato tale decisione. Considerato in diritto 4. È fondato il primo motivo di ricorso. 5. Questa Suprema Corte ha già affermato che poiché il delitto di pornografia minorile di cui al primo comma dell'art. 600 ter cod. pen. - mediante il quale l'ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia - ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l'ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto Sez. U, n. 13 del 31/05/2000, Rv. 216337 . 5.1. È compito del giudice accertare di volta in volta la configurabilità del predetto pericolo, facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta quali l'esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale atta a corrispondere alle esigenze di mercato dei pedofili, il collegamento dell'agente con soggetti pedofili potenziali destinatari del materiale pornografico, la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione, anche telematica idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari, l'utilizzo contemporaneo o differito nel tempo di più minori per la produzione del materiale pornografico - dovendosi considerare la pluralità di minori impiegati non elemento costitutivo del reato ma indice sintomatico della pericolosità concreta della condotta -, i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando siano connotati dalla diffusione commerciale di pornografia minorile nonché gli altri indizi significativi suggeriti dall'esperienza Sez. U, 13/2000, cit. . 5.2. Poiché le nozioni di produzione e di esibizione contemplate nell'art. 600-ter, cod. pen., richiedono l'inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi, deve escludersi che un tale contesto organizzativo e di destinazione possa essere desunto esclusivamente dalla disponibilità di uno strumento oggi in possesso di chiunque, quale un computer solo perché il computer costituisce al pari di tanti altri un mezzo con cui le immagini potrebbero in astratto essere diffuse o condivise, tanto più se il computer è privo di programmi di scambio, condivisione o divulgazione di file così, in termini, Sez. 3, n, 17178 del 11/03/2010, Rv. 246982 . 5.3. Alla luce dei principi testé esposti, gli argomenti utilizzati dai giudici distrettuali a fondamento della ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 600-ter, cod. pen., appaiono insufficienti ed in parte contraddittori sia con l'affermata premessa la necessaria concretezza del pericolo di diffusione del materiale prodotto , sia con le acquisizioni probatorie di cui pure danno atto in sentenza e con il contesto in cui è maturata la condotta specificamente ascritta all'imputato. 5.4. La Corte territoriale, infatti, associa al rifiuto dell'imputato di cancellare i video dei rapporti sessuali con la minorenne l'intenzione di condividerli in rete piuttosto che per fini meramente personali, e trae questo convincimento dalla maniacalità con cui aveva provveduto ad effettuare le riprese e dal fatto che i relativi files erano stati scaricati sul PC nel quale il D.M. deteneva altro materiale pedopornografico reperito nel circuito dei pedofili nel quale egli era inserito. 5.5. Tuttavia, sono gli stessi giudici distrettuali a privare di consistenza la valenza indiziaria del possesso di materiale pedopornografico nella memoria del PC dell'imputato, dando atto della circostanza che questi non era in possesso degli strumenti tecnici e delle competenze necessarie a condividere in rete il materiale. 5.6. In ogni caso, sulla concreta inidoneità del PC dell'imputato, sottoposto ad accertamento tecnico nel corso della fase di merito, a condividere in rete il materiale pornografico in esso contenuto, la Corte adotta una motivazione insufficiente che non tiene conto del fatto che nemmeno la pubblica accusa aveva ritenuto di attribuire alla detenzione del materiale pedopornografico nella memoria del PC dell'imputato la valenza penale del più grave delitto di cui all'art. 600-ter, cod. pen 5.7. Il giudizio di concreta pericolosità di diffusione dei video effettuati dall'imputato si fonda, dunque, su considerazioni contraddittorie, che astraggono dallo specifico contesto in cui si inserisce la condotta del D.M. e che appaiono insufficienti alla luce delle indicazioni di principio fornite da questa Suprema Corte in materia. 5.8. La sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli perché riesamini la vicenda alla luce dei principi sopra indicati. 5.9. La fondatezza del primo motivo di ricorso, rende superfluo l'esame del secondo, relativo al trattamento sanzionatorio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.