Il reato continua, ma l’esito della messa alla prova no

In caso di continuazione esterna tra i reati giudicati e giudicandi, la sospensione del processo e la messa alla prova disposte per i primi non si estendono automaticamente ai secondi.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 40312, depositata il 29 settembre 2014. Il caso. Il Gip presso il Tribunale per i Minorenni, ritenuta la continuazione tra i due episodi di rapina aggravata per cui si procedeva e quello giudicato con sentenza tre anni prima dallo stesso Tribunale, dichiarava di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per intervenuta estinzione del reato conseguente all’esito positivo della messa alla prova. Il Procuratore generale presentava ricorso avverso il provvedimento di cui ne chiedeva l’annullamento poiché l’interpretazione analogica proposta dal giudicante trascurava di considerare che l’istituto della messa alla prova presuppone un percorso reale e non meramente ipotetico da parte del minore sottoposto alla valutazione dei Servizi sociali, sicché l’esito positivo non poteva automaticamente estendersi a fatti delittuosi contestati in un diverso procedimento, con conseguente dichiarazione di estinzione del reato, solo in forza della ravvisata continuazione tra i fatti. La messa alla prova non si applica automaticamente. Il ricorso è fondato. Difatti, come affermato in sede di legittimità, in caso di continuazione tra i reati giudicati e giudicandi, la sospensione del processo e la messa alla prova disposte per i primi non si estendono automaticamente ai secondi Cass., n. 46366/2012 . L’iter della messa alla prova. La ratio dell’istituto della messa alla prova sta nell’esigenza di assegnare al giudice il potere di valutare in concreto, con ampia discrezionalità, le prospettive di rieducazione e di inserimento del soggetto nella vita sociale Cass., n. 1600/1997 . Inoltre, l’istituto e l’eventuale sospensione del processo per controllare l’esito non può prescindere dalla redazione di uno specifico progetto idonea al raggiungimento dello scopo della socializzazione del minore. Al termine della prova spetta al giudice valutare l’esito della stessa e solo in caso positivo può pronunciare la sentenza di proscioglimento. Necessario un nuovo progetto o l’adeguamento di quello precedente. E’ d’altra parte pacifico in sede di legittimità che l’accertamento dei reati in un diverso procedimento, ossia nelle ipotesi di continuazione esterna, in relazione ai quali è già stata concessa la messa alla prova, non può non implicare un nuovo ed attuale giudizio prognostico sulla personalità del minorenne, essendo necessaria la previsione di un nuovo progetto o l’adeguamento di quello precedente. Cass., n. 46366/2012 . Il Tribunale, nel caso di specie, ha ritenuto estendibile la messa alla prova, già concessa in relazione ad un reato giudicato in un diverso procedimento penale. Tuttavia, l’unificazione di più reati sotto il vincolo della continuazione esterna non consente, a prescindere, l’estensione dell’istituto, essendo comunque necessari sia una nuova valutazione della personalità del minore, sia l’elaborazione di un nuovo progetto o, al più, l’adeguamento di quello precedente. Anziché limitarsi a rilevare la sussistenza del vincolo di continuazione fra i diversi fatti condizione che non determina l’automatica concessione della messa alla prova il giudice a quo avrebbe dovuto procedere ad una nuova valutazione della personalità dell’imputato, argomentando in modo espresso sulle prospettive di evoluzione positiva della personalità del minore, tenuto conto degli ulteriori reati posti in essere. In conclusione, la Cassazione specifica che la prognosi compiuta in relazione al reato giudicato con sentenza definitiva non può ritenersi adeguata a giustificare l’estensione della messa alla prova anche agli ulteriori reati in quanto trattasi di valutazione non attuale, perché operata in epoca cronologicamente antecedente , nonché compiuta sulla base di un quadro fattuale diverso, id est sulla base dei reati accertati fino ad allora e degli ulteriori fatti commessi, seppure in esecuzione del medesimo disegno criminoso . La Corte annulla l’impugnata sentenza e rinvia al Tribunale dei minori.

Corte di Cassazione, sez VI Penale, sentenza 8 luglio – 29 settembre 2014, n. 40312 Presidente Milo – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Pronunciandosi in sede di giudizio di rinvio a seguito della sentenza di annullamento della Corte di Cassazione del 4 marzo 2011 per difetto di motivazione sulle ragioni dell'estensione dell'esito positivo della messa alla prova a fatto criminoso oggetto di una diversa sentenza di condanna , con sentenza del 5 marzo 2013, il Gip presso il Tribunale per i Minorenni di Torino, ritenuta la continuazione tra i due episodi di rapina aggravata per cui si procede nel presente procedimento ex artt. 110 e 628, commi 1 e 3 n. 1, cod. pen. sub capi 1 e 2 e quello giudicato con sentenza del 9 dicembre 2009 dello stesso Tribunale, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di C.J. per intervenuta estinzione del reato conseguente all'esito positivo della messa alla prova. In particolare, il giudice a quo ha evidenziato come sussista il vincolo della continuazione fra i fatti di cui al presente procedimento e quello già giudicato nel diverso procedimento come un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme della legge processuale minorile, anche alla luce delle pronunce del giudice costituzionale che ha esteso le cause di estinzione del reato della sospensione condizionale della pena e del perdono giudiziale, in caso di continuazione fra fatto già giudicato e fatto sub iudice , imponga di estendere la messa alla prova, già concessa nel separato procedimento concernente il reato connesso, anche ai fatti oggetto del procedimento in oggetto. 2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso il Procuratore generale presso il Tribunale di Torino, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi 2.1. Violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b ed e , cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81 cpv cod. pen. e 29 d.P.R. n. 448/1988, rilevato che, in primo luogo, l'interpretazione recepita nel provvedimento impugnato era già stata confutata dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento della precedente decisione assunta dal Gip avente medesimo contenuto in secondo luogo, l'interpretazione analogica proposta dal giudicante trascura di considerare che l'istituto della messa alla prova presuppone un percorso reale e non meramente ipotetico o virtuale da parte del minorenne sottoposto alla valutazione dei Servizi Sociali, sicché l'esito positivo non può automaticamente estendersi a fatti delittuosi contestati in un diverso procedimento, con conseguente dichiarazione di estinzione del reato, soltanto in forza della ravvisata continuazione fra i fatti all'istituto in oggetto non possono invero estendersi i principi affermati dalla Suprema Corte in relazione al perdono giudiziale ed alla sospensione condizionale della pena, trattandosi di istituti fondati su presupposti diversi il giudice avrebbe piuttosto potuto applicare l'istituto del perdono giudiziale, tenuto conto della positiva conclusione della messa alla prova e dello svolgimento di un'attività lavorativa. 3. In udienza il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia accolto. 4. Nella memoria depositata in Cancelleria, l'Avv. M.G. Cetroni Ciraolo, difensore d'ufficio di C.J. , ha insistito perché il ricorso sia dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e va accolto. 2. In primo luogo, va rilevato come questa Corte abbia già avuto modo di pronunciarsi sul ricorso proposto dal Procuratore generale avverso la sentenza del 4 marzo 2011 del Gup presso il Tribunale per i minorenni di Torino, pronunciata nel medesimo procedimento con un identico dispositivo, con la quale gli effetti estintivi dell'esito positivo della messa alla prova disposta nel separato processo venivano estesi ai fatti sub iudice in quanto legati dal vincolo di continuazione con i fatti oggetto del primo. Nell'accogliere il ricorso del P.G. con la sentenza del 4 marzo 2011, questa Corte ha annullato con rinvio l'impugnata sentenza per difetto di motivazione, evidenziando che essa non motiva perché l'estinzione per esito positivo della messa alla prova concessa per un altro e diverso fatto criminoso debba riverberare i propri effetti estintivi su una diversa sentenza di condanna . 3. Ritiene il Collegio che l'impugnato provvedimento del Tribunale dei Minorenni di Torino, seppure non elude il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte laddove motiva puntualmente in ordine alle ragioni della disposta estensione ai fatti oggetto di giudizio dell'effetto estintivo conseguente dalla messa alla prova disposto in separato procedimento , nondimeno addivenga a conclusioni che non possono essere condivise. 3.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in caso di continuazione tra reati giudicati e giudicandi, la sospensione del processo e la messa alla prova disposte per i primi non si estendono automaticamente ai secondi Cass. Sez. 2, n. 46366 del 08/11/2012, P.M. in proc. C, Rv. 255068 . Nell'ampia motivazione di tale pronuncia, si è precisato che, ai fini della concessione della messa alla prova, e dunque prima che essa abbia inizio, il giudice deve effettuare una prognosi di positiva evoluzione della personalità del minore la ratio dell'istituto, infatti, va individuata nell'esigenza di assegnare al giudice il potere di valutare in concreto, con ampia discrezionalità, le prospettive di rieducazione e di inserimento del soggetto nella vita sociale Cass. Sez. 5, n. 1600 del 07/04/1997, Rv. 208249 . Tale potere è ampiamente discrezionale, ma il suo esercizio deve essere sorretto da congrua e logica motivazione, che evidenzi l'esistenza di elementi idonei per il suddetto giudizio prognostico che si deve basare sul tipo di reato commesso, sui motivi a delinquere, sulle modalità esecutive - nel senso che l'illecito non sia espressione di una scelta di vita, ma manifestazione di un disagio temporaneo dell'adolescente, il quale abbia attitudine ad orientare positivamente la propria esistenza - sui precedenti penali del reo, sull'esame del carattere e della personalità e su quanto altro sia utile per il raggiungimento di tale giudizio, nella loro dinamica evolutiva, attraverso indici ritenuti significativi in forza di affidabili massime di esperienza vagliate anche alla luce di consolidate acquisizioni delle discipline psicopedagogiche Cass. Sez. 1, n. 2554 del 09/02/1993, Franzè, Rv. 194044 Cass. Sez. 1, n. 3384 del 07/07/1994, Rv. 199276 . 3.2. Ai sensi del D.Lgs. n. 272 del 1989, art. 27, comma 2, lett. c , perché il periodo di prova sia costruttivo e raggiunga il fine del reinserimento del minore nella vita della collettività, il Giudice avendo come base un progetto di intervento elaborato dai servizi minorili della amministrazione della giustizia in collaborazione con i servizi socio-assistenziali redige un progetto di intervento, comprensivo delle specificate modalità della sua attuazione, nel quale devono essere chiari, concreti e precisi, gli impegni che il minore assume dal momento della sospensione del processo, l'imputato è vincolato ad un itinerario di cambiamento imperniato sul progetto ed è aiutato, nel cammino di maturazione, dal sostegno dei servizi. In tale contesto normativo, è evidente che l'istituto della messa alla prova e la relativa sospensione del processo per controllarne l'esito, non può prescindere dalla redazione di uno specifico progetto che deve essere idoneo a raggiungere lo scopo della socializzazione del minore. Tale progetto deve prevedere gli impegni precisi che l'imputato assume in quanto il patto sottostante al probation implica, di fronte alla rinuncia dello Stato a proseguire il processo, l'impegno positivo dello incolpato di cambiamento e recupero Cass. Sez. 3, n. 43968 del 19/10/2005, non massimata . Al termine della prova, al giudice spetta valutare l'esito della stessa, tenendo conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, e solo in caso positivo potrà pronunciare la sentenza di proscioglimento. L'istituto in questione, infatti, postula l'avvio di una rimeditazione critica del proprio passato e la disponibilità ad un costruttivo inserimento nella vita della collettività Cass. Sez. 1, n. 10962 8/7/1999, Cherchi, Rv. 214373 . Nella stessa sentenza n. 46366/2012 sopra citata, questa Corte - dopo avere premesso quanto sopra - ha osservato che, in linea di principio, nulla osta a che uno stesso periodo di messa alla prova possa essere utilizzato per reati oggetto di procedimenti diversi oppure per reati avvinti dal vincolo della continuazione ex art. 81 cod. pen., comma 2, ancorché questi ultimi siano giudicati in procedimenti distinti, come è accaduto in questo caso. Tuttavia, il giudice non può limitarsi ad affermare la continuazione fra reati accertati in giudizi diversi e computare il pregresso periodo di messa alla prova al fine di dichiarare l'estinzione di ulteriori reati. Il ricorso allo istituto di cui all'art. 28 D.P.R. n. 448/1988 postula ogni volta, da un lato, un nuovo giudizio positivo in ordine alla opportunità di sottoporre il minore ad un periodo di osservazione in esito al quale si valuta la sua rieducazione e l'evoluzione della sua personalità verso modelli socialmente adeguati dall'altro, l'elaborazione del progetto di intervento, predisposta dai servizi sociali ma sul quale il giudice ha potere di ottenere integrazioni e modifiche intese a rendere ammissibile l'accesso al meccanismo. Come si evince da tale disciplina, la discrezionalità del giudice nel concedere il beneficio in questione, al quale consegue il rilevante effetto estintivo del reato, incontra un limite ineludibile nell'esistenza di una prognosi di positiva evoluzione della personalità del minore e nella redazione di un progetto che sia idonea al conseguimento di tale obiettivo. Se ne inferisce che il riconoscimento della continuazione fra reati oggetto di diversi procedimenti non può di per sé solo giustificare l'estensione della precedente messa alla prova. 3.3. Tale conclusione è, del resto, perfettamente allineata ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che - definitivamente superata la concezione del reato continuato in termini di unitarietà ontologica e riconosciutane un'unità solo fittizia quoad poenam - si è consolidata nel senso di ritenere che il reato continuato si configura quale particolare ipotesi di concorso di reati che va considerato unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente previsti, la considerazione unitaria può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo, così rispondendo alla ratio di favor rei dell'istituto in oggetto Cass. Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008, Chiodi, Rv. 241755 . In tutti gli altri casi, il reato continuato va inteso come una pluralità di reati, dovendosi recuperare l'autonomia che i singoli reati hanno sul piano naturalistico, in quanto la considerazione scissa assicura un trattamento più favorevole al reo Cass. Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008, Chiodi, Rv. 241755 . Applicando i suddetti principi - anche prima del citato arresto delle Sezioni Unite -, questa Corte di legittimità ha ritenuto che i reati avvinti dal vincolo della continuazione sono da considerare come un'unità fittizia anche ad altri limitati effetti, come, ad esempio, ai fini della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena ex plurimis Cass. Sez. 1, n. 24571, Rv. 243819 . Alla stregua della suddetta giurisprudenza, nulla impedisce, in linea di massima, che i reati avvinti dal vincolo della continuazione soprattutto se interna possano essere considerati unitariamente anche ai fini della concessione della messa in prova, determinando l'unitarietà un effetto più favorevole per il reo, ossia l'estinzione del reato. Tuttavia, l'accertamento di altri reati in un diverso procedimento - e, quindi, nelle ipotesi di continuazione esterna - benché commessi in continuazione con quelli in precedenza giudicati ed in relazione ai quali è stata già concessa la messa alla prova, non può non implicare un nuovo ed attuale giudizio prognostico sulla personalità del minorenne, come espressamente richiesto dall'art. 28, d.P.R. n. 448 del 1988, giudizio che - in caso di valutazione positiva - può condurre o all'elaborazione di un progetto di intervento ex novo, che tenga conto delle specificità del reato contestato, oppure, in un'ottica di valorizzazione dell'unitarietà del reato, all'integrazione del progetto già portato a termine con successo la scelta è discrezionalmente affidata al giudice, purché sul punto renda motivazione congrua e logica Cass. Sez. 2, n. 46366 del 08/11/2012, P.M. in proc. C, Rv. 255068 . 4. Tornando al caso di specie, ritiene il Collegio che il Tribunale piemontese non abbia fatto buon governo dei superiori principi laddove ha ritenuto estendibile la messa alla prova, già concessa in relazione ad un reato giudicato in un diverso procedimento penale, ai reati sub iudice ancorché commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Per quanto si è appena chiarito, l'unificazione tra più reati in virtù della continuazione esterna non consente ex se l'estensione dell'istituto, ma sono comunque necessari una nuova valutazione della personalità del minorenne e l'elaborazione di un nuovo progetto o, quantomeno, l'adeguamento di quello precedente. Anziché limitarsi a rilevare la sussistenza del vincolo di continuazione fra i diversi fatti - di per sé insuscettibile di consentire un'automatica concessione della messa alla prova -, il giudice a quo avrebbe dunque dovuto procedere anche ad una nuova valutazione della personalità dell'imputato, argomentando in modo espresso sulle prospettive di positiva evoluzione della personalità del minore, tenuto conto della commissione degli ulteriori reati quelli appunto sub iudice , in precedenza non conosciuti. Per quanto si è sopra chiarito, l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 28 D.P.R. n. 448/1988 impone una prognosi di positiva evoluzione della personalità del minore, prognosi che deve essere attuale e tenere conto del quadro completo delle condotte criminose poste in essere dal medesimo. Ne discende che la prognosi compiuta in relazione al reato ormai giudicato con sentenza definitiva non può ritenersi adeguata a giustificare l'estensione la messa alla prova anche agli ulteriori reati sub iudice , in quanto trattasi di valutazione non attuale, perché operata in epoca cronologicamente antecedente, nonché compiuta sulla base di un quadro fattuale diverso, id est sulla base dei reati accertati fino ad allora e degli ulteriori fatti commessi, seppure in esecuzione del medesimo disegno criminoso. 5. La sentenza, va, pertanto, annullata con trasmissione degli atti al Tribunale per i Minorenni di Torino in diversa composizione che, nel decidere, si adeguerà al suddetto principio di diritto. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale per i Minorenni di Torino in diversa composizione.