Dove l’Agenzia presume, il giudice penale non può dedurre

Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 40211, depositata il 29 settembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Torino condannava un imputato per il reato ex art. 4 d.lgs. n. 74/2000 dichiarazione infedele . L’uomo ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di aver basato la decisione sul fatto che egli non avesse smentito le presunzioni fiscali dell’Agenzia delle Entrate circa la natura di ricavi di due accrediti uno del gennaio 2005 e l’altro del giugno dello stesso anno , imputati ad un determinato anno d’imposta, il 2004. In realtà, l’imputato non contestava la natura di ricavi, ma solo l’imputazione a quel determinato anno piuttosto che ad altri. La Corte di Cassazione sottolinea che la responsabilità del ricorrente era stata fondata su presunzioni che, anche se valide a fini fiscali, non lo erano a fini penali. Il valore delle presunzioni dell’Agenzia delle Entrate. Infatti, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa. I giudici di merito, invece si erano limitati ad affermare che la presunzione di riferibilità per il 2004 delle operazioni contestate non era arbitraria, essendo coerente con le normali tempistiche del settore di riferimento, specialmente riguardo alla specificità dei pagamenti. Ciò, però, poteva valere per il primo accredito, di gennaio 2005, mentre era assai dubbio per il secondo del giugno 2005. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, e, intervenuta nel frattempo la prescrizione del reato, annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 maggio – 29 settembre 2014, n. 40211 Presidente Squassoni – Relatore Aceto Ritenuti in fatto 1. Con sentenza del 28/02/2013, la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza del 20/09/2011 con la quale il Tribunale di quella stessa città aveva dichiarato il sig. P.E. colpevole del delitto di cui all'art. 4, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 commesso il 31/10/2005 e lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di otto mesi di reclusione, oltre statuizioni accessorie. 2. Ricorre per Cassazione l'imputando eccependo, per il tramite del difensore di fiducia, erronea applicazione della legge penale, nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte territoriale, lamenta, ha errato nel confermare il ragionamento del giudice di prime cure che aveva ritenuto decisiva la circostanza che egli non aveva smentito le presunzioni dell'Agenzia delle Entrate circa la natura di ricavi delle somme recuperate a tassazione, attribuendo a tale comportamento il senso dell'acquiescenza anche alla loro riconducibilità all'anno di imposta 2004 così facendo - continua - è stata operata una sostanziale inversione dell'onere della prova. Considerato in diritto 3. II ricorso è fondato. 4. Si contesta all'imputato, titolare di omonima impresa familiare, di aver indicato nella dichiarazione dei redditi conseguiti nell'anno di imposta 2004, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, con evasione della relativa imposta nella misura di € 124.227,00. 4.1. L'accusa si fonda sull'accertamento fiscale condotto dall'Agenzia delle Entrate che aveva rilevato l'esistenza di consistenti flussi di danaro provenienti dall'estero, recanti come causale servizi pubblicitari oppure compensi di mediazione , non dichiarati dal contribuente, titolare di impresa importatrice di bevande alcoliche provenienti in gran parte dalla Francia. 4.2.11 cuore della questione posta con l'odierno ricorso riguarda non tanto la natura di ricavo di impresa dei suddetti flussi di danaro, quanto la loro effettiva imputabilità all'anno di imposta 2004, piuttosto che ad altri anni, ed attiene in particolare a due accrediti rispettivamente del 14/01/2005 e del 15/06/2005 che, all'esito del contraddittorio con il contribuente e in base ai documenti da lui stesso forniti, l'amministrazione finanziaria, avvalendosi delle presunzioni fiscali di cui all'art. 32, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ha ritenuto di poter imputare a ricavi non dichiarati del 2004, con conseguente superamento della relativa soglia di rilevanza penale della condotta. 4.3.Osserva questa Suprema Corte che sia il giudice di prime cure che la Corte di appello che alla motivazione del primo rimanda hanno errato nel ritenere senz'altro provata la riconducibilità di tali ricavi all'anno d'imposta 2004 sulla base della documentazione fornita dall'imputato all'Agenzia delle Entrate in sede di contraddittorio. In questo modo, di fatto, l'affermazione di responsabilità penale si è basata su presunzioni che, ancorché valide a fini fiscali, non lo sono a fini penali. 4.4.Come condivisibilmente affermato da Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, Piccolo, Rv. 254853, fermo il loro mero valore indiziario, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa, sez. 3, Sentenza n. 5490 del 26/11/2008, Crupano, Rv. 243089 Conformi sentenza n, 8445 del 1991 Rv. 188010, n. 21213 del 2008 Rv. 239984 sez. 3, 18/05/2011 n. 36396, Mariutti, RV 251280 & gt & gt . 4.5.La spiegazione fornita dalla Corte territoriale, secondo la quale la presunzione di riferibilità di dette operazioni all'anno 2004 non è arbitraria ma appare coerente con le normali tempistiche del settore commerciale, specie con riferimento alla periodicità dei pagamenti , se può essere sufficiente per l'accredito del 14/01/2005, non lo è per quello dei mese di giugno 2005, la cui riconducibilità al periodo di imposta 2004 si fonda sull'esistenza di pratiche commerciali che non è provato fossero seguite nei rapporti con i fornitori stranieri dell'impresa e comunque la sentenza non ne dà conto . 4.6.Ne consegue che la sentenza deve essere annullata. 4.7.Si tratta di annullamento senza rinvio perché il reato è medio tempore estinto per intervenuta prescrizione, maturata, in assenza di sospensione dei decorso del termine, alla data del 30/04/2013. 4.8.In mancanza della prova evidente dell'innocenza dell'imputato, il reato deve essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la impugnata sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.