Rapina minimal, spaccio di hashish, ma nessun lavoro: sequestrati i 16mila euro trovati a casa

Sospetto il ‘tesoretto’ rinvenuto nell’abitazione di un uomo, condannato per il ‘colpo’ a un supermercato e per la detenzione, a fini di spaccio, di sostanza stupefacente. Decisiva, però, non è la ‘produttività’ delle due attività criminose, bensì la constatazione della disoccupazione dell’uomo.

Rapina da bulletto di periferia, con un bottino esiguo, certo, ma, allo stesso tempo, consolidata operatività come spacciatore di hashish, e, soprattutto, nessuna attività lavorativa assolutamente logica, quindi, la confisca della sostanziosa somma di denaro – oltre 16mila euro! – rinvenuta a casa dell’uomo, condannato per rapina aggravata” e detenzione di hashish a fine di spaccio”. Cassazione, sentenza numero 8031, seconda sezione penale, depositata oggi ‘Tesoretto’. Dura la pena inflitta a un uomo, ritenuto responsabile dei delitti di rapina aggravata e detenzione di hashish a fine di spaccio giudici di primo e di secondo grado si son mostrati concordi, stabilendo quattro anni di reclusione e 1.000 euro di multa . Nessun dubbio, quindi, sulla colpevolezza dell’uomo. Anche se egli contesta comunque la decisione emessa in Corte d’Appello, criticando, da un lato, la validità probatoria del riconoscimento a suo carico nel corso della rapina ai danni di un supermercato, e, dall’altro, la confisca della somma di denaro, 16.525 euro rinvenuta a casa dell’uomo, praticamente un ‘tesoretto’, ma, a suo dire, non catalogabile come provento della rapina . Confisca. Assolutamente irrilevante, innanzitutto, viene valutata, dai giudici del ‘Palazzaccio’, l’obiezione sulla validità del riconoscimento dell’uomo, riconoscimento che poi ha portato alla condanna. Per quanto concerne la confisca degli oltre 16mila euro rinvenuti a casa dell’uomo, tale misura viene ritenuta congrua dai giudici del ‘Palazzaccio’, soprattutto perché essa è stata rapportata non solo, e non tanto, al denaro rapinato – di entità, per la verità, modesto –, ma al profitto conseguente allo spaccio di sostanze stupefacenti . Tale valutazione è pertinente , sanciscono i giudici, anche tenendo presente il fatto che l’uomo non aveva una stabile attività lavorativa, e quindi un reddito che potesse giustificare l’entità della somma sequestrata e confiscata .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 – 20 febbraio 2014, n. 8031 Presidente Petti – Relatore Iannelli C.A., già condannato in abbreviato con doppia conforme - sentenze del gip del tribunale di Ivrea in data 21.1.2013 e corte di appello di Torino del 20.5/8.6.2013 - alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 1.000,00 di multa, per i delitti, in continuazione di rapina aggravata e detenzione di haschis al fine di spaccio ex artt. 81 cpv, 628 1 r 3 comma n. 1 c.p. e 73 comma 1 bis DPR n. 309/1990, ricorre avverso la seconda decisione, reiterando, con il richiamo all'art. 606 lett. b ed e codice di rito, due dei già proposti motivi di appello da un lato, carenza di motivazione in ordine all' insufficiente riconoscimento nel corso della rapina da parte di un teste dell' imputato, il cui volto sarebbe stato coperto da un passamontagna, dall'altro illegittimità della confisca della somma di denaro di euro 16.525,00, sequestrata in casa del prevenuto, per carenza di prova in merito al fatto che la stessa fosse provento della rapina. Il ricorso non è fondato. Invero il giudice di merito con riferimento alla validità del riconoscimento fotografico, prima, ed in sede di ricognizione personale, dopo, ha indicato gli elementi di fatto e le ragioni che ne hanno motivato l'appressamento ai fini del giudizio. Nella sentenza impugnata è stato ancora una volta ribadito che il passamontagna non copriva del tutto il volto, lasciando scoperta la parte compresa tra il labbro superiore e gli occhi, che la teste conosceva di vista già il rapinatore per averlo visto nei giorni precedenti frequentare il supermercato rapinato, al riconoscimento in fotografia era seguita la ricognizione con certezza. Il dato, aggiungono i giudici di merito, era corroborato dall' accertamento che, in contraddizione con quanto dichiarato dall' imputato e da due testi compiacenti, il prevenuto non era stato in tutto il pomeriggio a casa di queste ultime, che il telefonico del prevenuto era stato spento proprio per il tempo utilizzato per la rapina. Del tutto congrua anche se sintetica la conferma della confisca di tutta la somma sequestrata nella misura in cui essa è stata rapportata non solo e non tanto al denaro rapinato, di entità per la verità modesto, ma al profitto conseguente allo spaccio di sostanze stupefacenti. Rilievo giudiziale questo del tutto pertinente se associato al fatto ammesso peraltro dall'imputato, di non avere una stabile attività lavorativa e quindi un reddito che potesse giustificare l'entità della somma sequestrata e confiscata. Peraltro lo stesso ricorrente non contesta certo la attività di spaccio, ma contesta che da una attività di spaccio al minuto sia possibile acquisire la somma rinvenuta in suo possesso. Il rilievo non coglie nel segno traducendosi in una censura di merito l'ammessa sia pur in termini modesti attività di spaccio legittimava il giudice a disporre la confisca, la motivazione della cui decisione in merito trova un solido riscontro nell'ammissione della assenza di una concreta attività lavorativa del prevenuto. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l'imputato che lo ha proposto, deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.