Omesso versamento di ritenute: quando la crisi d’impresa esclude la penale rilevanza

Può essere esclusa la colpevolezza dell’imprenditore che omette di versare le ritenute operate, se non dispone della provvista necessaria per aver utilizzato le sole risorse finanziarie disponibili per pagare gli stipendi ai dipendenti. In tale caso l’onere probatorio o meglio di allegazione della situazione di insolvenza incombe sull’imputato.

Questo il principio di diritto statuito dalla III Sezione Penale della Cassazione. Con la stessa sentenza n. 5905 del 7 febbraio 2014, la Cassazione ha, altresì, affermato La forza maggiore può escludere la punibilità del reato di cui all’art. 10 bis nel caso di una imprevista ed imprevedibile indisponibilità del denaro necessario, non correlata in alcun modo alla condotta gestionale dell’imprenditore . I reati di omesso versamento e la crisi d’impresa Nell’attuale contesto di difficoltà economica la problematica dei rapporti tra le fattispecie di cui agli artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000 e la situazione di dissesto se non di insolvenza vera e propria dell’impresa costituisce senza dubbio una delle tematiche più attuali e discusse del diritto penale tributario. Come noto, l’introduzione di dette fattispecie criminose tra il 2004 e il 2005 avvenne – in controtendenza rispetto alla spirito originario del d.lgs. 74/2000, volto a sanzionare solo condotte decettive in danno dell’amministrazione finanziaria dello Stato – onde arginare l’omesso versamento di IVA e di ritenute certificate al di sopra del tasso soglia di € 50.000,00 annui entro un dato termine, che ormai era divenuto un vero e proprio modo per le imprese di autofinanziarsi in danno dello Stato. Oggi tuttavia, in un contesto economico radicalmente mutato, sempre più di frequente gli imprenditori incorrono in tali fattispecie di reato in conseguenza di obbiettive situazioni di difficoltà economica, che impediscono all’imprenditore di fare fronte all’obbligazione assunta nei confronti dell’Erario. La questione viene dunque ormai quotidianamente portata all’attenzione dei giudici di merito e, da ultimo, anche della Suprema Corte. Sotto il profilo tecnico giuridico, infatti, le difese, trovandosi di fronte a fattispecie che non richiedono il dolo specifico di evasione, ormai sistematicamente riconducono la crisi di liquidità alla circostanza, che esclude la punibilità, della forza maggiore ovvero alla mancanza di volontarietà della condotta e, dunque, al difetto di colpevolezza e nel dettaglio di dolo. Le prime aperture giurisprudenziali di merito Di fronte alle sempre più frequenti sollecitazioni delle difese ed anche verosimilmente all’eco mass-mediatico di numerosi casi di imprenditori in difficoltà a fronte della sempre crescente pressioni tributaria, si sono registrate alcune aperture della giurisprudenza prima di merito, poi di legittimità. Già nel 2011 il Tribunale di Milano affermò che non risponde del delitto di cui all’art. 10 bis d.lgs. 74/2000, per mancanza dell’obbligo giuridico di adempiere, ovvero per inesigibilità della condotta determinata da causa di forza maggiore con conseguente esclusione del reato sotto il profilo oggettivo, il liquidatore di una società decotta che, nominato un mese prima della scadenza del termine ultimo per il versamento, non adempie per carenza di liquidità Trib. Milano 28 aprile 2011 . Successivamente fu la volta del G.I.P. del Tribunale di Milano a riconoscere la non colpevolezza di un imprenditore accusato di omesso versamento, stante l’avvenuta emissione in danno dalla società di un decreto ingiuntivo di rilevante importo G.I.P. Trib. Milano n. 2818/2012 . Fu poi il Tribunale di Firenze a reputare carente di elemento soggettivo il caso dell’imprenditore costretto ad evadere a causa della grave crisi di liquidità G.I.P. Trib. Firenze, 10 agosto 2012 ed ancora il G.I.P. del Tribunale di Milano, in due occasioni 19 settembre 2012 e 7 gennaio 2013 , ad escludere il dolo del reato di omesso versamento di ritenute, nel caso di mancanza di liquidità dovuta a gravi e non prevedibili inadempimenti da parte di Enti pubblici. Avverso tali aperture era, per contro, giunta la voce del Tribunale di Roma che in due occasioni 07 maggio 2013 e 12 giugno 2013 aveva escluso che la crisi economica dell’imprenditore potesse di per sé incidere sulla configurazione in concreto della colpevolezza dell'omissione e del dolo punibile, oppure in funzione di causa scriminante. Invero, secondo il giudice della capitale la destinazione delle risorse finanziarie ad uno scopo diverso dai versamenti tributari è il frutto di una scelta consapevole, anche quando ricorra la crisi economica dell'impresa, che privilegia creditori o fornitori diversi dall'erario, in diretta e deliberata violazione del precetto penale. e quelle di legittimità. In un simile contesto, evidente era l’attesa di una pronuncia da parte della Suprema Corte su tali questioni. La prima occasione è rappresentata dalle pronunce a Sezioni Unite n. 37424/2013, in tema di omesso versamento IVA, e n. 37425/2013, in tema di omesso versamento di ritenute entrambe in DeG del 13 settembre 2013 , ove si è affermato che non può essere invocata l’assenza di liquidità, qualora non si dimostri che essa non sia dipesa dalla scelta di non fare fronte all’adempimento. Si è così assistito – seppur come obiter dictum – ad una prima apertura sul fronte dell’elemento soggettivo. Successivamente la pronuncia del 21 gennaio 2014 n. 2614/2014 in DeG del 22 gennaio 2014 , interessata sulla specifico tema, ha affermato che per la commissione del reato basta la coscienza e la volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato e che la prova del dolo è insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale. Tale pronuncia riconosce però che indicazioni specifiche e concrete atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all'adempimento possono escludere il dolo e, dunque, il reato. La questione viene ulteriormente approfondita dalla pronuncia n. 5467/2014 in D& amp G del 05 febbraio 2014 , in cui si afferma che, nei casi di mancato versamento, non si può escludere in astratto l’assenza di dolo o l’assoluta impossibilità di assolvere all’obbligazione tributaria per la crisi di liquidità. Occorre, però, provare la non imputabilità al contribuente della crisi e che detta crisi non può essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, a idonee misure, sempre da valutarsi in concreto. La sentenza in commento. È dunque in tale contesto giurisprudenziale che si inserisce la pronuncia in commento. Il ricorrente nei due gradi di giudizio di merito aveva giustificato il proprio omesso versamento di ritenute certificate affermando che, in presenza di una grave situazione di insolvenza, aveva preferito corrispondere ai propri dipendenti lo stipendio e non versare le sole ritenute. La Corte di appello per contro ne aveva ritenuto la penale responsabilità in quanto pagate le retribuzioni nette [il fatto che] l’appellante non abbia avuto disponibilità per i versamenti delle ritenute è cosa priva di rilievo”. Al fine di vagliare il ricorso, la Corte prende le mosse dalla possibile rilevanza dalla esimente della forza maggiore di cui all’art. 45 c.p., per affermare che non è possibile in assoluto escludere che l’omissione di cui all’art. 10 bis d.lgs. 74/2000 possa derivare in toto proprio da una causa di forza maggiore, cioè da un evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente. Tenuto conto, dunque, del dettato normativo della norma, la forza maggiore potrebbe ravvisarsi solo nel caso di una imprevista ed imprevedibile indisponibilità del necessario denaro, non correlata in alcun modo alla condotta gestionale dell’imprenditore”. Tuttavia, nel caso di specie, osserva la Corte, quanto il ricorrente ha dedotto è correttamente riconducibile alla carenza dell’elemento soggettivo più che alla figura della vis maior . Passando dunque alla disamina dell’elemento soggettivo, gli Ermellini prendono le mosse proprio dalla apertura” derivante dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 37425/2013, secondo cui, allorchè non si sia verificata alcuna scelta inidonea a non fare debitamente fronte agli obblighi, ben può difettare la coscienza e volontà di omettere i versamenti. Nel dettaglio del caso di specie, osserva la Corte, hanno errato i giudici d’appello nell’affermare l’irrilevanza di una crisi di liquidità che abbia indotto l’imprenditore a scegliere di pagare le retribuzioni ai dipendenti in luogo di versare le ritenute. Se infatti, proseguono gli ermellini, l’imprenditore si è trovato in una situazione di insolvenza per aver pagato gli stipendi tale da impedirgli di pagare le ritenute operate può essere esclusa la sua colpevolezza, non avendo il medesimo compiuto l’omissione con coscienza e volontà. Tuttavia, precisa la Corte, in tale caso è evidente che è all’imputato stesso che spetta non l’onere della prova in senso stretto non essendo possibile dimostrare – se non con probatio diabolica – un elemento negativo se non è convertibile in specifici elementi positivi da cui desumerlo , quanto uno specifico onere di allegazione alla A.G. di elementi volti a dimostrare la sua assenza di dolo, idonei ove verificati a volgere il giudizio in suo favore. Poiché il giudice d’appello ha omesso di valutare le allegazioni dell’imputato ed in particolare di verificare l’incidenza di una situazione di insolvenza derivante dalla scelta di pagare le retribuzioni ai dipendenti anziché versare le ritenute, come allegata dal ricorrente, il ricorso viene accolto e la sentenza annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze. Quid iuris per le ritenute previdenziali? La pronuncia che si annota merita sicuro plauso per essere finalmente aderente ai principi costituzionali di una responsabilità penale personale e colpevole, e potrebbe aprire interessanti prospettive anche in tematiche del tutto affini e assimilabili alla presente quale, in primis , l’omesso versamento di ritenute previdenziali quota carico dipendenti”. La pronuncia in commento, infatti, potrebbe finalmente mettere in discussione il principio consolidato – dopo la pronuncia a Sezioni Unite n. 27641/2003 – secondo cui, in tema di omesso versamento di ritenute previdenziali, lo stato di insolvenza del datore di lavoro può avere rilevanza solo laddove sia stato tale da impedire il pagamento ai dipendenti delle correlative retribuzioni, mentre alcuna rilevanza ha laddove l’imprenditore abbia comunque pagato le retribuzioni ed omesso il solo versamento delle ritenute previdenziali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 ottobre 2013 - 7 febbraio 2014, numero 5905 Presidente Squassoni – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 22 ottobre 2010 la Corte d'appello di Firenze, a seguito di appello proposto da M.R. avverso sentenza del 16 settembre 2009 con cui il Tribunale di Lucca lo aveva condannato alla pena di quattro mesi di reclusione per il reato di cui all'articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 - perché in qualità di legale rappresentante di s.r.l. non versava entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare complessivo di Euro 85.451, e ciò fino al 31 ottobre 2005 -, in parziale riforma riduceva la pena ad un mese di arresto. 2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo due motivi. Il primo afferma che l'imputato deve essere assolto perché il fatto all'epoca non era previsto come reato, essendo la fattispecie di cui all'articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 entrata in vigore il 1 gennaio 2005 e non potendosi quindi applicare - come sostiene la miglior dottrina , e come ritenuto da una giurisprudenza di merito citata nel motivo - agli omessi versamenti relativi a ritenute effettuate nel 2004 e non versate entro il termine di presentazione della dichiarazione di sostituto d'imposta, cioè il 31 ottobre 2005 per il modello 770 ordinario. Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 10 bis d.lgs. 74/2000 e 45 c.p. per avere ritenuto la corte irrilevante la mancata disponibilità economica dell'imputato per i versamenti dopo avere pagato le nette retribuzioni. Si tratta infatti di delitto che esige il dolo, e quindi che il mancato versamento dipenda dalla volontà dell'agente ma non si può prescindere dall'applicazione dei principi generali del diritto penale tra cui l'articolo 45 c.p. in ordine alla non punibilità di chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore il che, al contrario di quanto reputato dalla corte territoriale, rende rilevante il fatto che l'appellante non abbia avuto disponibilità per i versamenti di ritenute , tenuto conto altresì del notevole lasso di tempo tra la maturazione delle ritenute e il termine per il versamento. Il reato essendo poi omissivo, non si tratta di giustificare un'azione prevista dalla legge come reato e come tale scriminabile solo in presenza delle tipizzate causa di giustificazione , bensì di eventualmente escludere l'illegittimità penale dell'omissione per impossibilità materiale oggettiva o soggettiva di porre in essere l'azione imposta dalla norma . Lo comprova il fatto che l'articolo 641 c.p. non punisce chi non paga i propri debiti ma chi contrae un'obbligazione col proposito di non adempierla. Sia in dottrina sia in giurisprudenza di merito si riscontrano interpretazioni nel senso che, in situazione di crisi di liquidità tale da rendere impossibile il versamento delle ritenute, non sia configurabile il dolo in relazione al principio ad impossibilia nemo tenetur . Considerato in diritto 3. Il ricorso è parzialmente fondato. 3.1 Per quanto concerne il primo motivo, deve darsi atto che la questione suscitata dall'articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 sotto il profilo della necessaria irretroattività della fattispecie penale ivi introdotta è stata, all'esito di un dibattito forse più dottrinale che giurisprudenziale, risolta dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte che, con la sentenza del 28 marzo 2013 numero 37425, Favellato, relativa proprio all'articolo 10 bis d.lgs. 74/2000, hanno affermato che il reato di omesso versamento di ritenute certificate art. 10-bis D.Lgs. numero 74 del 2000 , entrato in vigore il 1 gennaio 2005, che punisce il mancato adempimento dell'obbligazione tributaria entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta relativa all'esercizio precedente, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all'anno 2004, senza che ciò comporti violazione del principio dì irretroattività della norma penale . Alla esclusione della violazione del principio di irretroattività della legge penale, che ha comportato la copertura da parte della fattispecie penale in esame anche del periodo di imposta del 2004, le Sezioni Unite sono pervenute svolgendo un approfondito ragionamento in ordine al rapporto tra l'illecito amministrativo, preesistente alla fattispecie penale, di cui all'articolo 13, comma 1, d.lgs. 471/1997 - che non è stato abrogato e sanziona l'omesso versamento, alle previste scadenze mensili, delle ritenute alla fonte - e la fattispecie penale di cui appunto all'articolo 10 bis d.lgs. 74/2000, norma quest'ultima che ha introdotto una specifica fattispecie penale, ruotante sì nell'ambito dello stesso fenomeno omissivo ma ancorata a presupposti fattuali e temporali nuovi e diversi . Non si configura, pertanto, una successione di norme sanzionatorie, bensì una tematica di eventuale concorso apparente di norme, che non riguarda solo il periodo di imposta 2004 ma anche gli anni successivi. Tale concorso - osservano ancora le Sezioni Unite - è regolato in generale dal principio di specialità di cui all'articolo 9, comma 1, l. 689/1981, che trova poi specifica espressione nel settore penale tributario nell'articolo 19, comma 1, d.lgs. 74/2000. Peraltro, all'esito di un'analitica riflessione ermeneutica, le Sezioni Unite hanno ritenuto non ricorrente una fattispecie di specialità. Al riguardo, sono stati confrontati gli elementi costitutivi dell'illecito omissivo i presupposti - cioè la situazione tipica da cui sorge l'obbligo d'agire -, la condotta omissiva e il termine, esplicito o implicito, la cui scadenza comporta la consumazione dell'illecito omissivo tra la fattispecie penale e la fattispecie di illecito amministrativo. Mentre in quest'ultimo il presupposto è rappresentato dalla erogazione di somme comportanti l'obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte, la condotta è il mancato versamento della ritenuta mensile e il termine scade il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione della ritenuta articolo 8 d.p.r. 602/1973 , nell'illecito penale il presupposto è costituito sia dalla erogazione di somme comportanti l'obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte articoli 23 ss. d.p.r. 602/1973 e del loro versamento all'erario articolo 3 d.p.r. 602/1973 , sia dal rilascio al soggetto sostituito di una certificazione attestante l'ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute operate nell'anno precedente articolo 4, commi 6 ter e 6 quater, d.p.r. 322/1998 , la condotta è il mancato versamento, per un ammontare superiore a Euro 50.000, delle ritenute operate nell'anno d'imposta e risultanti dalla suddetta certificazione, e infine il termine è quello previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta relativa all'anno precedente. La sussistenza di elementi costitutivi dell'illecito penale che si collocano in un'ottica di implementazione e di aggravamento dell'illecito amministrativo, si ripete non abrogato, ha condotto le Sezioni Unite a individuare non un rapporto di specialità tra i due illeciti, bensì di progressione il reato costituisce violazione normativa più grave dell'illecito amministrativo e, pur contenendo quest'ultimo, lo arricchisce di elementi essenziali certificazione, soglia di rilevanza, termine allungato che non sono complessivamente riconducibili alla specialità la quale se sussistesse condurrebbe all'applicazione soltanto dell'illecito penale , perché recano decisivi segmenti comportamentali - quanto al rilascio della certificazione e al protrarsi della condotta omissiva - temporalmente posteriori al compimento dell'illecito amministrativo. Ne deriva la concorrente applicazione di entrambi gli illeciti. Ciò non conduce alla violazione del principio del ne bis in idem il fatto non è identico, a tacer d'altro né alla violazione del principio di irretroattività della norma penale per applicazione alle omissioni verificatesi, in riferimento alla scadenza del termine mensile, nel corso del 2004. Sotto quest'ultimo profilo, le Sezioni Unite evidenziano che alla scadenza del termine fiscale il reato ancora non esisteva, ma la condotta penalmente rilevante non è l'omissione del versamento delle ritenute nel termine tributario, bensì il mancato versamento delle ritenute certificate nel maggior termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo d'imposta dell'anno precedente. Pertanto, chi aveva omesso il versamento delle ritenute per il 2004 nel termine tributario ben poteva astenersi dalla condotta penalmente illecita, vale a dire poteva fino al 30 settembre o 31 ottobre 2005 assumere le proprie determinazioni in ordine all'effettuazione di un versamento che, in relazione alle ritenute da lui stesso certificate, mantenesse l'omissione non oltre la soglia dei cinquantamila Euro . La risoluzione di non provvedere in tal senso, che da luogo alla commissione del reato, si colloca dunque in epoca ampiamente successiva all'introduzione della fattispecie penale, e perciò non incorre in retroattività. Che il termine lasciato per valutare se compiere o meno l'illecito penale sia intrinsecamente congruo quanto al periodo d'imposta 2004, d'altronde, è stato già affermato, per l'analoga fattispecie di cui all'articolo 10 ter d.lgs. 74/2000, dalla Corte Costituzionale che, con l'ordinanza 25/2012 non vi ha letto alcuna lesione dell'articolo 3 Cost. in raffronto con il termine disponibile per gli anni successivi. Né, infine, è ravvisabile, tenuto conto anche della congruità appena evidenziata, un problema di impossibilità di conoscenza del precetto tale da escludere l'ascrivibilità del reato alla volontà dell'interessato in relazione al principio di colpevolezza di cui all'articolo 27 Cost. e al riguardo le Sezioni Unite richiamano la nota sentenza 364/1988 della Corte Costituzionale . In conclusione, avendo l'arresto delle Sezioni Unite sopra sintetizzato posto una chiara fine ai dubbi in ordine all'articolo 2 c.p. quanto all'applicabilità dell'articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 alle ritenute effettuate nell'anno 2004, il primo motivo del ricorso risulta infondato. 3.2.1 Il secondo motivo, per essere ben compreso, rende opportuna, a titolo di premessa, una ricostruzione di come - in rapporto alla linea difensiva dell'imputato - è stato affrontato nei precedenti gradi del processo. Con la sentenza del 16 novembre 2009 il Tribunale di Lucca ha condannato il ricorrente, affermando che basta evidentemente a fondare un giudizio di responsabilità penale la prova di una consapevole condotta omissiva da parte dell'imputato ma subito dopo aggiungendo Nell'ambito della determinazione della pena si deve nondimeno tener conto del comportamento processuale del M. che ha confessato il fatto affermando di aver omesso il versamento delle ritenute poiché, in un periodo di serie difficoltà finanziarie della società, aveva preferito far fronte al versamento delle retribuzioni la circostanza è stata peraltro confermata dai testi indotti dalla difesa Sia per la piena ammissione dei fatti, sia per l'estraneità ad essi di finalità puramente egoistiche, sia infine per l'assenza di precedenti penali, si ritengono dunque ravvisabili a favore del M. le attenuanti generiche . Nell'atto di appello proposto alla Corte d'appello di Firenze, il difensore del M. adduce che la condotta omissiva del suo assistito è stata consapevole ma assolutamente non voluta risulterebbe provato che le disponibilità finanziarie di Target s.r.l., di cui M. era legale rappresentante, si limitavano agli stipendi, per cui l'imputato, come aveva dichiarato nell'esame dibattimentale, preferì non lasciare i propri dipendenti senza stipendio, ma non fu in grado di pagare anche le ritenute . Quindi, trattandosi di un delitto, mancherebbe il dolo. Inoltre l'affermazione della penale responsabilità nel caso di specie contrasta col principio giuridico cosiddetto della inesigibilità . Sarebbe infatti evidente che chi non ha disponibilità finanziarie non possa pagare i propri debiti, ed infatti il carcere per debiti è solo un lontano ricordo lo comproverebbe l'articolo 641 c.p. che non punisce chi non paga i debiti ma chi contrae un'obbligazione col proposito di non adempierla. L'atto d'appello, dunque, presentava questo unico motivo, che in sostanza prospettava il difetto dell'elemento soggettivo e comunque la carenza di antigiuridicità, per impossibilità di diversa condotta, nella omissione compiuta dal M. . La corte territoriale lo ha disatteso con il seguente passo della sua motivazione Che pagate le retribuzioni nette l'appellante non abbia avuto disponibilità per i versamenti delle ritenute è cosa priva di rilievo, come già ritenuto dal primo giudice . 3.2.2 Nel secondo motivo del ricorso, come si è visto, il ricorrente non si allontana da quanto aveva già addotto come doglianza d'appello, peraltro prospettando, a fianco del permanente profilo della pretesa insussistenza del dolo si ricorda fin d'ora che per il reato in questione è sufficiente il dolo generico S.U. 28 marzo 2013 numero 37425, in motivazione Cass. sez. III, 26 maggio 2010 numero 25875 , quello, contiguo ma ben distinto, della impossibilità materiale di effettuare una condotta diversa rispetto a quella sanzionata dall'articolo 10 bis per indisponibilità della somma necessaria ai versamenti delle ritenute d'imposta, impossibilità riconducibile all'articolo 45 c.p. sotto forma di forza maggiore. È il caso di chiarire anzitutto la prospettiva maggiormente sviluppata nel motivo del ricorrente, cioè la possibile incidenza o meno della fattispecie della forza maggiore, che discende, si può fin d'ora rilevare, dalla conformazione, peraltro quanto mai sintetica, dell'argomento della corte territoriale laddove afferma Che pagate le retribuzioni nette l'appellante non abbia avuto disponibilità per i versamenti delle ritenute è cosa priva di rilievo , così lasciando intendere che la forza maggiore, se sussistente, non possa incidere nel reato contestato. L'esimente invocata, che non trova definizione specifica nell'articolo 45 c.p. il quale si limita a indicare l'effetto di causazione della condotta - commesso il fatto per - da attribuirsi o al caso fortuito o alla forza maggiore , è peraltro tradizionalmente identificata come vis maior cui resisti non potest , e consiste in un evento proveniente dalla natura o da fatto umano che, come esprime il sintagma, costituisce sempre una forza maggiore rispetto a quella che può essere esercitata dall'agente, eziologicamente sconnettendo in modo assoluto, dunque, l'evento dalla condotta dell'agente stesso da ultimo, Cass. sez. I, 5 aprile 2013 numero 18402, evidenziante in motivazione che per poter ravvisare la causa di giustificazione della forza maggiore è necessario aver acquisito la prova rigorosa che la violazione del precetto penale è dipesa da un evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente a proposito della ipotizzabilità, in quel caso negata per un'altra fattispecie criminosa in ragione di una completa analisi delle condizioni operative dell'impresa dell'imputato svolta dal giudice di merito, delle difficoltà economiche come forza maggiore e, ancora in tema di difficoltà economiche - pure in tal caso negate come forza maggiore per altro tipo di reato -, v. Cass. sez. III, 4 dicembre 2007-29 gennaio 2008, sempre in motivazione, che qualifica la forza maggiore come un fatto che esula completamente dalla condotta dell'agente, così da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento che, conseguentemente, non può in alcun modo ricollegarsi ad una azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente . La vis maior è dunque la causa esterna all'agente che sostituisce la serie causale a lui ascrivibile, innescandone una diversa e completamente autonoma, la quale non si contamina in alcun modo con quella sortita dalla condotta dell'agente stesso. Infatti, per sussistere come vis maior occorre che l'elemento causante sia la causa determinante dell'evento - che, in suo difetto, oggettivamente sarebbe improntato di antigiuridicità - non rilevando, invece, se qualificabile solo come causa concorrente Cass. sez. IV, 23 novembre 1982 numero 17 febbraio 1983 numero 1492 Cass. sez. IV, 6 dicembre 1966-28 aprile 1967 numero 1966 . Questa natura di monade causativa comporta, logicamente, l'irrilevanza della prevedibilità o meno della forza maggiore, poiché quel che conta è appunto il suo assoluto dominio della serie causale, che non sarebbe tale - spostandosi invece sul piano della concorrenza dei focolai eziologici - se, una volta prevista, l'agente potesse resistervi, giacché in tal caso cioè quando l'agente, pur potendo, sulla base della previsione/prevedibilità, predisporre una efficace resistenza, si astiene però dal farlo verrebbe meno l'esimente cfr. Cass. sez. IV, 10 luglio 1980 numero 8826 Cass. sez. VI, 5 luglio 1979-22 gennaio 1980 numero 1018 esigono invece la imprevedibilità le già citate Cass. sez. I, 5 aprile 2013 numero 18402 e Cass. sez. III, 4 dicembre 2007-29 gennaio 2008, non illustrandone la ragione, ma presumibilmente sulla scorta di quell'orientamento giurisprudenziale che, di fatto, vede come una endiade le due esimenti dell'articolo 45 c.p., pretendendo quindi per entrambe l'eccezionalità del fattore estrinseco e la sua imprevedibilità - v. p. es. Cass. sez. III, 8 luglio 1991 numero 8434 Cass. sez. III, 24 giugno 1991 numero 7497 Cass. sez. III, 13 maggio 1987 numero 8458 - connotazioni, queste, che invero appaiono congrue - come segnala anche l'aggettivo - per la fattispecie del caso fortuito cfr. anche Cass. sez. IV, 27 marzo 1987 numero 8854 . Per quanto ab origine si tratti di una tematica eziologica, cioè attinente al comparto oggettivo della fattispecie criminosa come si è detto, l'articolo 45 c.p., pure sinteticamente, la statuisce prevedendo l'aver commesso il fatto per forza maggiore , non può non evidenziarsi pure l'effetto sull'elemento soggettivo da ultimo, in motivazione, Cass. sez. I, 5 aprile 2013 numero 18402 definisce la forza maggiore un evento tale da rescindere il legame psicologico tra azione ed evento quale causa di esclusione del dolo o della colpa. Ne è un chiaro esempio proprio la questione in esame il motivo, infatti, ha preso le mosse dalla conformazione dell'elemento soggettivo ai fini della rilevanza penale della condotta dolo generico per pervenire, dall'assenza affermata del dolo, alla ulteriore prospettazione della impossibilità dell'agente di non commettere l'omissione criminosa, id est dell'averla commessa per una forza a lui esterna e irresistibile, così passando dalla mancanza di una volontà cosciente alla mancanza di una volontà rilevante. 3.2.3 Alla luce di questa breve sintesi sulla natura della forza maggiore, non può non osservarsi che la concisa frase della corte territoriale che pagate le retribuzioni nette l'appellante non abbia avuto disponibilità per i versamenti delle ritenute è cosa priva di rilievo , se intesa in rapporto al dettato dell'articolo 45 c.p., manifesta una violazione di legge, poiché non può essere irrilevante la causa della indisponibilità del denaro occorrente ai versamenti delle ritenute. L'esimente della forza maggiore configura una ipotesi generale in cui la causa della condotta criminosa non è attribuibile a chi materialmente espleta la condotta stessa anche nel reato di cui all'articolo 10 bis d.lgs. 74/2000, pertanto, non può escludersi in assoluto che la omissione possa derivare in toto da una causa di forza maggiore, la quale, tenuto conto della conformazione del reato, ragionevolmente può anche configurarsi, a seconda dei casi concreti, in una imprevista e imprevedibile indisponibilità del necessario denaro non correlata in alcun modo alla condotta gestionale dell'imprenditore. Peraltro, una volta chiarito questo profilo scaturente, come sopra rilevato, dalla conformazione dell'argomento mediante il quale la corte territoriale ha disatteso in modo integrale il motivo d'appello, non può non darsi atto che - e anche questo è stato già più sopra evidenziato, nella sintesi dell'evoluzione processuale - quanto l'appellante aveva addotto era in realtà riconducibile a un'asserita carenza di elemento soggettivo, non essendo stato, a ben guardare, dall'appellante stesso allegato alcun concreto elemento riconducibile in completa ed esatta maniera alla vis maior . 3.2.4 Occorre dunque procedere al vaglio dell'ulteriore profilo che la doglianza in esame affianca alla pretesa violazione dell'articolo 45 c.p., cioè il mancato riconoscimento dell'assenza dell'elemento soggettivo, rappresentato, nel reato in esame, dal dolo generico. Anche sotto questo aspetto risolutiva appare l'analisi dedicata all'articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 da S.U. 28 marzo 2013 numero 37425. Dopo avere dato atto dell'esistenza di uno spazio di condotta virtuosa consentito al soggetto fino alla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione annuale rilievo attinente al periodo d'imposta antecedente all'entrata in vigore della norma ma certamente valevole su un piano generale , le Sezioni Unite osservano che in relazione alle singole fattispecie concrete, possono venire in rilievo elementi tali da condurre, anche per questioni collegate al divario temporale fra il momento di effettuazione delle ritenute e l'introduzione della norma penale, all'esclusione dell'elemento soggettivo del reato . Quanto viene così prospettato per l'ipotesi di una mancata previsione/prevedibilità delle conseguenze della propria condotta di sostituto d'imposta in rapporto all'introduzione di un illecito penale prima inesistente, non può non applicarsi alla fattispecie in esame, che si è collocata infatti - come sopra si è visto - nel momento cronologico in cui tale divario si è configurato. Se, infatti, la prova del dolo è insita in genere nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto , come osservano ancora le Sezioni Unite, ciò non impedisce che, in casi concreti, a tale elemento oggettivo del reato non corrisponda l'elemento soggettivo della coscienza e volontà di omissione dei versamenti, non essendosi verificata alcuna scelta inidonea a non far debitamente fronte agli obblighi di legge, cioè - a prescindere dalla sussistenza o meno, quindi, di una scriminante e rimanendo sul piano strettamente soggettivo - non risultando dimostrata una consapevole volontà criminosa in chi ha omesso i versamenti laddove, nel tempo prodromico al rilascio suddetto, la sua condotta gestoria non ha rappresentato una scelta consapevole nel senso dell'astensione da un adeguato piano di accantonamento organizzativo che consentisse poi l'adempimento dell'obbligo divenuto penalmente rilavante. Su questo piano si collocano i più preziosi rilievi in tema di elemento soggettivo riscontrabili in S.U. 28 marzo 2013 numero 37425 mentre il debito tributario è collegato con quello della erogazione degli stipendi ai sostituiti per cui quando il sostituto d'imposta effettua le erogazioni insorge a suo carico l'obbligo di accantonare le somme dovute all'Erario per poter adempiere l'obbligazione tributaria , l'introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta . Premesso, allora, che una condotta di mancato accantonamento mese per mese al momento della erogazione degli stipendi ai dipendenti non è già di per sé penalmente rilevante, poiché l'organizzazione previdente del datore di lavoro deve configurarsi su scala annuale , ovvero più ampia ma anche più elastica, come il notorio insegna essere proprio della gestione a medio termine di una impresa, quel che le Sezioni Unite prospettano - sottolineandone appunto la necessità di adeguatamente dimostrarlo - è l'eventualità, rilevante ai fini di escludere la colpevolezza, che sia intervenuta una crisi di liquidità al momento della scadenza del termine lungo, crisi non derivante dalla scelta del datore di lavoro-sostituto d'imposta di non far debitamente fronte al suo obbligo organizzativo. È in tale ipotesi, allora - tenuto conto dell'epoca in cui si è concretizzato il fatto oggetto di imputazione nel caso de quo -, che difetta il dolo, e ciò deve essere oggetto di puntuale dimostrazione. E al riguardo non si può non osservare che, pur non avendo l'imputato onere probatorio, si esige il suo adempimento di uno specifico onere allegatorio qualora eserciti il suo diritto di difesa adducendo la carenza dell'elemento soggettivo. Invero, non essendo possibile dimostrare un elemento negativo se non è convertibile in specifici elementi positivi da cui desumerlo e quindi la dimostrazione dell'assenza del dolo direttamente quale prova negativa sarebbe probatio diabolica in un caso del genere l'imputato ha onere di allegare indicando all'ufficio gli elementi necessari all'accertamento di fatti ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore così da ultimo Cass. sez. II, 7 febbraio 2013 numero 20171 conformi Cass. sez. I, 11 novembre 1988-11 novembre 1989 numero 15493 e Cass. Sez. IV, 2 ottobre 1987 numero 11810 sull'onere di allegazione dell'imputato cfr. pure Cass. sez. VI, 21 marzo 2012 numero 18711 e Cass. sez. IV, 16 dicembre 2011-21 febbraio 2012 numero 6854 sul suo esonero dall'onere probatorio v. altresì Cass. sez. Ili, 11 gennaio 2008 numero 8372 . Laddove, allora, con l'unica frase attinente alla colpevolezza dell'appellante che pagate le retribuzioni nette l'appellante non abbia avuto disponibilità per i versamenti delle ritenute è cosa priva di rilievo la corte territoriale abbia in realtà inteso - pur letteralmente facendo riferimento alla scriminante ex articolo 45 c.p., come si è visto - dichiarare l'insufficienza/irrilevanza delle allegazioni in ordine alla carenza del dolo e così induce a ritenere la effettiva sostanza delle difese prospettate nell'atto d'appello in rapporto alla linea difensiva impostata in primo grado , sotto questo profilo la doglianza risulta fondata si ricorda che, appunto, nell'atto d'appello, implicitamente ma inequivocamente, l'attuale ricorrente aveva chiesto proprio la verifica della idoneità degli elementi da lui allegati e della loro effettiva dimostrazione, in particolare mediante le testimonianze richiamate dalla sentenza di primo grado poiché l'impugnata sentenza non indica realmente come e perché ritenga sussistente l'elemento soggettivo, in tal modo, prima ancora che in un vizio motivazionale, incorrendo in violazione di legge penale. Dalle considerazioni sopra svolte deriva, in conclusione, l’accoglimento del secondo motivo del ricorso, dovendosi quindi annullare la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte d’appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.