Il mancato incasso dell’IVA indicata in dichiarazione non esclude il sequestro per equivalente, ma...

La confisca per equivalente nei reati tributari si estende al profitto del reato, con la conseguenza che la natura omissiva del reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, svincolata dall’effettiva riscossione delle somme corrispondenti al corrispettivo delle prestazioni effettuate, consente di considerare anche il profitto necessariamente insito nel risparmio economico comunque derivante dal mancato versamento dell’imposta.

Questo il principio affermato dalla III sezione Penale della Corte di Cassazione. La generale irrilevanza della crisi di liquidità. Nonostante le ormai diverse pronunce non perfettamente in linea di alcuni giudici di merito, la giurisprudenza di legittimità è ancor oggi - fatta salva qualche incidentale apertura - consolidata nell’affermare la generale irrilevanza della crisi di liquidità della impresa al fine di escludere la sussistenza dei delitti di cui agli artt. 10 bis e 10 ter D.lvo n. 74/2000. Alla base di tale impostazione vi è il rilievo che il contribuente, una volta che ha ritenuto le somme dal sostituito o che ha ricevuto dal cliente il corrispettivo della prestazione, maggiorato di quanto dovuto a titolo di IVA, non è libero di disporre di queste somme, che sono vincolate al loro versamento, nei termini fissati, in favore dello Stato, ma, al contrario ha il preciso dovere di accantonarle in previsione di questo futuro pagamento. Fatta tale premessa, la crisi di liquidità, anche grave, non pare poter giustificare l’omesso versamento, in quanto non vale ad escludere il dolo del contribuente, che in realtà, ab initio, ha consapevolmente ed illecitamente deciso di destinare quelle somme ad un fine diverso rispetto a quello cui, per legge, erano destinate. E’ evidente, per la Cassazione, che detta condotta presuppone il dolo, almeno nella forma del dolo eventuale, - necessario, ma sufficiente per integrare le fattispecie di cui si discute - in quanto il contribuente, eterodestinando il denaro ricevuto ha accettato il concreto rischio di non essere, poi, in grado di versare il dovuto all’Erario al momento della scadenza del termine fissato dal legislatore. Le stesse Sezioni Unite sentenze 3724 e 3725 del 2013 hanno indicato come vi sia per il contribuente un obbligo di accantonamento allorché eroga gli emolumenti al sostituito o riscuote dall’acquirente del bene o del servizio, il corrispettivo comprensivo l’IVA, in quanto lo stesso ha, in quel momento, il dovere di organizzare le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. A fondamento della incriminazione vi sarebbe dunque una appropriazione indebita delle stesse somme che vengono eterodestinate rispetto alla destinazione legale. Il mancato incasso dell’IVA. Fra i motivi fondanti il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento con cui il Tribunale del Riesame aveva confermato il sequestro per equivalente finalizzato alla confisca, senza subbio centrale è quello che lamenta la mancata valutazione da parte dello stesso tribunale del riesame della circostanza che non solo la società si era trovata in una grave crisi di liquidità, ma che, altresì, l’IVA dichiarata non era stata poi effettivamente incassata, in quanto le fatture su cui si fondavano erano rimaste insolute. Nessuna appropriazione indebita dunque evidenzia il ricorrente, ma anche nessun profitto, non potendo rientrare in tale concetto il mero risparmio di imposta. Poichè l’IVA dovuta allo Stato non era stata effettivamente incassata dalla società, non vi sarebbe stata alcuna consapevole eterodestinazione delle somme medesime. L’iter argomentativo della Corte La Corte risolve la questione sulla base di un percorso logico giuridico che formalmente appare ineccepibile. Prendendo le mosse dal campo di operatività del sequestro per equivalente la Corte evidenzia come sia ormai ius receptum nel diritto pretorio il principio per cui il sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca possa essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato. Fatta tale premessa i giudici della Suprema Corte accentrano la propria attenzione sulla obbligazione tributaria evidenziando come – ad eccezione dei casi in cui è applicabile il regime di IVA per cassa” – l’obbligo di indicazione dell’IVA nella dichiarazione annuale ed il conseguente obbligo di versare i relativi importi sia del tutto svincolato dall’effettivo incasso dei corrispettivi, da cui nasce l’imposta correlativa. La conclusione a cui giungono gli Ermellini è dunque consequenziale anche nel caso di mancato incasso del corrispettivo e della correlata aliquota IVA permane l’obbligo di versare l’imposta, con la conseguenza che l’omesso versamento della stessa si traduce in un risparmio economico e dunque in profitto del reato omissivo di cui all’art. 10 ter D.lvo 74/2000. Tanto basta alla Corte per rigettare il proposto ricorso. Un eccesso di formalismo? Non pare tuttavia azzardato, a chi scrive, parlare di un eccesso di formalismo da parte della pronuncia che si annota. Pacifico appare infatti che nella ipotesi disaminata dalla Corte, vi sia, comunque, in capo al contribuente l’obbligo tributario di versare l’imposta e, pertanto, laddove l’inadempimento a tale obbligo si protragga oltre il termine che rappresenta la soglia di punibilità, sussista l’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 10 ter . Tuttavia quid iuris nel caso – quale parrebbe quello in esame - in cui l’omissione si accompagni o sia dovuta ad una grave crisi di liquidità dell’impresa? In siffatte ipotesi appare evidente che non potranno ripercorrersi le logiche argomentative, menzionate all’inizio del presente breve scritto, che non riconoscono rilevanza scriminante alla crisi di liquidità. Nel caso in esame, infatti, non potrà rimproverarsi al contribuente che l’omesso versamento abbia avuto la sua origine nel mancato accantonamento delle somme ricevute dal terzo e nella loro eterodestinazione, poiché il contribuente, non ha avuto nulla da destinare a fini diversi dal pagamento della IVA, in conseguenza dell’inadempimento dei propri clienti al pagamento delle fatture. In conclusione laddove si accerti che l’imposta non versata dal contribuente è relativa ad un debito IVA derivante proprio da quelle fatture insolute e contemporaneamente ad una verosimilmente conseguente crisi di liquidità che, di fatto, non consente il versamento delle imposte si fatica a capire come detta condotta possa essere ritenuta rimproverabile e dunque volontaria, ed in quanto tale coperta dal dolo, pur sempre necessario ad integrare la fattispecie. A prescindere dal formalismo, indispensabile appare, ancora una volta, ancorare i parametri della penale responsabilità ai canoni costituzionali di una responsabilità personale e colpevole.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 dicembre 2013 - 27 gennaio 2014, numero 3656 Presidente Mannino – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Treviso, con ordinanza del 9 maggio 2013 ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell'interesse di C.I. e relativa al decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso, in data 26.3.2013, dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale nell'ambito di un procedimento penale riguardante la ipotizzata violazione dell'art. 10-ter d.lgs. 74/2000, per l'omesso versamento, nei termini, dell'IVA relativa al periodo di imposta 2011 e per un ammontare complessivo pari ad Euro 7.177.066,00 fatto commesso in omissis nella qualità di amministratore unico della FORNACI CALCE GRIGOLIN s.p.a.” . Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente ha come oggetto beni corrispondenti al prezzo o al profitto del reato e che, nella fattispecie, la condizione di operatività della misura reale, rappresentata dall'effettivo accrescimento patrimoniale della persona che ne viene colpita, non risulterebbe sussistente, poiché l'IVA che avrebbe dovuto essere versata all'erario non era stata effettivamente percepita dalla società. Aggiunge che, ritenendo indifferente tale evenienza, il Tribunale avrebbe indebitamente accomunato la questione concernente l'aspetto fiscale, rispetto al quale l'IVA resta dovuta all'erario anche se non incassata e quello penale, che richiede, invece, l'effettività dell'ingiusto arricchimento, dovendosi conseguentemente disattendere il diverso indirizzo che equipara al profitto del reato il risparmio economico conseguito dalla commissione dell'illecito. 3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge con riferimento alle valutazioni espresse dai giudici del riesame in merito alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, valutata senza prendere in considerazione l'aspetto concernente il mancato incasso dell'IVA non versata, ritenuto determinante in quanto l'obiettiva mancanza di liquidità non poteva che indurre all'omesso versamento dell'imposta senza che detta omissione possa dirsi volontaria. Aggiunge che, avendo assunto la carica di amministratore della società nell'anno successivo a quello dei previsti versamenti dell'IVA, non le si poteva comunque addebitare alcuna responsabilità per fatti dipendenti da altri, difettando un suo obbligo giuridico ad adempiere. 4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il difetto di motivazione, rilevando che il giudice può imporre il sequestro per equivalente soltanto dopo aver verificato la possibilità di attingere con la misura i beni costituenti il diretto profitto del reato e che, sul punto, né il G.I.P. né il Tribunale si sarebbero espressi. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 5. Il ricorso è infondato. Va preliminarmente ricordato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che l'art. 10-ter d.lgs. 74/2000, introdotto dal d.l. 4.7.2006, convertito con modificazioni dalla L 4.8.2006, numero 248, stabilisce che la disposizione di cui al precedente art. 10-bis concernente l'omesso versamento di ritenute certificate si applica anche a chiunque non versi l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale e superante il limite di cinquantamila Euro, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo. Detto termine è individuato, dall'art. 6, comma 2 l. 405/1990, nel 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta di riferimento e con esso coincide il momento consumativo del reato in esame Sez. III numero 38619, 3 novembre 2010 . Va poi rilevato che le somme incassate a titolo di IVA sono destinate ad essere versate all'erario e non sono nella libera disponibilità del contribuente, il quale dovrebbe, invece, accantonarle se non provvede al versamento periodico mensile o trimestrale. Occorre poi ricordare che l'estensione anche ai reati tributari di cui al d.lgs. 74/2000 della confisca per equivalente, già prevista dall'art. 322-ter cod. penumero per alcune ipotesi di reato contemplate dal codice penale, è stata disposta dall'art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, numero 244 al fine di meglio contrastare la criminalità finanziaria con strumenti incidenti direttamente sul patrimonio dei contravventori. Ciò avviene colpendo beni corrispondenti per valore al prezzo o al profitto del reato indipendentemente da un nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare, al fine di sottrarre al responsabile del reato qualsivoglia vantaggio economico dallo stesso derivante. Secondo l'unanime orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi pacifico, sempre con riferimento ai reati tributari, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente possa essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, in ragione dell'integrale rinvio alle disposizioni di cui all'articolo 322-ter del codice penale”, contenuto nell'art. 1, comma 143, della legge numero 244 del 2007 Sez. III numero 17465, 10 maggio 2012 Sez. Ili numero 35807, 6 ottobre 2010 Sez. III numero 25890, 7 luglio 2010 . Successivamente, questa Corte ha avuto modo di affermare come, il consolidato orientamento appena ricordato non venga inficiato e sia, al contrario, confermato dalla modifica apportata all'art. 322-ter cod. penumero dall'art. 1, comma 75, lett. o della legge 6 novembre 2012, numero 190, che ha esteso la confisca per i delitti previsti dagli articoli da 314 a 320 cod. penumero con riferimento non soltanto al solo prezzo del reato, ma anche al profitto di esso, in quanto l'ambito di operatività del sequestro per equivalente è stato ampliato adeguandosi a quanto stabilito da fonti internazionali ed Europee, perseguendo lo scopo di una adeguata sanzione di condotte illecite senza irragionevoli distinzioni fondate sulla diversa tipologia dei reati commessi Sez. III numero 23108, 29 maggio 2013 . 6. Date tali premesse, deve rilevarsi che la questione prospetta nel motivo di ricorso in esame è stata già affrontata e risolta, recentemente, da questa Sezione. Si è infatti osservato Sez. III numero 19099, 3 maggio 2013 come, ad eccezione delle ipotesi in cui è applicabile il regime di IVA per cassa” di cui al d.l. 185/2008 e art. 32-bis d.l. 83/2012 , l'obbligo di indicazione dell'IVA nella dichiarazione annuale e, conseguentemente, di versamento dei relativi importi, è stato ordinariamente svincolato, dall'effettiva riscossione delle somme corrispondenti al corrispettivo delle prestazioni effettuate, con la conseguenza che la natura omissiva del reato, svincolata dall'effettivo incasso, consente di considerare anche il profitto necessariamente insito nel risparmio economico comunque derivante dal mancato versamento dell'imposta. Si è inoltre aggiunto che, seppure il profitto del reato possa certamente coincidere con l'importo dell'IVA incassata, nondimeno resta valido il principio, espresso con riferimento al reato di omessa dichiarazione di cui all'art. 5 d.lgs. 74/2000 Sez. III numero 1199, 16 gennaio 2012, citata anche nel provvedimento impugnato , secondo il quale il profitto del reato tributario può essere altresì individuato nel risparmio di imposta, che può concretizzarsi anche nel mancato versamento dell'Iva dovuta. Tali considerazioni sono pienamente condivise dal Collegio, che non intende discostarsene e consentono di affermare la infondatezza del motivo di ricorso esaminato, non essendo il Tribunale incorso nella violazione di legge denunciata. 7. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso, che ripropone la questione della sostanziale inesigibilità della condotta contestata alla ricorrente già considerata e correttamente risolta dai giudici del riesame. Giustamente il Tribunale ha escluso che potesse assumere rilievo la mancanza di liquidità sussistente al momento dell'assunzione dell'incarico di amministratore unico della società da parte della ricorrente, la quale, non preoccupandosi di verificare la situazione contabile e patrimoniale della società, si era scientemente assunta il rischio di non poter versare l’IVA nei termini. Tale valutazione, avuto riguardo alla natura della pronuncia richiesta al Tribunale, risulta sufficiente ed adeguata, considerato che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato come in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice sia demandata, nell'ambito della valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato, anche la verifica dell'eventuale difetto dell'elemento soggettivo del reato, purché di immediata evidenza Sez. II numero 2808, 21 gennaio 2009 Sez. IV numero 23944, 12 giugno 2008 Sez. I numero 21736, 4 giugno 2007 . 8. Per ciò che attiene, infine, al terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi che lo stesso risulta genericamente formulato, in quanto la ricorrente si è limitata ad evidenziare un principio di diritto lamentando l'assenza di qualsivoglia statuizione sul punto da parte dei giudici del riesame. La questione, tuttavia, non risulta essere stata dedotta nella richiesta di riesame. Va ricordato, a tale proposito, che il principio secondo cui non sono proponibili questioni coinvolgenti valutazioni mai prima sollevate, trova applicazione anche nel caso di ricorso avverso ordinanza del tribunale del riesame in tema di misura cautelare reale Sez. III numero 35889, 19 settembre 2008 Sez. IV numero 839, 21 ottobre 1993 . 9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.