Decisiva la valutazione sulla personalità del condannato per la concessione di misure alternative alla detenzione

Le misure alternative alla detenzione contribuiscono alla rieducazione del condannato ed al suo graduale reinserimento nella società. Ai fini della concessione di una misura alternativa risulta, dunque, decisivo svolgere una valutazione sulla personalità e sui comportamenti del reo.

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione, sez. I Penale, con la sentenza n. 1730 che dichiara l’inammissibilità del ricorso, deposita il 16 gennaio 2014. Elementi eclatanti e negativi. La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso proposto da un condannato alle reclusione per bancarotta fraudolenta, afferma che il Tribunale di Sorveglianza, comprendendo tutte le misure alternative richieste, ha ben analizzato la personalità del soggetto ed i comportamenti tenuti dallo stesso. In particolare, sostiene la Suprema Corte, il quadro della personalità del reo è stato ricostruito sulla base di elementi eclatanti e negativi tali da impedire qualunque valutazione prognostica favorevole sulla concessione di misure alternative alla detenzione. La personalità del condannato. A parere della Corte, il Tribunale di Sorveglianza ha giustamente ritenuto che nessuna delle misure alternative alla detenzione, richieste dal condannato, potesse essere concessa al fine di consentire la rieducazione ed il graduale reinserimento nella società del reo. Obiettivi questi che non era possibile raggiungere poiché il soggetto presentava comportamenti censurabili sotto il profilo della pericolosità sociale. La valutazione della personalità del condannato sulla base di elementi oggettivi ossia gravi reati commessi, per taluni dei quali sono ancora in corso procedimenti penali pendenti rilevava una spiccata inclinazione a delinquere. Ed infine un’altra condanna. La sentenza, nel dichiarare inammissibile il ricorso avanzato contro l’ordinanza di rigetto del Tribunale di Sorveglianza, condanna il proponente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende come previsto dall’art. 616 c.p.p. Il ricorso risulta palesemente inammissibile, non esulando profili di colpa nel ricorrente. Il comportamento dello stesso, pertanto, è giudicato temerario” secondo l’interpretazione posta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186/2000.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 dicembre 2013 – 16 gennaio 2013, n. 1730 Presidente Chieffi – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Sorveglianza di Torino, con ordinanza del 13/3/2013, rigettava le istanze di affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà avanzate da M.D. , libero, nei confronti del quale era stato emesso ordine di esecuzione per la pena di anni uno e mesi sei di reclusione inflitta per il reato di bancarotta fraudolenta. Il Tribunale rilevava che il condannato aveva numerosi precedenti penali per reati dello stesso tipo e aveva già usufruito per tre volte dell'affidamento in prova al servizio sociale osservava che l'attività lavorativa non era più in essere, come da accertamento della Direzione del Lavoro e come ammesso dallo stesso condannato che, peraltro, aveva sostenuto di lavorare con la figlia dava atto delle informazioni negative ricevute dalla Questura di Reggio Emilia, per fatti anche assai recenti. In definitiva, secondo il Tribunale, M. aveva commesso nel passato reati analoghi a quelli oggetto dell'esecuzione era tornato a delinquere dopo due affidamenti in prova al servizio sociale non aveva mostrato un atteggiamento sincero e trasparente nel corso dell'indagine svolta dall'UEPE aveva prodotto un contratto di lavoro con la figlia meramente preordinato all'ottenimento dei benefici e, comunque, non idoneo al contenimento del profilo di pericolosità sociale alla luce dei numerosi precedenti per reati economici era per di più coinvolto in vicende di rilevanza penale analoghe a quelle già commesse nel passato. 2. Ricorre per cassazione M.D. , deducendo distinti motivi. In un primo motivo il ricorrente deduce violazione della legge per erronea applicazione della normativa di riferimento. I precedenti penali per bancarotta fraudolenta risalivano a molti anni prima anni 90 ed erano divenuti definitivi per la lentezza della giustizia nelle indagini in corso il M. era stato coinvolto ingiustamente, né aveva ricevuto alcuna informazione di garanzia, mentre il carico pendente per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali non impediva la concessione delle misure alternative. Egli si era adoperato attivamente per evitare le conseguenze dei reati di bancarotta fraudolenta. Inoltre il ricorrente aveva chiesto al Tribunale di disporre ulteriori accertamenti, che non erano stati espletati. In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione della legge 199 del 2010 con riferimento alla mancata concessione della detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza non aveva in alcun modo motivato in ordine alla sussistenza delle cause impeditive della misura. In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e carenza di motivazione con riferimento al rigetto dell'istanza di semilibertà il Tribunale di Sorveglianza non aveva esplicitato il motivo per cui riteneva non idonea al reinserimento del soggetto detta misura. In un quarto motivo, il ricorrente deduce vizio della motivazione con riferimento alla valutazione dell'attività lavorativa i fatti evidenziati dalla Direzione del Lavoro erano successivi alla presentazione dell'istanza di misure alternative e non dipendevano dalla condotta del ricorrente, che era stato sempre onesto, sincero e collaborativo con il personale dei Servizi sociali e non era tornato a delinquere dopo il termine dell'affidamento in prova 15 agosto 2012 . Il ricorrente conclude per l'annullamento dell'ordinanza impugnata. 3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, chiede dichiararsi inammissibile il ricorso. 4. Il ricorrente ha depositato memoria, con cui insiste nei motivi di ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Preliminarmente deve rilevarsi che la mancata concessione della detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 199 del 2010, oggetto del secondo motivo di ricorso, non era oggetto della domanda proposta al Tribunale di Sorveglianza che, del resto, non è competente a provvedere sul punto, atteso che la legge citata individua nel Magistrato di Sorveglianza l'organo deputato. Risulta, quindi, evidente l'inammissibilità del motivo. Gli altri motivi di ricorso sono palesemente infondati. La valutazione espressa dal Tribunale di Sorveglianza ha compreso tutte le misure alternative richieste per un motivo evidente il quadro assolutamente negativo della personalità del soggetto, tale da impedire le valutazioni prognostiche necessarie alla loro concessione. Il Tribunale, cioè, non poteva ritenere che nessuna delle misure potesse contribuire alla rieducazione del condannato e impedire la commissione di altri reati, né permettere il suo graduale reinserimento nella società. La valutazione, d'altro canto, si fonda su elementi eclatanti, tutti negativi i numerosi precedenti penali specifici, commessi anche dopo i periodi di affidamento in prova al servizio sociale i gravi procedimenti pendenti, concernenti fatti recentissimi la mancata comunicazione della cessazione del rapporto lavorativo la stipula di un contratto fittizio con la figlia per far figurare esistente un altro rapporto di lavoro. Le censure del ricorrente sono, quindi, manifestamente infondate, quando sostengono una violazione di legge o un vizio di motivazione, e, comunque, in fatto, quando cercando di ricostruire in fatti in modo differente da quanto fatto - sulla base di documenti provenienti da diverse Autorità - dal Tribunale di Sorveglianza. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000 mille in favore delle Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.