Coltivazione in serra di cannabis indica: la pluralità di piantine rende irrilevante il basso principio attivo

La coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante ai sensi degli artt. 26 e 28, D.P.R. n. 309/1990, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico agraria e coltivazione domestica, posto che l’attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga.

Irrilevante deve considerarsi, inoltre, ogni richiamo al valore minimo del principio attivo ricavabile dalle piante stesse allorquando non di una singola piantina si tratti, ma della coltivazione in serra, sia pure rudimentale, di una pluralità di piantine. Il caso. La Corte d’Appello de L’Aquila confermava la sentenza del G.I.P. in sede con la quale un uomo veniva ritenuto colpevole del reato di coltivazione di cannabis indica di cui all’art. 73, comma 1, D.P.R. n. 309/1990. All’imputato veniva comunque riconosciuta l’attenuante di cui al successivo comma 5 del medesimo D.P.R In particolare, il reato contestato consisteva nell’aver predisposto una rudimentale serra di cannabis indica nella quale venivano coltivate una pluralità di piantine. L’imputato proponeva ricorso in Cassazione avverso la propria statuizione di condanna, rilevando l’erronea applicazione della legge penale, il difetto di motivazione e il travisamento della prova per non aver la Corte territoriale tenuto conto della quantità minima di principio attivo ricavabile dalle predette piantine 9 mg e non aver, quindi, considerato la condotta incriminata del tutto inoffensiva e assolutamente inidonea a porre in pericolo o a ledere il bene giuridico tutelato in questo caso la salute pubblica . La VI sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. L’offensività della condotta non va valutata con riferimento al solo principio attivo. Le argomentazioni della difesa dell’imputato vengono cassate con perentorietà dalla Suprema Corte. Ricordata l’irrilevanza della destinazione della coltivazione ai fini della punibilità della stessa, a seguito del venir meno, a livello giurisprudenziale, della distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione per uso personale, il collegio di legittimità ribadisce la sanzionabilità penale della condotta in questione allorché posta in essere in difetto delle autorizzazioni prescritte dalla legge. I giudici di Piazza Cavour evidenziano che la coltivazione di sostanze stupefacenti di cui alla tabella I prevista dall’art. 14 D.P.R. n. 309/1990 è vietata e punita dai successivi artt. 26 e 28 del medesimo decreto, rinviando tale ultima norma alle sanzioni previste per l’illecita fabbricazione delle sostanze de quibus . Ciò in quanto è il fatto stesso di coltivare tali sostanze proibite che astrattamente pone in pericolo il bene giuridico della salute pubblica, avendo quale effetto quello di accrescere la quantità delle stesse e la possibilità della loro commercializzazione” o diffusione. Il fine per il quale la coltivazione avviene non ha, pertanto, alcuna efficacia scriminante. Parimenti irrilevante la VI sezione considera il richiamo operato in ricorso alla inoffensività della condotta incriminata, attesa la modesta quantità di principio attivo ricavabile dalle piantine coltivate. Secondo il Supremo Collegio, infatti, nonostante il dato inerente al valore del principio attivo possa effettivamente rilevare ai fini della non concreta offensività della condotta di coltivazione, se ne deve escludere la rilevanza nella vicenda in oggetto. A tale conclusione la Corte perviene in ragione del numero di piantine coltivate e della metodologia di coltivazione. La pluralità di piante e la loro predisposizione in una, seppur rudimentale, serra sortiscono l’effetto di rendere ininfluente la acclarata esiguità del principio attivo dalle stesse ricavabile. Infatti, nella sentenza si fa riferimento alla circostanza per cui non veniva in considerazione una sola piantina di cannabis indica ciò in ragione del fatto che tutte le pronunce che hanno affrontato il tema de quo , a partire da quella paradigmatica delle Sezioni Unite n. 28605/2008, si sono comunque soffermate, per affermare o negare l’offensività, e la conseguente rilevanza penale, della condotta di coltivazione di sostanze stupefacenti, anche sul dato riferentesi alla quantità di sostanza prodotta, oltre che su altre circostanze oggettive . Ne deriva, secondo la VI sezione, l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza, declaratoria che porta con sé la condanna dell’imputato al pagamento della sanzione prevista dall’art. 616 c.p.p

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 - 19 dicembre 2013, numero 51497 Presidente Garribba – Relatore Gramendola Fatto e diritto Z.M. ricorre per cassazione contro la sentenza in data 10/1/2011. Con la quale la Corte di Appello dell'Aquila aveva confermato la sentenza del G.I.P. in sede, che lo aveva condannato alla pena di mesi cinque, giorni dieci di reclusione e Euro 1.400,00 di multa, siccome ritenuto colpevole del reato ex articolo 73/5 DPR 309/90, per avere realizzata una rudimentale serra di cannabis indica. A sostegno della richiesta di annullamento dell'impugnata decisione il ricorrente denuncia violazione o erronea applicazione della legge penale, vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine alla efficacia stupefacente del prodotto della coltivazione e del principio attivo in esso contenuto, stimato nell'indagine tossicologica in mg.9, e quindi alla offensività penalmente rilevante della condotta posta in essere. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. Ed invero in materia di coltivazione di piante, da cui sono estraibili sostanze stupefacenti, questa Corte ha più volte affermato il principio, qui ampiamente condiviso e applicato, a mente del quale la coltivazione di piante, da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante ai sensi degli artt. 26 e 28 DPR 309/90, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica, posto che l'attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga Cass.Sez. 6, 9/12-23/12/2009 numero 49523 Rv.245661 . Nel caso in esame il richiamo che la difesa ha fatto al valore minimo del principio attivo è irrilevante, tenuto conto che non di una piantina di cannabis indica si tratta, ma di una pluralità di piantine, coltivate in una serra, sia pure rudimentale, apprestata dall'imputato su di un terreno di proprietà della madre. Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex articolo 616 cpp, di Euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.