L’aggravante della transnazionalità amplia il raggio d’azione del sequestro

Al fine della applicazione del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente a fatti costituenti reati tributari antecedenti al 1° gennaio 2008 è sufficiente che sia contestata la condizione di transnazionalità di tali delitti ai sensi della legge 146/2006, non costituendo la transnazionalità un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto che abbia i requisiti indicati dalla stessa legge 146/2006.

Questo il principio affermato dalla sezione III Penale della Cassazione nella sentenza n. 44309 del 31 ottobre 2013. Natura giuridica della confisca per equivalente Come noto la confisca prevista dalle normative penali, a seconda delle ragioni e della finalità per le quali viene disposta, può assumere le caratteristiche di misura di sicurezza o di pena ovvero di misura civile o amministrativa. Come ha ormai più volte affermato la giurisprudenza di legittimità, ciò che occorre considerare non è dunque un'unica, astratta e generica figura di confisca, ma in concreto la suddetta misura andrà qualificata così come risulta da una determinata legge che la dispone. La confisca di valore ovvero per equivalente viene ad assolvere una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica modificata in favore del reo dalla commissione del fatto. Trattandosi poi, come nel caso in esame, di confisca per equivalente derivante dalla commissione di reati tributari appare ancora più evidente che la confisca per equivalente assolve direttamente la funzione di ripristino dell'ordine finanziario dello Stato leso dall'illecito tributario. L’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile è essenzialmente, se non esclusivamente, connotata da un carattere afflittivo e da un rapporto di consequenzialità tipico della sanzione penale, senza soddisfare alcuna funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza Cass. Pen. n. 13098/2009 . Si è altresì osservato come nella confisca per equivalente non sia richiesto alcun rapporto di pertinenzialità fra il reato ed i beni confiscati, con la conseguenza che viene meno il presupposto della connotazione di pericolosità della cosa confiscata rispetto all'equivalente profitto o prezzo del reato. Se allora questa misura ablativa consente l’espropriazione di beni nella disponibilità del reo, la stessa deve essere qualificata non già come misura di sicurezza, ma come misura a preminente carattere sanzionatorio Cass. Pen. n. 28685/2008 . e conseguente irretroattività . Se la confisca per equivalente ha prevalente natura sanzionatoria la stessa costituisce una pena” secondo l'interpretazione fornitane dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo e, dunque, l’applicazione retroattiva di tale provvedimento ablatorio patrimoniale a connotazioni sanzionatorie, senza che sia dato riscontrare alcun elemento di pericolosità degli specifici beni da sottoporre a confisca, finirebbe per porsi in contrasto sia con i principi costituzionali che con l'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in forza dei quali non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso sul punto cfr. Cass. Pen. n. 39173/2008 . Per quanto appena chiarito la confisca per equivalente può trovare applicazione solo per i reati tributari commessi a partire dal 1° gennaio 2008, data di entrata in vigore dell’art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244, che ne ha previsto l’estensione ai reati tributari. Cass. Pen. n. 39172/2008 . L’aver escluso che la stessa abbia natura di misura di sicurezza comporta, infatti, che all’istituto non è estensibile la regola dettata dall'art. 200 c.p., in forza della quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. In tale contesto normativo e giurisprudenziale si inserisce il ricorso alla Suprema Corte nel caso in esame, con cui il ricorrente si duole di aver patito una confisca per equivalente per reati anche tributari commessi dal 2003 al 2006 e, dunque, per effetto di una non consentita applicazione retroattiva della suddetta normativa. Nel dettaglio l’indagato, sottoposto a procedimento penale per associazione per delinquere, riciclaggio e violazione degli artt. 2, 5, 8 D.lgs. 74/2000 evidenzia come l’ingiusto profitto in base al quale risulta determinabile il patrimonio da sottoporre a sequestro per equivalente derivi tutto da reati tributari commessi tra il 2003 ed il 2006 ed in minima parte nel 2007. Precisa, altresì, che la transnazionalità viene, nel caso di specie, contestata come mera circostanza aggravante ai sensi dell’art. 4 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e non come titolo autonomo di reato ex art. 3 della stessa legge. Va allora ricordato che ai sensi del suddetto art. 3, comma 1, lett. c , costituisce reato transnazionale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni allorchè sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato . La questione è assolutamente rilevante al fine del decidere sul sequestro per equivalente in quanto l’art. 11 della legge 146/2006 prevede la confisca per equivalente per il reato di cui all’art. 3 della stessa legge e, dunque, consente l’applicazione di tale misura ablatoria per reati tributari transnazionali commessi anche prima del 1° gennaio 2008. Sufficiente l’aggravante della transnazionalità. La Suprema Corte, tuttavia, richiamandosi ad un recente arresto delle Sezioni Unite Cass. Pen. n. 18374/2013 , che hanno chiarito come la transnazionalità non sia una autonoma fattispecie di reato, quanto un predicato riferibile a qualsiasi tipo di delitto che abbia le caratteristiche normativamente previste dalla stessa legge e che importa gli effetti sostanziali e processuali di cui alla stessa legge 146/2006, ha strada facile nel rigettare le argomentazioni del ricorrente. È infatti sufficiente che la transnazionalità venga contestata come aggravante per determinare gli effetti di cui alla legge 146/2006 e dunque l’applicazione del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente per tutti i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della medesima legge. Tutti i reati contestati all’indagato, precisa la Corte, hanno carattere transnazionale e, dunque, correttamente il G.I.P., prima, ed il Tribunale del riesame, poi, hanno calcolato il profitto derivante da tutti i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge 146/2006, non avendo nel caso in esame valenza alcuna il riferimento alla successiva data del 1° gennaio 2008 e cioè alla data di applicabilità della confisca per equivalente ai reati tributari. È appena il caso di ricordare come già in diversi precedenti la Corte avesse ritenuto legittimo il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente del profitto del reato in relazione ai contestati reati di associazione per delinquere transnazionale, frode fiscale, emissione e utilizzo per operazioni inesistenti Cass. Pen. n. 11969/2011 , riconoscendo a tale fine anche l’inopponibilità di un costituito trust allorquando risulti che trattasi di situazione di mera apparenza, per avere il conferente conservata l'amministrazione e la piena disponibilità dei beni, operando come trustee di sé stesso Cass. Pen. 13276/2011 .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 - 31 ottobre 2013, numero 44309 Presidente Squassoni – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Pescara, con ordinanza del 24.9.2012, ha rigettato l'appello proposto da S.G. avverso il decreto in data 17.7.2012 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di quella città aveva respinto l'istanza di dissequestro della somma di Euro 59.944,00 sottoposta a vincolo reale finalizzato alla confisca per equivalente nell'ambito di procedimento penale concernente i reati di cui agli artt. 416, 648-bis cod. penumero , 2, 5 e 8 d.lgs. 74/2000. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la insussistenza ed illogicità della motivazione, rilevando che l'ordinanza impugnata farebbe riferimento, al punto 4/5, ad altro atto di impugnazione proposto autonomamente dalla società portoghese PETILLANT” ed alle tesi difensive in esso prospettate, diverse da quelle concernenti la sua posizione. 3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la insussistenza del fumus dei reati ipotizzati e la violazione di legge per la contemporanea contestazione dei medesimi fatti come distinte ipotesi di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Rileva, a tale proposito, che i fatti oggetto di contestazione che lo riguardano concernono l'omessa presentazione in Italia delle dichiarazioni dei redditi ed IVA da parte di alcune società portoghesi, rispetto alle quali gli è stata attribuita la qualità di amministratore di fatto e socio, sul presupposto che le stesse avrebbero dovuto considerarsi fiscalmente residenti in Italia, ove avevano il loro centro decisionale, individuato nella sua persona quale socio di controllo italiano. Nello stesso tempo, gli viene contestato anche l'utilizzo, ai soli fini delle imposte sui redditi, di fatture per operazioni inesistenti emesse all'estero dalle medesime società portoghesi, nella sua qualità di consigliere di amministrazione e/o amministratore di fatto delle società italiane del Gruppo SPADACCINI”. Tale stato di cose, aggiunge, comporterebbe l'illegittima attribuzione, in capo alla stessa persona, in ragione della duplice veste di dominus assoluto tanto delle società emittenti che di quelle utilizzatrici delle fatture, di due ipotesi di reato tra loro alternative ed inconciliabili, essendo egli imputato quale organizzatore, unitamente agli amministratori delle società estere, del reato di associazione per delinquere finalizzata alla costituzione, gestione ed amministrazione di società estero vestite, alla cura dei rapporti tra dette società e quelle italiane del gruppo al fine di ottenere dalle prime la fatture per operazioni inesistenti poi utilizzate dalle seconde. Osserva, inoltre, che alle società estere non può inoltre addebitarsi l'evasione di imposte in considerazione del fatto che, avendo svolto di fatto le funzioni di mere cartiere”, la loro attività non avrebbe determinato la produzione di redditi. 4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta la erronea determinazione dell'ingiusto profitto, rilevando che la quantificazione dell'importo da parte del G.I.P. Euro 11.595.474,08 è la conseguenza della simultanea duplicazione della contestazione di cui al motivo precedente, che comporta la tassazione delle società estere per una ricchezza inesistente che viene recuperata dal fisco presso le imprese italiane utilizzatrici cui è stata negata la deduzione dei relativi costi, ritenuti soltanto apparenti. Conseguentemente, l'importo complessivo andrebbe rideterminato sulla base dei calcoli effettuati in una consulenza di parte versata in atti. 5. Con un quarto motivo di ricorso rileva di aver eccepito che i beni sequestrati hanno un valore ampiamente eccedente rispetto al profitto del reato, come dimostrato anche dal provvedimento di liquidazione delle competenze del custode giudiziario emesso dal Pubblico Ministero e indicato a titolo esemplificativo, il cui rilievo probatorio era stato però escluso dal Tribunale in considerazione della natura sostanzialmente amministrativa del provvedimento medesimo, senza tuttavia considerare che, sulla base di tale determinazione, erano stati calcolati gli emolumenti poi erogati con spendita di pubblico denaro e che gli importi indicati sarebbero comunque indicativi della sproporzione segnalata. 6. Con un quinto motivo di ricorso lamenta che la transnazionalità dei reati sarebbe stata contestata come mera aggravante di cui all'art. 4 legge 146/06 e non anche come titolo autonomo del reato di cui all'art. 3 della stessa legge. Ricorda, inoltre, che la possibilità di procedere alla confisca per equivalente va esclusa per i reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge 244/2007 e rileva che i fatti contestati risultano temporalmente collocati tra il 2003 ed il 2006 e solo in minima parte nel 2007, cosicché la determinazione dell'ingiusto profitto, sulla quale stabilire l'oggetto del sequestro, andava effettuata con esclusivo riferimento ai fatti commessi dopo l'entrata in vigore della legge suddetta. A tale deduzione il Tribunale avrebbe fornito una risposta errata, ritenendo di computare anche le somme relative alle annualità precedenti. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. 7. Con memoria depositata il 19.9.2003 illustra nuovi motivi, rilevando che, con sentenza numero 23641/13, questa Sezione ha recepito le osservazioni formulate nell'ambito di altro procedimento con riferimento al metodo di valutazione del valore effettivo dei beni sequestrati ed alla liquidazione delle competenze del custode giudiziario effettuata dal Pubblico Ministero. Considerato in diritto 8. Il ricorso è infondato. Occorre preliminarmente osservare che il Tribunale, nel procedere all'esame delle doglianze mosse con l'atto di appello, ha correttamente delimitato l'ambito della propria competenza con opportuni richiami alla giurisprudenza di questa Corte e, dopo aver sinteticamente esposto i contenuti dell'ipotesi accusatoria, ha evidenziato che il complessivo quadro indiziario valorizzato ai fini dell'emissione della misura non aveva subito mutamenti per fatti sopravvenuti, fornendo quindi risposta alle singole censure. 9. Ciò premesso, deve rilevarsi la infondatezza del primo motivo di ricorso con il quale viene denunciato il vizio di motivazione. Invero, l'articolo 325 cod. proc. penumero consente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell'articolo 322-bis cod. proc. penumero solamente per violazione di legge. Sul punto si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte le quali, richiamando la giurisprudenza costante, hanno ricordato che Il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l'apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dall'organo investito del procedimento SS. UU. numero 25932, 26 giugno 2008. Conf. Sez. 5 numero 43068, 11 settembre 2009. V. anche Sez. 6 numero 6589, 11 febbraio 2013 . La motivazione del provvedimento impugnato non presenterebbe però vizi così radicali quali quelli indicati dalla decisione in precedenza richiamata e lo stesso ricorrente lamenta, piuttosto, un erroneo riferimento, da parte dei giudici, alla posizione di soggetto diverso la società PETILLANT . Effettivamente il Tribunale, nell'esaminare diffusamente la posizione dell'odierno ricorrente rispetto alla società estera che l'ordinanza applicativa riconduce alla sua persona, indica erroneamente la società suddetta come appellante”, ma i riferimenti a dati fattuali ed elementi indiziari, nonché i richiami ad altri atti del procedimento, pongono in evidenza aspetti attinenti alla sussistenza del fumus dei reati ipotizzati che il ricorrente contesta, cosicché non può dirsi che le argomentazioni sviluppate siano del tutto avulse dall'oggetto della decisione così da configurare la violazione di legge. 10. Anche il secondo motivo di ricorso risulta, anche per espressa affermazione del ricorrente, incentrato principalmente sulla inammissibile deduzione del vizio di motivazione, evidenziandosi che il Tribunale, nel redigere la motivazione parzialmente riprodotta nel motivo medesimo, sarebbe incorso in un vizio logico”. Le argomentazioni poste a sostegno del motivo, in ogni caso, non presentano alcuna specifica censura al provvedimento impugnato, essendosi il ricorrente limitato a prospettare la medesima questione sottoposta all'esame del Tribunale ed alla quale i giudici dell'appello hanno fornito adeguata risposta. Va comunque ricordato che risulta del tutto irrilevante, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, la coincidenza, in capo al medesimo soggetto, della rappresentanza di diritto o di fatto tanto delle società emittenti le fatture per operazioni inesistenti che di quelle utilizzatrici delle fatture medesime, essendosi ripetutamente affermato che, in tema di reati tributari, la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato, prevista dall'art. 9 d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74, non si applica laddove amministratore delle società, rispettivamente emittente ed utilizzatrice delle stesse fatture per operazioni inesistenti, sia la medesima persona fisica Sez. 3 numero 19025, 2 maggio 2013 Sez. 3 numero 19247, 21 maggio 2012 Sez. 3 numero 47862, 22 dicembre 2011 . Il Tribunale ha, inoltre, esplicitamente affermato che i fatti oggetto di contestazione non sono affatto tra loro coincidenti, come emerge dalla loro descrizione e dall'analisi dei flussi di denaro gestiti nelle singole annualità contabili con puntuali richiami a dati fattuali il cui esame è sottratto al giudice di legittimità. Viene infatti esclusa dai giudici ogni comunanza di elementi costitutivi tra le diverse condotte descritte, osservando come la contestazione si riferisca a fatti storici del tutto differenti. A tale proposito il Tribunale rileva come, dalla complessiva disamina dei dati fattuali acquisiti, emerga che le società italiane hanno utilizzato, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, le fatture emesse per operazioni inesistenti dalle società estere, tra le quali figura la PETILLANT S.A., ponendo in essere una condotta collocabile nell'ambito dell'art. 8 d.lgs. 74/2000, mentre gli amministratori delle società estere, sempre al fine dell'evasione fiscale, hanno omesso di dichiarare le imposte sui redditi ed attività soggette ad IVA derivanti dalla effettiva gestione ed amministrazione svolta in Italia. 11. Effettuando tale analisi, i giudici dell'appello hanno adeguatamente svolto il ruolo di garanzia loro attribuito dalla legge e che richiede la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare e non anche la soluzione di questioni di merito concernenti la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione. Va in ogni caso rilevato come, in linea generale, non possa comunque sostenersi che il soggetto che emette fatture per operazioni inesistenti sia sottratto ad ogni obbligo tributario in ragione della inesistenza degli elementi di ricavo in quanto simulati, poiché, come già rilevato dalla giurisprudenza di questa Sezione, il delitto di omessa dichiarazione a fini dell'I.V.A. è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l'imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione, in quanto l'art. 21, comma 7 del d.P.R. 633/72 stabilisce che se viene emessa fattura per operazioni inesistenti ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura ” Sez. 3 numero 39177, 20 ottobre 2008 mentre la giurisprudenza civile ha ritenuto non irragionevole l'assunto secondo cui fatturazione fittizia ingenera una presunzione di corrispondente vantaggio economico, dato che detti comportamenti non verrebbero posti in essere se mancasse la prospettiva di un fine di lucro, tanto più consistente in ragione del rischio corso Sez. Trib. numero 22680, 9 settembre 2008 . 12. Sulla base delle medesime osservazioni il Tribunale ha fornito risposta all'ulteriore questione sollevata con il terzo motivo di ricorso e concernente la quantificazione dell'ingiusto profitto quale risultato della asserita duplicazione delle contestazioni. Sul punto, infatti, il Tribunale precisa che, avuto riguardo alla contestazione delle distinte ipotesi di reato ritenuta in precedenza corretta, l'importo doveva ritenersi esattamente determinato mediante la somma degli importi evasi mediante abbattimento della base imponibile ottenuto attraverso le fatture emesse per operazioni inesistenti e gli importi non dichiarati in Italia, essendo risultato dalle indagini espletate che le società italiane, al fine di evadere le imposte sui redditi e l'IVA utilizzavano le fatture emesse dalle società estere i cui amministratori, al medesimo fine di evasione fiscale, omettevano la dichiarazione delle imposte, nelle misure esattamente indicate agli atti del procedimento, sui redditi e attività soggette ad IVA conseguenti alla effettiva amministrazione e gestione che avveniva in Italia. A tali considerazioni si oppone in ricorso, ancora una volta, la tesi difensiva della erronea contestazione delle diverse fattispecie di reato opponendo le risultanze di una consulenza di parte. 13. Per ciò che riguarda il quarto motivo di ricorso, deve ricordarsi che, con specifico riferimento ai reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente va riferito all'ammontare dell'imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto”, costituito dal risparmio economico da cui consegue l'effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo così Sez. 3 numero 1199, 16 gennaio 2012. V. anche SS.UU. numero 18374, 23 aprile 2013 . La quantificazione di detto risparmio è comprensiva del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all'accertamento del debito tributario Sez. 5 numero 1843, 17 gennaio 2012 . Si è inoltre evidenziata la necessità, da parte del giudice del merito, di una valutazione sul valore dei beni sequestrati, al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario Sez. 3 numero 17465,10 maggio 2012 Sez. 3 numero 41731, 25 novembre 2010 . Il sequestro non può, conseguentemente, riguardare beni di valore eccedente il profitto del reato Sez. 3 numero 1893, 18 gennaio 2012, Sez. 3 numero 10120, 11 marzo 2011 conf. Sez. 5 numero 2101, 18 gennaio 2010. V. anche Sez. 3 numero 30140, 24 luglio 2012 . 14. Date tali premesse, ritiene il Collegio che il Tribunale si è sostanzialmente adeguato ai principi appena richiamati, fornendo, anche in questo caso, puntuale risposta alle deduzioni formulate nel motivo di ricorso. Deve osservarsi, a tale proposito, che i giudici dell'appello hanno chiaramente indicato le ragioni per le quali non poteva essere considerato, quale riferimento significativo per la determinazione del valore dei beni, il provvedimento del Pubblico Ministero con il quale venivano liquidate le spettanze del custode giudiziario richiamato dal ricorrente. Al di là della considerazione, censurata in ricorso, sul rilievo probatorio del provvedimento, il Tribunale specifica che lo stesso era stato emesso successivamente all'ordinanza applicativa della misura reale e considerava altri beni non presenti nella consulenza utilizzata dal G.I.P. per l'emissione del suo provvedimento. I giudici, inoltre, prendono in considerazione altri aspetti fattuali, puntualmente indicati, effettuando, nei limiti della loro competenza, un nuovo calcolo e pervenendo alla conclusione che l'importo complessivo dei beni in sequestro individuato in Euro 7.258.000,00 risulta comunque inferiore al profitto del reato come in precedenza individuato. Su tali puntuali argomentazioni nulla osserva il ricorrente, limitandosi alla sommaria esposizione di un diverso e personale calcolo del valore dei singoli beni, ignorando del tutto quanto diffusamente esposto dal Tribunale. 15. Va poi osservato che a nulla rileva, ai fini della questione in esame, l'esito di altro giudizio nel quale è intervenuta la sentenza numero 23641/13 di questa Sezione, richiamata nella memoria e nei motivi nuovi, atteso che, in quell'occasione, le doglianze sulla quantificazione del profitto del reato erano state ritenute fondate in ragione della inadeguatezza ed illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, avendo il Tribunale omesso di specificare adeguatamente le ragioni del proprio convincimento, circostanza, questa, non verificatasi, come si è detto, rispetto alla vicenda oggi esaminata. 16. Per ciò che concerne, infine, il quinto motivo di ricorso, deve in primo luogo osservarsi come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano stabilito che la transnazionalità non è un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto a condizione che sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni a il reato sia commesso in più di uno Stato b il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato c il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato d il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato. In motivazione la Corte ha precisato che il riconoscimento del carattere transnazionale non comporta alcun aggravamento di pena, ma produce gli effetti sostanziali e processuali previsti dalla legge numero 146 del 2006 agli articoli 10, 11, 12 e 13 ” SS.UU. numero 18374, 23 aprile 2013 . Inoltre, il Tribunale ha chiaramente precisato che il G.I.P. aveva affrontato la questione concernente l'ambito temporale di applicabilità della legge 146/2006 e, riportando testualmente il contenuto del provvedimento applicativo della misura, ha chiarito come detto provvedimento fosse inequivocabilmente riferito ai reati commessi in epoca successiva all'entrata in vigore della legge e concernenti l'importo complessivo evaso nella misura in precedenza indicata Euro 11.595.474,08 . Come emerge dalla lettura del ricorso e del provvedimento impugnato, la misura cautelare attiene a reati aventi carattere transnazionale ed appare pertanto corretto il riferimento all'entrata in vigore della legge 146/2006, che costituisce il solo dato temporale significativo, non assumendo, conseguentemente, rilievo la dedotta impossibilità di applicazione retroattiva della confisca per equivalente per i reati tributari commessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 143, legge 244 del 2007. Del resto, si è già avuto modo di affermare che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, previsto dall'art. 11 della legge 16 marzo 2006, numero 146 per i reati transnazionali, è applicabile anche al profitto dei reati di frode fiscale rientranti nel programma associativo di un'organizzazione criminale transnazionale Sez. 3 numero 11969, 24 marzo 2011 . Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.