L’assunzione di farmaci non scagiona l’automobilista che alza il gomito

Chi sa di dover assumere farmaci che potrebbero alterare l’alcoltest deve astenersi dalla ingestione di alcol e, comunque, evitare di mettersi alla guida.

È quanto emerge dalla sentenza n. 39490, depositata il 24 settembre 2013, della Corte di Cassazione. Il caso. Un automobilista, vista la conferma della condanna per aver guidato in stato di ebbrezza, seppur con la concessione del beneficio della non menzione della condanna e la sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, propone ricorso per cassazione. Il ricorrente sostiene che si sarebbe dovuto tener conto della possibile interferenza del farmaco da lui assunto farmaco contenente alcol e quindi idoneo ad influire sullo stato di ebbrezza. Conta la quantità assorbita dal sangue. Gli Ermellini, prima di tutto, ribadiscono che il codice della strada, all’art. 186, punisce chiunque si pone alla guida in stato di ebbrezza conseguente all’uso di bevande alcoliche Cass., sent. n. 38793/2011 . Inoltre, con la sentenza in commento, spiegano che il parametro di riferimento adottato dal legislatore per valutare lo stato di ebbrezza non è rappresentata dalla quantità di alcol assunta, bensì da quella assorbita dal sangue, misurata in grammi per litro . Pertanto, nel caso in esame, anche ammettendo che il farmaco assunto avesse contribuito, sia pure marginalmente e per mera ipotesi , ad innalzare il tasso alcolemico, la responsabilità dell’imputato è stata correttamente accertata. L’assunzione di un farmaco non può cancellare la condanna. In conclusione, la Corte di legittimità afferma chi sa di assumere farmaci di tal genere deve astenersi dalla ingestione di alcol e specialmente deve evitare di mettersi alla guida oppure deve controllare con gli appositi test, facilmente reperibili in commercio, di trovarsi in condizioni tali da non risultare passibile della sanzione penale Cass., sent. n. 5909/2013 . Per questo, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 5 febbraio – 24 settembre 2013, n. 39490 Presidente Sirena – Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 21 maggio 2012 la Corte d'Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza in data 20 ottobre 2009 del Tribunale di Verbania, appellata da R.L., concedeva il beneficio della non menzione della condanna e sostituiva la pena detentiva irrogata all'imputato per il contestatogli reato di guida in stato di ebbrezza, con la corrispondente pena pecuniaria di Euro 2280,00, così determinando complessivamente la pena pecuniaria in Euro 3280,00 di ammenda. 2. Avverso tale decisione proponeva ricorso a mezzo del proprio difensore il R. lamentando la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di diniego opposto alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 606, comma 1 lett. b in relazione all'articolo 603 c.p.p., laddove il giudice d'appello aveva ignorato quanto sul punto affermato dalla difesa negli atti difensivi la violazione e falsa applicazione dell'articolo 606 comma 1 lett. b in relazione all'articolo 546 comma 1 lett. e c.p.p., laddove il giudice di Appello aveva ignorato quanto sul punto affermato dalla difesa negli atti difensivi la violazione e falsa applicazione dell'articolo 606, comma 1 lett. b ed e e.p.p. in relazione all'articolo 186 codice della strada, lett. a , b e c , la violazione del principio di offensività sancito dall'articolo 25 costituzione anche sotto il profilo dell'omessa motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione dell'articolo 606 comma 1 lett. b in relazione all'articolo 546 comma 1 lett. e laddove il giudice d'appello aveva ignorato quanto sul punto affermato dalla difesa negli atti difensivi. In via subordinata invocava la sostituzione della pena pecuniaria inflitta con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 d.lgs.vo n. 274 del 2000 previsto dall'articolo 186, comma 9 bis del codice della strada. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Sul punto osserva il Collegio la Corte territoriale ha legittimamente disatteso le richieste istruttorie avanzate in appello, in piena aderenza al pacifico principio secondo cui nel giudizio d'appello la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è istituto di carattere eccezionale, rispetto all'abbandono del principio dell'oralità che vige nel secondo grado di giudizio, dove vale la presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice. In una tale prospettiva, l'articolo 603 c.p.p., comma 1, non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, mentre è richiesto, come correttamente evidenzia il ricorrente, che il giudice renda conto, con adeguata motivazione sottoposta al controllo da parte di questa Corte, del percorso dal medesimo seguito nel ritenere raggiunta la prova della responsabilità. Onere al quale la corte di appello nei caso di specie non si è assolutamente sottratta, argomentando anche in ordine alla consulenza di parte e sottolineando come il perito d'ufficio abbia confutato le avverse argomentazioni peraltro ritenute dalla gravata sentenza generiche e del tutto scollegate dalle risultanze processuali in termini esaustivi e precisi rendendo del tutto superflua una nuova perizia. 4. Quanto al secondo motivo, non sussiste la denunciata carenza motivazionale avendo la Corte distrettuale puntualmente risposto alle doglianze del R. in ordine alla possibile interferenza del farmaco da questi assunto Ansimar con gli esiti dell'alcoltest, anche tenuto conto del fatto che i giudici di primo e secondo grado hanno dato per scontato che l'imputato assumesse il farmaco in questione i cui effetti e le cui caratteristiche erano assolutamente desumibili, come risulta dalla sentenza di primo grado, dal foglio illustrativo. Quanto all'accertamento di responsabilità, la difesa eccepisce in sostanza che si sarebbe dovuto tenere conto del medicinale contenente alcol e idoneo dunque ad influire sullo stato di ebbrezza. La tesi è infondata. Questa Corte sentenza n. 38793 del 2011 ha già precisato che l'articolo 186 C.d.S. punisce chiunque si pone alla guida in stato di ebbrezza conseguente all'uso di bevande alcoliche. Il parametro di riferimento adottato dal legislatore per valutare lo stato di ebbrezza non è rappresentata dalla quantità di alcol assunta, bensì da quella assorbita dal sangue, misurata in grammi per litro. Si tratta con tutta evidenza di una presunzione iuris et de iure , che porta a ritenere il soggetto in stato di ebbrezza ogni qualvolta venga accertato il superamento della soglia di alcolemia massima consentita, senza possibilità da parte del conducente di discolparsi fornendo una prova contraria circa le sue reali condizioni psicofisiche, la sua idoneità alla guida e l'influenza di farmaci. Nella specie, anche ammesso che l'Ansimar possa aver contribuito, sia pure marginalmente e per mera ipotesi, ad innalzare il tasso alcolemico, la responsabilità dell'imputato è correttamente accertata infatti chi sa di assumere farmaci di tal genere deve astenersi dalla ingestione di alcol e specialmente deve evitare di mettersi alla guida oppure deve controllare con gli appositi test facilmente reperibili in commercio di trovarsi in condizioni tali da non risultare passibile della sanzione penale cfr. in tal senso da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 5909 del 2013, Del Vecchio. 5. Quanto alla richiesta di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità occorre tenere presente che, essendo stato il reato commesso il 19.12.2008 la sanzione all'epoca prevista era quella da tre mesi ad un anno, mentre quella attualmente prevista, e convertibile in lavoro sostitutivo, è, ai sensi della L. 29 luglio 2010, n. 120 che ha introdotto anche il lavoro di pubblica utilità, quella dell'arresto da sei mesi ad un anno. Si tratta, come è del tutto evidente, di una sanzione più gravosa di quella che risulta dalla normativa vigente all'epoca del commesso reato, sanzione alla quale, per il principio di inscindibilità del trattamento sanzionatorio, ci si deve rapportare nell'eventuale decisione di applicazione del lavoro sostitutivo, che non potrà che avere luogo in relazione ad una sanzione principale definita con riguardo ai predetti limiti edittali. Ora, la valutazione del trattamento sanzionatorio più favorevole deve essere effettuata in concreto, tenendo conto dell'interesse dell'imputato, il che presuppone la chiara consapevolezza da parte del medesimo della sanzione che gli verrà applicata e la sua accettazione o la non opposizione . Nel presente caso la pena di cui l'imputato ha chiesto la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità, è inferiore a quella che può costituire parametro della sostituzione. Né risulta che l'imputato intenda accettare la determinazione della pena base nel nuovo minimo edittale rilevante ai fini della sostituzione con il lavoro di pubblica utilità. 6. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.