La sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte si configura anche nel caso di cessione dell’avviamento

Tra i beni degli enti societari dotati di autonomo valore commerciale rientra l’avviamento. È reato, dunque, cederlo al nuovo ente al solo scopo di eludere la riscossione coattiva dei debiti erariali.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 37389/13, depositata il 12 settembre scorso. Il caso. La Procura della Repubblica contestava al legale rappresentante di una società i reati di omesso versamento di ritenute certificate e imposta sul valore aggiunto artt. 10 bis e 10 ter , d.lgs. n. 74/2000 , nonché il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte art. 11, d.lgs. n. 74/2000 , per aver simulato la messa in liquidazione e la cessazione dell’ente al fine di evitare il pagamento di debiti erariali pari a circa 2,5 milioni di euro, continuando invece ad esercitare la medesima attività di impresa con gli stessi dipendenti e negli stessi locali mediante un diverso ente societario, dall’imputato rappresentato e partecipato unitamente ai suoi familiari. In sede di impugnazione del decreto di sequestro preventivo di somme di denaro, il Tribunale del riesame escludeva la sussistenza del fumus del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e riduceva l’importo sequestrato da 3 milioni di euro a 700.000 euro, per due ordini di ragioni non vi era prova di simulazione o atti fraudolenti, essendo la società liquidata in precarie condizioni economico-finanziarie e priva di beni dalla somma assoggettata a sequestro dovevano essere sottratti gli importi dovuti a titolo di sanzioni e interessi, nonché i debiti verso enti previdenziali e assistenziali e gli importi dovuti all’Agente della riscossione a seguito di provvedimenti di rateizzazione. Nella sentenza n. 37389/2013, la Terza Sezione della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della Procura della Repubblica, annulla con rinvio il provvedimento impugnato. Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. L’art. 11, d.lgs. n. 74/2000 punisce chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva comma 1 . Tra i beni degli enti societari dotati di autonomo valore commerciale rientra l’avviamento. Al fine di escludere la riconducibilità della condotta al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, il Tribunale del riesame ha valorizzato le precarie condizioni economiche in cui la società versava anteriormente alla liquidazione e l’assenza di beni. A tale ultimo proposito, il Giudice di legittimità osserva che tra i beni degli enti societari dotati di autonomo valore commerciale rientra l’avviamento nel caso di specie, tale bene era stato ceduto dalla società liquidata al nuovo ente al solo scopo di eludere la riscossione coattiva dei debiti erariali. Come si determina l’importo assoggettabile a sequestro preventivo? La Suprema Corte osserva che l’art. 11, d.lgs. n. 74/2000 punisce soltanto le condotte finalizzate alla sottrazione al pagamento di imposte sui redditi e imposta sul valore aggiunto, nonché di interessi e sanzioni relativi a tali tributi. Ne consegue che l’importo da assoggettare a sequestro deve essere determinato escludendo le somme dovute a titolo di ritenuta sui redditi di lavoro dipendente, i debiti nei confronti di enti previdenziali e assistenziali e gli importi dovuti all’Agente della riscossione a seguito di provvedimenti di rateizzazione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 maggio - 12 settembre 2013, n. 37389 Presidente Squassoni – Relatore Sarno Ritenuto in fatto 1. Il tribunale di Firenze, decidendo sulla richiesta di riesame proposta da R.U. avverso il decreto del gip del tribunale di Firenze con il quale era stato disposto il sequestro preventivo di somme di denaro sino all'importo di Euro 3 milioni per i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter ed 11 dLGS numero 74/2000 commessi dall'anno 2009, riduceva ad Euro 700.000 l'importo fino a concorrenza del quale era stato disposto il sequestro preventivo escludendo la riconducibilità della fattispecie concreta alla violazione dell'articolo 11 Dlgs 74/2000. La violazione di tale disposizione risulta ipotizzata per avere il R. , quale legale rappresentante della società ICC, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto dovute da tale società, simulato la messa in liquidazione e la cessazione di essa, con una situazione debitoria verso l'Erario pari a Euro 2.454.798, mentre l'attività di impresa continuava con gli stessi dipendenti e negli stessi locali di proprietà della società TOSCOS del cui capitale era titolare all'85% mentre il residuo 15% era intestato alle figlie. 1.1 Rilevava in proposito che della specie non vi era la prova di qualsivoglia stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre tutto in parte le garanzie patrimoniali alla riscossione attiva del debito tributario in quanto alla data della liquidazione, la società ICC non era intestataria di beni mobili o immobili, aveva un deficit patrimoniale pari a Euro 2.454.798, né risultava che la liquidazione e la cessazione della società fossero simulate. Peraltro aggiungeva il tribunale che la circostanza che alla ICC fosse subentrata altra società l'anno precedente, avrebbe potuto comportare la fraudolenza dell'operazione ma non la natura simulata di essa e comunque non risultava nemmeno quali fossero le attività in concreto della società, stante il suo deficit patrimoniale, che si sarebbero inteso sottrarre alla garanzia generica dei debiti della società mediante la messa in liquidazione e cessazione della società ICC. Aggiungevano i giudici di merito che il profitto cui deve rapportarsi il sequestro preventivo può essere costituito solo degli importi corrispondenti alle somme dovute all'erario pari complessivamente Euro 592.973 mentre non avrebbe potuto in alcun modo venire in rilievo genericamente l'ammontare complessivo dei debiti della società, neppure di carattere tributario, nella misura indicata dal pubblico ministero, in quanto comprensivo di sanzioni ed interessi o concernendo debito accumulato nei confronti di altri enti di natura previdenziale. 2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica di Firenze, deducendo l'illogicità evidente della motivazione sulla violazione dell'articolo 11 Dlgs 74/2000 e 321 cpp. Nei motivi di ricorso, dopo avere tra l'altro premesso che la società presentava un deficit patrimoniale pari a 2.454.798 Euro costituito da debiti contratti negli ultimi anni per lo più nei confronti dell'erario e di enti vari tra i quali 197.054 per imposte dirette, 683.323 per IVA, 537.641 per ritenute sul reddito di lavoro dipendente, 521.875 verso l'Inps e 426.116 per rateizzazioni Equitalia, esponeva le ragioni per le quali si sarebbe dovuto ritenere la simulazione o la fraudolenza dell'operazione contestata, sottolineando che quest'ultima era inequivocabilmente finalizzata a frustrare ogni possibilità di riscossione coattiva erariale in quanto contestualmente l'indagato continuava a gestire la medesima attività attraverso altra società. Al riguardo dopo avere premesso che la società ICC il cui capitale sociale era interamente detenuto dalla Nyacon Limited di cui era amministratore unico il R.U. che svolgeva l'attività di fabbricazione di prodotti per l'igiene personale è stata posta in liquidazione 17 maggio 2012, cessando la partita Iva il 31/8/2012 e la produzione presso lo stabilimento in data 31/12/2011, evidenziava che, a partire dal 1 gennaio 2012, l'attività era sostanzialmente proseguita attraverso la società Toscos a r.l. di cui il medesimo R. è rappresentante legale dal 12 giugno 2012, il cui oggetto sociale non aveva inizialmente alcuna attinenza con la produzione di articoli per l'igiene che mai aveva dichiarato in precedenza reddito, nella quale erano stati spostati dipendenti della ICC e che utilizzava anche il medesimo capannone in uso a quest'ultima. Inoltre il PM ricorrente si duole del fatto che il tribunale abbia escluso la sussistenza del fumus dell'art. 11 citato rilevando anche che le precarie condizioni economico finanziarie della ICC giustificavano comunque la messa in liquidazione in quanto erroneamente l'organo giudicante si sarebbe limitato a considerare nella valutazione solo i beni mobili e di beni immobili della ICC, senza operare alcun riferimento ai beni immateriali quali know how, relazioni con i clienti, specifiche capacità tecniche dei dipendenti, nomi, segni distintivi, ecc. ascrivibili al concetto di avviamento, che costituiscono una parte rilevante del valore dell'azienda. La difesa ha depositato memoria per contrastare l'impugnazione del PM. Considerato in diritto 3. Va anzitutto premesso che l'esame del provvedimento impugnato non consente di chiarire a fondo il percorso che ha portato alla quantificazione dell'importo cui è stato circoscritto l'originario sequestro. Dalla motivazione sembra comunque da escludere che il tribunale abbia tenuto conto nella valutazione de qua anche la fattispecie dell'art. 11 Dlgs 74/2000, circostanza questa che ha determinato il ricorso del PM. Al riguardo, premesso che, come noto, a mente dell'art. 325 cpp può rilevare in questa sede unicamente il vizio di violazione di legge, si impongono alcune puntualizzazioni. Il tribunale, come correttamente evidenziato dal PM ricorrente, ha nella specie escluso che vi fossero elementi utili per ipotizzare la simulazione della liquidazione della società. Pur riconoscendo, inoltre, che la condotta scrutinata avrebbe potuto in astratto rilevare sub specie di fraudolenza dell'attività di liquidazione, ha in concreto escluso tale evenienza ritenendo che, in ogni caso, le precarie condizioni economiche in cui versava la società ICC, non avrebbe potuto determinare alcuna diminuzione delle garanzie mancando beni mobili ed immobili ad essa intestati. Ha opposto il PM che in tal modo non si sarebbe tenuto conto che anche l'avviamento rientra tra i beni della società ed è dotato di autonomo valore commerciale. L'obiezione del ricorrente è certamente corretta nella misura in cui afferma che il valore venale dell'azienda debba ricomprendere anche quello dell'avviamento come puntualizzato da numerose disposizioni normative e decisioni della Corte maturate nei più diversi contesti disposizioni di carattere tributario, successioni, locazioni, ecc . Ma non è questo il punto. Il tribunale sembra partire nel suo ragionamento da una realtà sostanziale e, cioè, che all'atto della liquidazione si fosse già realizzata la cessione dell'avviamento da parte della ICC alla Toscos e che dunque il valore aziendale non solo doveva prescindere dal valore di avviamento ma proprio per la situazione di distacco in precedenza maturata, si era resa inevitabile la liquidazione della società. Ma in questo modo il ragionamento si pone in contrasto con il disposto dell'art. 11 citato. Se non vi è dubbio che, in via di principio non vi siano disposizioni intese a garantire la conservazione dell'avviamento in capo all'azienda ostando ciò al principio della libertà di concorrenza, ciò presuppone che il tutto avvenga nel rispetto della correttezza che deve improntare i rapporti giuridici. Non ricorre tale condizione nel caso in cui la società ICC, stando all'ipotesi di accusa, sarebbe stata volutamente spogliata degli elementi attivi per favorirne la liquidazione, in modo da eludere possibili azioni esecutive sulla medesima società da parte dell'Erario. Il tribunale cade quindi nell'errore di non valutare l'insieme della condotta limitandosi a valorizzare le ragioni della liquidazione. In questo senso omette di considerare, infatti, che la disposizione dell'art. 11 è finalizzata a reprimere specificamente la condotta di chi aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva . 3.2 Occorre allora affrontare la seconda questione vale a dire quella concernente l'individuazione dei pagamenti rilevanti per la sussistenza del reato, indispensabile per definire l'importo della somma da assoggettare a sequestro. Il dato testuale della disposizione dell'art. 11 non consente dubbi sul fatto che la condotta indicata rileva solo se finalizzata alla sottrazione del pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero delle sanzioni amministrative relative a tali imposte. L'art. 11 Dlgs 74/2000 sanziona, infatti, come noto, la condotta di colui il quale, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a lire cento milioni, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. È dunque da escludere che la norma in questione possa essere ricomprendere finalità diverse da quelle indicate e, pertanto, la norma in questione non può trovare applicazione nel caso di pagamenti di ritenute sul reddito di lavoro dipendente, verso l'Inps o verso Equitalia per somme pertinenti a rateizzazioni. Occorre invece tenere conto degli interessi e delle sanzioni amministrative per l'omesso pagamento di imposte sui redditi o sull'IVA, come peraltro più volte puntualizzato da questa Corte. 4. Il ricorso del PM conclusivamente deve essere ritenuto fondato con riferimento agli aspetti indicati e, di conseguenza, il provvedimento del riesame va annullato con rinvio per una nuova valutazione che si conformi ai principi indicati. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla la ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Firenze.