Depressione e potenziali tendenze suicide: la psiche rifiuta il carcere. Ma la detenzione è confermata

Nessun pericolo clamoroso, che legittimi la richiesta della domanda presentata dall’uomo e finalizzata al differimento dell’esecuzione della pena. La patologia evidenziata, ossia un disturbo da adattamento al carcere con spunti depressivi e ansiosi, può essere affrontata dietro le sbarre. Tutto ciò senza mettere in discussione umanità e dignità del detenuto.

Depresso, affetto da malnutrizione cronica, e, per giunta, con tendenze latenti al suicidio. Reazioni quasi normali all’esperienza della vita dietro le sbarre, reazioni che, però, non possono essere considerate così gravi da ‘sospendere’ il regime carcerario Cassazione, sentenza n. 27661/2013, Prima Sezione Penale, depositata oggi . Carcerazione. Durissimi i reati addebitati a un uomo, per la precisione rapina aggravata ai danni di portavalori, omicidio di guardia giurata , commessi, per giunta, in un contesto di criminalità organizzata . E durissima è anche la condanna ben 15 anni di reclusione. Ma è proprio l’entrata in galera a rappresentare uno shock – almeno questa è la tesi difensiva – per l’uomo, affetto da un disturbo dell’adattamento alla condizione carceraria, con sintomi depressivi ansiosi . Conseguenziale è la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena , richiesta, però, respinta dal Tribunale di Sorveglianza perché il quadro delineato non costituiva fonte di pericolo per la vita dell’uomo. Nessun allarme. Pronta la reazione del legale dell’uomo ricorso in Cassazione. Fondato, soprattutto, sull’ipotesi di pericolo di vita . A sostegno di questa tesi viene richiamata una relazione di servizio sullo stato depressivo del detenuto e la conseguente decisione del Magistrato di Sorveglianza di disporre massima vigilanza, onde impedire gesti anticonservativi . Ciò perché era stata registrata un’evoluzione in negativo delle condizioni del condannato , come testimoniato da un disturbo depressivo maggiore, con rischio suicidario , da un calo di peso ritenuto significativo di una condizione di stress psicologico che avrebbe determinato una forma di anoressia , e, infine, dalla constatazione che l’uomo continua a condurre una vita al di sotto degli standard minimi di dignità, vivendo l’esperienza carceraria nel più assoluto isolamento . Tuttavia, le osservazioni mosse dal legale dell’uomo non vengono valutate come fondate dai giudici della Cassazione, i quali, invece, ritengono legittime le considerazioni espresse dal Tribunale di Sorveglianza. Detto in maniera chiara, il quadro clinico dell’uomo non è ritenuto tale da rappresentare profili di particolare gravità , e, comunque, risultava monitorabile e affrontabile in ambito carcerario , compresa la patologia costituita da un disturbo da adattamento al carcere, con spunti depressivi ed ansiosi . E, inoltre, aggiungono i giudici della Cassazione, non erano rilevabili peggioramenti ciò stava a significare che la permanenza in carcere , certamente non accettata dall’uomo, non era foriera di aggravamenti integranti un reale pericolo per la vita del condannato. Conclusioni facili da trarre, infine, per i giudici alla luce della situazione dell’uomo, non vi è alcun contrasto con il fondamentale senso di umanità , e soprattutto non vi è alcun allarme, non risultando il regime carcerario incompatibile con la malattia , seppure comprensibilmente non accettato dal detenuto.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 aprile – 24 giugno 2013, n. 27661 Presidente Siotto – Relatore Caprioglio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del giorno 8.11.2012, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena avanzata da C.B., ai sensi dell’art. 147 comma 2 cod. pen., in espiazione di pena ad anni quindici di reclusione, con decorrenza 28.11.2011 e fine il 27.4.2024, inflitta per reati di rapina aggravata ai danni di portavalori e di omicidio di guardia giurata, commessi in un contesto di criminalità organizzata, sul presupposto che le condizioni di salute dell’istante non erano particolarmente gravi e che comunque erano fronteggiabili in ambito carcerario. In particolare era stato sottolineato che la carcerazione aveva scatenato un disturbo dell’adattamento alla condizione carceraria con sintomi depressivi ansiosi che era stato fronteggiato con terapie farmacologiche, essendo risultato assente un disturbo depressivo maggiore che la perdita di peso era collegata ad una malnutrizione calorica di grado lieve che la patologia respiratoria risultava trattata con terapia antibiotica mirata. Veniva quindi rilevato che il quadro non costituiva fonte di pericolo per la vita dell’interessato, anche perché potevano essere utilizzati gli strumenti previsti dall’art. 11 OP, cosicchè non venivano ritenuti sussistenti i presupposti per differire l’esecuzione della pena. 2. Avverso tale pronuncia, veniva proposto ricorso per Cassazione dalla difesa per dedurre violazione di legge, motivazione mancante ed illogica. Veniva fatto di rilevare che il C., nei cui confronti venne riconosciuta la diminuente di cui all’art. 116 cod. pen, non risultò inserito in contesti di criminalità organizzata. I fatti in espiazione sono risalenti al 1990 ed il C. non aveva carichi pendenti. Ciò posto la difesa faceva rilevare che a seguito di trasmissione di relazione di servizio 16.10.2012 sullo stato depressivo del prevenuto, il Magistrato di Sorveglianza aveva disposto massima vigilanza sul prevenuto, onde impedire gesti anticonservativi. Ed infatti la consulenza di parte aveva concluso per un disturbo depressivo maggiore con rischio suicidiario, conclusioni non tenute in considerazione nel provvedimento impugnato lo stesso calo ponderale doveva essere ritenuto significativo di una condizione di stress psicologico che avrebbe determinato una forma di anoressia. Le conclusioni peritali sono state messe in discussione poiché il perito ebbe a visitare il ricorrente in una sola occasione, in epoca antecedente alla relazione del direttore del carcere che evidenziava un’evoluzione in negativo delle condizioni del condannato. Veniva aggiunto che prescindendo dal sempre presente pericolo di vita suicidio del ricorrente, vi sarebbe in atti la certezza che il C. continua a condurre una vita al di sotto degli standard minimi di dignità, vivendo l’esperienza carceraria nel più assoluto isolamento. Era stato sollecitato dalla direzione del carcere il ricovero per l’opacità polmonare che non fu mai stato eseguito, con il omissis che le singole infermità, associate tra loro, determinerebbero uno stato depressivo incompatibile con il regime detentivo. 3. Il Procuratore Generale ha chiesto di rigettare il ricorso. Considerato in diritto Il ricorso, infondato, deve essere rigettato con ogni dovuta conseguenza di legge. Deve essere ricordato che il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena per motivi di salute - ex artt. 146 e 147 c.p. può essere concesso v., ex multis, Cass. Pen. Sez. 1, n. 28555 in data 18.06.2008, Rv. 240602, Graziano ecc. solo ove si abbia riguardo a patologie così gravi da comportare prognosi infausta, e cioè rischio serio, e prossimo quoad vitam, ovvero si rendano necessari trattamenti terapeutici non praticabili in ambito carcerario. Agli atti vi sono evidenze tra cui una perizia medico legale da cui risulta che il quadro clinico del ricorrente non era tale da rappresentare profili di particolare gravità ed in ogni caso risultava monitorabile in ambito carcerario. In particolare è stato dato conto che la patologia rilevante era costituita da un disturbo da adattamento al carcere con spunti depressivi ed ansiosi, che ebbe a scatenare un forte calo del tono dell’umore tale sofferenza affrontata con l’ausilio ed il supporto di personale psichiatrico nonché con adeguata terapia, aveva mostrato un sensibile regresso, e non erano emerse diagnosi di disturbo bipolare. E’ stato rilevato che la patologia respiratoria era stata adeguatamente affrontata con terapia antibiotica, che la perdita di peso era riportabile ad una malnutrizione calorica di grado lieve, adeguatamente emendabile con la terapia antidepressiva, che le condizioni cardio circolatorie erano buone. Risultava quindi che i parametri di trattamento terapeutico erano rispettati in ambito carcerario, che non erano rilevabili peggioramento in corso, il che stava a significare che la permanenza in carcere certamente non accettata dall’interessato non era foriera di aggravamenti integranti un reale pericolo per la vita del prevenuto e che in ambito carcerario il soggetto era adeguatamente curato. È del pari infondata il profilo, su cui maggiormente insiste il ricorso, del contrasto con il fondamentale senso di umanità, atteso che non ricorreva alcuna situazione di particolare allarme non risultando il regime carcerario incompatibile con la malattia, seppure comprensibilmente non accettato dal prevenuto, attinto peraltro da una sanzione non lieve. A fronte della non contestabile pericolosità del soggetto, coinvolto in una grave rapina a cui seguì la morte del portavalori, che scolora la positività di un passato privo di macchia, le ragioni di prevenzione sociale sono state ritenute correttamente prevalenti sulle esigenze personali dell’interessato che possono trovare soddisfazione nella struttura carceraria quanto al contenimento della malattia ed alla sua cura, nonché al ricorso a qualsivoglia cura che si dovesse rendere necessaria in centri specializzati. Nessuna forzatura del dato normativo è quindi apprezzabile, né può questa Corte in detta sede contrapporre una propria valutazione a quella dei giudici del merito peraltro condotta in aderenza ai parametri di riferimento. Al rigetto del ricorso deve seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.