I beni dei parenti non sfuggono alla confisca

La nozione penalistica di proprietà, ai fini dell’interpretazione della norma sulla confisca per equivalente, si identifica nella disponibilità, da parte dell’indagato, del bene, anche qualora questo sia formalmente intestato a terzi estranei.

A ricordarlo è la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 24530, depositata il 5 giugno 2013, in occasione di un ricorso proposto dai familiari di un indagato per reati in materia di imposte sui redditi. Sequestro dei beni di moglie e figli. I ricorrenti, che si erano visti sequestrare dei titoli di cui aveva la disponibilità l’indagato, in forza di una delega rilasciatagli, hanno lamentato la violazione dell’art. 322 c.p., in relazione alla inconfiscabilità dei beni appartenenti a terzi estranei al reato, quali i titoli in questione. Distinzione tra proprietà e possesso. La Suprema Corte ha dichiarato manifestamente infondato il ricorso, richiamando la distinzione tra l’istituto civilistico della proprietà intestazione formale dei beni e la disponibilità situazione di potere di fatto sui beni , e ritenendo soltanto quest’ultima nozione connessa al caso in esame. Opportuni accertamenti. I giudici di Piazza Cavour hanno, inoltre, ribadito la necessità di una verifica tale da escludere che il titolare formale abbia anche il potere di fatto sul bene, dovendo essere questo, invece, in capo all’indagato. L’onere probatorio, secondo i principi generali, è della parte pubblica che chiede il sequestro dei beni di cui l’indagato non abbia anche l’intestazione formale di proprietà civilistica. Cognizione sommaria. I giudici di legittimità hanno ritenuto, nel caso concreto, adeguato l’accertamento di fatto sull’esistenza della disponibilità, in quanto il Tribunale ha utilizzato una serie di indici rapporto di parentela, delega, mancata indicazione dei motivi della delega e della provenienza dei titoli su cui costruire, validamente, quella che è pur sempre una cognizione sommaria.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, ordinanza 28 febbraio - 5 giugno 2013, numero 24530 Presidente Teresi – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 31 luglio 2012 il Tribunale di Alessandria ha respinto l'appello presentato da G.M. , S.S. e S.E. avverso ordinanza del gip del Tribunale di Acqui Terme emessa il 27 giugno 2012, che ne aveva rigettato la richiesta di restituzione del controvalore di Euro 95.000 di titoli depositati in un dossier titoli sottoposto a sequestro preventivo a seguito di provvedimento del 24 marzo 2012 sempre del gip del Tribunale di Acqui Terme relativo ai beni nella disponibilità, tra gli altri, di S.L. - coniuge di G.M. e padre delle altre due istanti -, indagato per i reati di cui agli articoli 110 c.p., 2, 8 e 10 d.lgs. 74/2000. Il Tribunale di Alessandria ha ritenuto che di tali titoli S.L. avesse la disponibilità in forza della delega rilasciatagli dai propri familiari, delega di cui questi non avevano significativamente spiegato i motivi del rilascio, non indicando neppure la provenienza dei titoli. 2. Contro l'ordinanza ha presentato ricorso il difensore di G.M. , S.S. e S.E. , sulla base di un unico motivo violazione dell'articolo 322 ter c.p. in relazione alla inconfiscabilità dei beni appartenenti a terzi estranei al reato, quali sarebbero i titoli in questione. L'ordinanza avrebbe ritenuto sufficiente la delega a operare sul conto e il rapporto coniugale con G.M. , non compiendo alcun approfondimento per provare la ritenuta discrasia tra la intestazione formale e l'effettiva disponibilità sui beni - in contrasto con la giurisprudenza di legittimità Cass. sez. V, 22 febbraio 2012 numero 6962 -, limitandosi dunque a una mera presunzione. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. L'articolo 322 ter c.p. prevede al primo comma la confisca per equivalente - cui è prodromico il sequestro - di beni, di cui il reo ha la disponibilità . Non facendo riferimento alla proprietà dei beni - quale istituto civilistico - la norma si rapporta dunque non a una loro intestazione formale, bensì a una situazione di potere di fatto su di essi, che qualifica disponibilità . Esiste, in effetti, una nozione penalistica della proprietà contigua sul piano civilistico ben più al possesso nel senso di contenuto del potere del proprietario, che alla proprietà quale titolarità del diritto che, anche ai fini della interpretazione della fattispecie criminose, si identifica nella disponibilità del bene p.es. Cass. sez. VI, 18 aprile 2012 numero 40597 a tale nozione si connette la cautela del sequestro per equivalente - finalizzato a una misura, quale la confisca, che non presuppone infatti alcuna forma di responsabilità civile Cass. sez. III, 3 settembre 2012 numero 40364 - investendo i beni che si trovano comunque nella disponibilità, appunto, dell'indagato, anche qualora siano formalmente intestati a terzi estranei da ultimo, per una fattispecie di contestazione v. Cass. sez. III, 19 ottobre 2011 numero 45353 . La scissione tra titolarità formale/proprietà e potere di fatto/disponibilità che è il presupposto della valenza di quest'ultima comporta tuttavia la necessità di una verifica, tale da escludere che il titolare formale abbia anche il potere di fatto sul bene, essendo questo invece in capo all'indagato. L'onere probatorio, secondo i principi generali, è della parte pubblica che chiede disporsi il sequestro su beni qualificati come nella disponibilità dell'indagato, se a tale disponibilità non sia congiunta anche la intestazione formale di proprietà civilistica. Ciò è stato sostanzialmente confermato dalla giurisprudenza invocata dal ricorrente Cass. sez. V, 22 febbraio 2012 numero 6962, anche se il riferimento all'onere della prova della discrasia riguarda un passo della motivazione relativo all'esposizione dei motivi del ricorso che, in un'ipotesi di sequestro su conto intestato al coniuge del soggetto indagato per cui quest'ultimo aveva delega, ha ritenuto la insufficienza di questa - peraltro qualificandola presunzione - a dimostrare la disponibilità dell'indagato di quanto giacente sul conto intestato al coniuge. A prescindere dal rilievo che in tal modo la citata pronuncia si è approssimata a una cognizione di fatto in ordine alla idoneità dell'elemento probatorio la delega a dimostrare la disponibilità in un contesto in cui non poteva neppure farsi valere il vizio motivazionale ex articolo 606, primo comma, lettera e, c.p.p. ex articolo 325 c.p.p. , si osserva che, se si vuole intendere correttamente come affermazione di principio di diritto il suo contenuto nel senso di necessità di un adeguato accertamento di fatto sull'esistenza della disponibilità, incorrendosi altrimenti nella violazione della norma laddove indica la disponibilità quale presupposto della cautela, nel caso in esame si deve dare atto che non è stato violato il precetto normativo. L'ordinanza impugnata, invero, non ha limitato il fondamento della disponibilità al rapporto coniugale e all'esistenza della delega, come sostiene il ricorso, bensì ha espletato proprio l'approfondimento che il ricorso lamenta omesso, utilizzando una serie di indici su cui costruire quella che, si ricorda, è una cognizione sommaria accanto alla delega e alla parentela, il fatto che la G. operasse nella società di cui il marito era legale rappresentante, come risultante dagli esiti istruttori già acquisiti, nonché la mancanza di indicazione, nel ricorso al giudice di merito, non solo delle ragioni della delega ma soprattutto - a differenza, si nota per inciso, del caso esaminato da Cass. sez. V, 22 febbraio 2012 numero 6962 - della fonte di provenienza dei titoli . In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna di ogni ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che ogni ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.