Il reato è prescritto: quale sorte per la confisca per equivalente?

L’estinzione del reato per prescrizione preclude la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo e il profitto, prevista come obbligatoria dall’art. 322 ter c.p

Il caso. All’esito di un tormentato iter giudiziario la Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una pronuncia della corte di Appello di Milano, che, pur riconoscendo la intervenuta estinzione dei reati di corruzione e di truffa per decorso del termine di prescrizione, aveva confermato la confisca per equivalente su un cospicuo patrimonio del quale i condannati disponevano. Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati deducendo la inoperatività della confisca per equivalente nel caso di intervenuta declaratoria di prescrizione dei reati per i quali era stata disposta. Confisca e prescrizione un rapporto difficile. La questione del rapporto tra la declaratoria di intervenuta prescrizione del reato e la confisca costituisce senza dubbio, da alcuni anni a questa parte, una delle tematiche di maggior interesse affrontate con dovizia di argomentazioni dalla dottrina e della giurisprudenza. Esiste infatti un consolidato e diffuso orientamento giurisprudenziale che riconosce la legittimità della confisca obbligatoria anche nell’ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Secondo tale orientamento la confisca obbligatoria deve dunque trovare applicazione anche allorché il giudice dichiari con sentenza che il reato sia estinto per prescrizione. A sostegno di tale impostazione si richiama il combinato disposto degli artt. 210 e 236 c.p.p., che in relazione alla confisca, quale misura di sicurezza patrimoniale, prevede una particolare deroga al principio statuito dall’art. 210 c.p. secondo cui l’estinzione del reato impedisce la applicazione delle misura di sicurezza. Nel dettaglio l’inciso contenuto nell’art. 236 – che detta le regole generali per le misure di sicurezza patrimoniali - capoverso c.p. salvo che si tratti di confisca esonera espressamente l’operatività del dettato dell’art. 210 c.p. - che sancisce l’inapplicabilità di misure di sicurezza in caso di dichiarazione di estinzione del reato - nel caso della confisca. La ratio di tale disposto normativo si rinvenirebbe nella esigenza di sottrarre definitivamente dal commercio beni la cui origine sia da ricondurre ad una attività penalmente illecita, che renderebbe obbiettivamente pericolosi e non meritevoli di alcuna tutela i suddetti beni. In realtà, detta impostazione giurisprudenziale non è pacifica in quanto altre pronunce con ragionamento assolutamente convincente Cass. Penumero SS.UU. numero 38834/2008, De Maio evidenziano che la applicazione di una misura di sicurezza patrimoniale, quale è la confisca obbligatoria ex art. 240 comma 2° numero 1 c.p., presuppone come requisito indispensabile la esistenza di una sentenza di condanna . Vero, infatti, si sottolinea in tali pronunce, che il presupposto della confisca obbligatoria si rinviene proprio nella obbiettiva illiceità delle res, stante il loro peculiare collegamento con il fatto di reato, ma è altrettanto vero che tale collegamento con un fatto di reato può essere ritenuto esistente solo laddove il fatto di reato sia ritenuto sussistente con una sentenza di condanna, che, invece, il proscioglimento per prescrizione esclude. Confisca per equivalente e prescrizione peculiarità della fattispecie. La soluzione del caso di specie non passa tuttavia, secondo la Suprema Corte, attraverso il superamento dell’appena descritto contrasto interpretativo e ciò per la peculiare natura della confisca per equivalente rispetto alle ipotesi di confisca tradizionali . Come noto infatti la confisca per equivalente nasce proprio dalla esigenza di sottrarre alla disponibilità dell’imputato beni o altra utilità di cui il medesimo abbia la disponibilità, nel caso in cui sia impossibile provvedere ad identificare materialmente e fisicamente i beni che costituiscono l’effettivo prezzo o profitto del reato, per un valore corrispondente al prezzo, al profitto o al prodotto del reato. Già tale primo dato, dobbiamo rilevare, porterebbe al necessitato superamento - nell’ipotesi di confisca per equivalente – della impostazione giurisprudenziale che consente la confisca anche in caso di declaratoria di prescrizione, sulla base del presupposto della esistenza di un legame obbiettivo tra le res oggetto del provvedimento ablativo ed il fatto di reato. Elemento peculiare e presupposto della confisca per equivalente è infatti proprio il fatto che i beni oggetto di tale provvedimento non siano il prodotto, il profitto od il prezzo del reato in quanti tali beni non sono fisicamente identificabili , ma beni diversi dai suddetti che sono nella disponibilità dell’imputato e che hanno una valore equivalente agli stessi. Tuttavia è a monte di tale osservazione che si muove la Suprema Corte soffermandosi sulla ontologica natura della confisca per equivalente per evidenziare come al di là della definizione codicistica di misura di sicurezza patrimoniale, ben altra è la funzione e la ratio di tale istituto, che ha determinato un notevole ampliamento oggettivo dei beni suscettibili di confisca prescindendo, come sopra si è già avuto modo di osservare, dalla pericolosità di dette res in quanto riconducibili ad un fatto di reato, per arrivare, in realtà a sanzionare l’imputato sottraendo alla disponibilità del medesimo beni o denaro per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato. Non è necessario alcun vincolo di pertinenzialità tra beni confiscati per equivalente e reato. La confisca per equivalente, come in effetti ha chiarito la dottrina e la giurisprudenza sviluppatasi in questi ultimi anni, prescinde da ogni nesso di pertinenzialità tra beni oggetto del provvedimento ablativo e reato, ponendosi rispetto alle forme di confisca tradizionali in rapporto di alternatività-sussidiarietà, con lo scopo di aggredire ugualmente il profitto illecito conseguito dall’imputato nel caso in cui l’apprensione del prezzo o del profitto del reato non sia conseguibile attraverso le tradizionali forme di confisca in quanto detti beni sono stati ceduti a terzi, occultati o semplicemente non sono rinvenibili o identificabili. Prescindendo dunque dal nomen iuris la natura della confisca per equivalente è prevalentemente se non essenzialmente sanzionatoria. Sul punto si è consolidata sia l’impostazione dottrinaria che la giurisprudenza, avvallata anche da diverse pronunce della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che ha riconosciuto obbiettivi preventivi e punitivi alla confisca per equivalente e dunque caratteristiche proprie della sanzione penale punitiva. In linea con tale argomento, prosegue la Corte, si è ormai orientata anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale negando che la confisca per equivalente possa avere applicazione retroattiva come invece consentito, stante il disposto dell’art. 200 c.p., per le misure di sicurezza. Statuizione alla quale si è poi conformata la giurisprudenza della Cassazione. A sostegno poi di tale impostazione militano anche argomenti di carattere logico - sistematico non costituendo, nel vigente panorama normativo, la confisca per equivalente l’unica forma di confisca ad avere prevalente natura sanzionatoria, si pensi infatti alla confisca prevista dall’art. 19 d.lgs. numero 231/2001. Inapplicabilità della confisca per equivalente in caso di prescrizione. Se, dunque, pacificamente, la confisca per equivalente ha natura essenzialmente sanzionatoria, ne consegue necessariamente che la applicazione della stessa, come di qualunque sanzione di natura penale, debba essere preceduta da una pronuncia di condanna, senza nessuna possibilità di derogare ai principi penalistici di inapplicabilità di ogni sanzione penale in caso di estinzione del reato. In conclusione, osserva la Corte, la confisca per equivalente potrà trovare applicazione solo a seguito dell’accertamento con sentenza passata in giudicato della penale responsabilità del soggetto, con conseguente totale inapplicabilità della stessa, qualora l’imputato sia prosciolto per essersi il reato estinto per prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 dicembre 2012 – 29 aprile 2013, n. 18799 Presidente Agrò – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con decisione del 17 gennaio 2011 la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa il 18 gennaio 2010 dal G.u.p. del Tribunale di Milano in sede di giudizio abbreviato ed appellata da M A. , M.E F. , F.M. e S F. , dichiarava non doversi procedere nei loro confronti per i reati di corruzione e truffa contestati ai capi 5 e 7 per intervenuta prescrizione limitatamente ai fatti commessi entro il omissis - per le altre condotte i giudici ritenevano che le spontanee dichiarazioni rese dal coindagato D V. in data 19.11.2005 avessero determinato l'interruzione della prescrizione - e, conseguentemente, riducevano le pene inflitte agli imputati sopra menzionati con riferimento al reato associativo di cui al capo 1 e per gli altri residui reati, confermando le confische disposte e la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite. 2. Con sentenza del 12 settembre 2011 la Corte di cassazione dichiarava inammissibili i ricorsi presentati dagli stessi imputati sopra indicati avverso la decisione di secondo grado. 3. Contro la sentenza della Corte di cassazione A.M. , M.E F. , M F. e F.S. proponevano ricorso straordinario ai sensi dell'art. 625- bis c.p.p., assumendo che il giudice di legittimità fosse incorso in un errore di fatto avente ad oggetto la decisione di secondo grado sul punto riguardante la confisca. 4. Con decisione del 21 giugno 2012 la Corte di Cassazione ha dichiarato ammissibile il ricorso per errore di fatto, annullando la decisione impugnata e rinviando per la trattazione del ricorso straordinario. In particolare, è stato ritenuto che la precedente sentenza del 12 settembre 2011 abbia basato la sua decisione su un presupposto inesistente, frutto di un errore di fatto, per avere considerato che i giudici d'appello avessero riferito la confisca anche al reato di associazione per delinquere, laddove la misura di sicurezza risultava applicata solo in relazione ai reati di truffa e di corruzione, entrambi dichiarati estinti per prescrizione, richiamando quell'orientamento giurisprudenziale che consente di mantenere la misura di sicurezza patrimoniale anche in relazione alle fattispecie dichiarate estinte a seguito di prescrizione. Tale errata percezione ha determinato la Corte di legittimità a considerare che la confisca non fosse stata oggetto di impugnazione, dichiarando inammissibili i ricorsi. Pertanto, in questa sede devono essere esaminati gli originari motivi proposti nei ricorsi da M.E F. , F.M. , S F. e M A. con riferimento alle confische disposte per i reati di truffa e corruzione dichiarati prescritti. Considerato in diritto 5. I ricorsi sono fondati. 5.1. Il primo giudice, con riferimento ai reati di corruzione e truffa contestati ai capi 5 e 7 , aveva disposto ai sensi degli artt. 322 ter e 640 quater c.p. la confisca di beni mobili, immobili e crediti fino all'ammontare di Euro 670.701 per F.M.E. , di Euro 191.641 per F.M. e F.S. ed Euro 666.824 per M A. . La Corte d'appello ha confermato la sentenza su questo punto, nonostante l'intervenuta prescrizione del reato, richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di estinzione del reato, il giudice dispone di poteri di accertamento sul fatto-reato, sicché può ordinare la confisca non solo delle cose oggetti va mente criminose per loro intrinseca natura, ma anche di quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto-reato. Tuttavia, sul punto la motivazione della sentenza è piuttosto ellittica sia sul tipo di confisca - potendo solo indirettamente desumersi che si tratti di confisca di valore -, sia sulla quantificazione, in quanto non sembra prendere in considerazione quanto dedotto da alcuni ricorrenti circa parziali restituzioni di somme. Ma, soprattutto, la decisione impugnata segue acriticamente l'orientamento che ammette la confiscabilità di beni anche in presenza di reati estinti per dichiarata prescrizione, senza considerare che nella specie si è trattato di una confisca per equivalente. Le decisioni citate dai giudici d'appello Sez. II, 25 maggio 2010, n. 32273, Pastore e Sez. I, 4 dicembre 2008, n. 2453, Squillante, cui può aggiungersi anche Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756, Ciancimino hanno ad oggetto la confisca obbligatoria prevista dall'art. 240 c.p., cioè una misura di sicurezza patrimoniale ed è proprio con riferimento a tale natura che la confisca è stata ritenuta applicabile anche in caso di estinzione del reato per prescrizione. Si tratta di un indirizzo interpretativo che riconosce la possibilità di applicazione della confisca obbligatoria a norma dell'art. 240 comma 2 n. 1 c.p. alcune pronunce si riferiscono anche all'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992 nell'ipotesi di estinzione del reato facendo leva sul combinato disposto degli artt. 210 e 236 c.p., cioè su norme specificamente dedicate alle misure di sicurezza e che, in relazione alla confisca, prevedono una deroga al principio stabilito dal citato art. 210 c.p. secondo cui l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza. Invero, le ragioni in base alle quali le decisioni citate giustificano il ricorso alla confisca nonostante l'intervenuta estinzione del reato sono più articolate, insistendo, da un lato, sul fatto che la misura di sicurezza della confisca obbligatoria risponde ad una duplice finalità, cioè colpire il soggetto che ha acquisito i beni illecitamente ed eliminare in maniera definitiva dal mondo giuridico e dai traffici commerciali valori patrimoniali la cui origine risale all'attività criminale posta in essere, essendo il provvedimento ablativo correlato ad una precisa connotazione obiettiva di illiceità che investe la res determinandone la pericolosità in sé dall'altro, sulla circostanza che anche la dichiarazione di estinzione del reato può essere preceduta da una pronuncia di condanna che riconosca la sussistenza del reato cui la confisca è collegata. Occorre sottolineare come le decisioni citate si pongano in contrasto con altro e contrario orientamento della giurisprudenza di questa Corte, espresso anche dalle Sezioni unite Sez. un., 10 luglio 2008, n. 38834, De Maio Sez. II, 4 marzo 2010, n. 12325, Dragone Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 8382, Ferone , secondo cui l'estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall'art. 240 comma 2, n. 1 c.p., orientamento che mette in evidenza come la misura di sicurezza patrimoniale presupponga necessariamente la condanna. In altri termini, l'estinzione del reato per prescrizione impedisce la confisca, anche se obbligatoria, delle cose che ne costituiscono il prezzo, perché la misura ablativa è prevista non in ragione dell'intrinseca illiceità delle stesse, bensì in forza del loro peculiare collegamento con il reato, il cui positivo accertamento è necessario presupposto in questi termini, Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 8382, Ferone . 5.2. Tuttavia, non si ritiene di dover entrare ulteriormente nello specifico di queste sentenze, perché la fattispecie in esame presenta delle radicali differenze dovute al fatto, già sottolineato, che la confisca applicata dalla decisione impugnata è quella per equivalente o di valore prevista dagli artt. 322-ter e 640- ter c.p Come è noto quella per equivalente è una forma di confisca che si inserisce nel percorso evolutivo di questo complesso istituto che si presenta sotto specie diverse, in quanto strumento che si è rivelato particolarmente duttile nel perseguire lo scopo politico-criminale di sottrarre gli utili derivanti dalle attività criminose. Si tratta di un provvedimento ablativo che può avere ad oggetto denaro, beni o altre utilità di cui l'imputato abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto o al profitto del reato previsto per alcune fattispecie di reato - tra cui i delitti in materia di corruzione e le truffe, come nel caso in questione - per cui sia intervenuta una sentenza di condanna o di patteggiamento e sia impossibile identificare fisicamente le cose che di tali reati costituiscono effettivamente il prezzo o il profitto. Pertanto, la confisca per equivalente trova il suo fondamento e limite nel vantaggio tratto dal reato e prescinde dalla pericolosità derivante dalla res , in quanto non è commisurata né alla colpevolezza dell'autore del reato, né alla gravità della condotta, avendo come obiettivo quello di impedire al colpevole di garantirsi le utilità ottenute attraverso la sua condotta criminosa. Ne consegue che nonostante la definizione codicistica dell'istituto come misura di sicurezza patrimoniale, l'effettiva ratio di questo tipo di confisca consista in un ampliamento oggettivo delle cose confiscabili per finalità prevalentemente sanzionatore. Proprio l'inadeguatezza del modello tradizionale di confisca - che deve riguardare necessariamente gli stessi beni su cui ha avuto incidenza il reato e che richiede, quindi, la sussistenza del nesso di pertinenzialità tra bene e reato - ha determinato il legislatore ad introdurre l'ipotesi della confisca c.d. di valore, che può essere disposta solo quando non è possibile procedere alla confisca ordinaria . Scopo di questo istituto è quello di superare le angustie della confisca tradizionale , rispetto alla quale si pone in un rapporto di alter natività - sussidiarietà, per la sua attitudine a costituire un rimedio alle difficoltà di apprensione dei beni coinvolti nella vicenda criminale, cioè a supplire agli ostacoli connessi alla individuazione del bene in cui si incorpora il profitto e di consentire la confisca anche nel caso in cui l'apprensione del prezzo o del profitto derivante dal reato non sia più possibile in conseguenza dell'avvenuta cessione a terzi oppure a causa di forme di occultamento o, semplicemente, perché i beni sono stati consumati. In questi casi la confisca per equivalente consente di aggredire ugualmente il profitto illecito perché si riferisce al valore illecitamente acquisito. È evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto il provvedimento ablatorio colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato. Allora, la provenienza dei beni da reato non rappresenta più oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale. Ed è proprio in base a queste caratteristiche della confisca per equivalente che la giurisprudenza - sostenuta dalla dottrina - ne valorizza la natura sanzionatoria. D'altra parte, a mettere in crisi l'inquadramento tradizionale della confisca in quanto tale è stata anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, che in più occasioni ha riconosciuto alla confisca natura di pena ai sensi dell'art. 7 della C.e.d.u., rilevando come tale misura non tenda alla riparazione pecuniaria di un danno, ma si ponga obiettivi preventivi e repressivi, funzioni queste che appartengono alle sanzioni penali cfr., Corte eur. dir. uomo, 20 gennaio 2009, Fondi Sud s.r.l. e. Italia, nonché 1 marzo 2007, Geerings c. Paesi Bassi . La Corte costituzionale, con la sentenza n. 97 del 2009, relativa ad una ipotesi di confisca per equivalente, richiamandosi ad un'altra pronuncia della Corte Europea dei diritti dell'uomo sentenza n. 307A/1995, Welch c. Regno Unito , ha ritenuto che non abbia natura di misura di sicurezza, negando che questo tipo di confisca potesse essere applicata in via retroattiva ai sensi dell'art. 200 c.p. e facendo, invece, espresso riferimento agli artt. 25 Cost. e 2 c.p. Nello stesso senso si è espressa anche la giurisprudenza della Corte di cassazione, che ha negato l'applicazione retroattiva della confisca di valore invocando anche l'art. 7 della C.e.d.u. Sez. II, 29 gennaio 2009, n. 11912, Minardi e sottolineando la natura afflittiva e sanzionatoria di questo tipo di confisca Sez. III, 24 settembre 2008, n. 39172, Canisto Sez. III, 24 settembre 2008, n. 39173, Tiraboschi Sez. VI, 18 febbraio 2009, n. 13098, Molon Sez. V, 26 ottobre 2010, n. 11288, Natali, tutte riferite all'art. 322 ter c.p. in materia tributaria v., inoltre, Sez. I, 28 febbraio 2012, n. 11768, Barilari Sez. II, 13 maggio 2010, n. 21027, Ferretti . D'altra parte, le Sezioni unite hanno sottolineato come con il termine confisca il legislatore identifica misure ablative di diversa natura, in base al contesto normativo cui si riferisce, riconoscendo la natura di sanzione principale, autonoma e obbligatoria alla confisca prevista dall'art. 19 d.lgs. 231 del 2001 Sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpinati è vero che la confisca a carico degli enti è espressamente qualificata come sanzione principale dal citato art. 19, ma è interessante notare che questa decisione valorizza la natura afflittiva della misura - in tutto simile, quanto a struttura, all'art. 322-ter c.p., contemplando anche la forma per equivalente - e la sua funzione di deterrenza, in vista di prevenzione generale e speciale. Ebbene, secondo le decisioni citate la natura sanzionatoria è desumibile dalla confiscabilità di beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, non hanno un collegamento diretto neppure con il singolo reato e la cui ratio è quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico dell'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento. 5.3. Da quanto precede deriva che proprio la natura sanzionatoria impedisce che la confisca per equivalente possa trovare applicazione anche in relazione al prezzo o al profitto derivante da un reato estinto per prescrizione una volta che questo tipo di confisca viene accostata ad una sanzione di natura penale è indispensabile che sia preceduta da una pronuncia di condanna, dovendo escludersi che possa trovare applicazione il regime sulle misure di sicurezza patrimoniale, come gli artt. 200, 210 e 236 c.p. che, come si è visto, derogano ai principi penalistici della irrevocabilità e della inapplicabilità della sanzione penale in caso di estinzione del reato. Del resto appare difficile offrire una diversa lettura delle specifiche disposizioni contenute nell'art. 322- ter c.p. che, appunto, subordina la confisca, anche quella di valore, alla condanna o all'applicazione della pena su richiesta delle parti la confisca per equivalente può essere applicata, al pari delle sanzioni penali, solo a seguito dell'accertamento della responsabilità dell'autore del reato. In conclusione, deve affermarsi il principio che l'estinzione del reato preclude la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo e il profitto , prevista come obbligatoria dall'art. 322- ter c.p., richiamato anche dall'art. 640- quater c.p 6. Ne consegue, che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano che nel nuovo giudizio, limitato alla confisca disposta in relazione ai reati di truffa e di corruzione dichiarati prescritti, dovrà attenersi al principio di diritto sopra enunciato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle confische disposte per reati già prescritti e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.