Detenuto sposato e desideroso di diventare padre: niente permesso per ‘consumare’ il matrimonio

Confermato anche in ultimo grado il rifiuto, già sancito dal magistrato e dal tribunale, alla richiesta di permesso presentata dall’uomo. Tale richiesta, difatti, può essere legittimata solo da situazioni di pericolo o di emergenza familiare, di particolare gravità. Più plausibile la scelta di richiedere un permesso premio

Matrimonio celebrato a detenzione ancora in corso. Superfluo, quindi, pensare a una ‘luna di miele’. Ma resta intatto per l’uomo, sempre dietro le sbarre, il desiderio di consumare il matrimonio” e così ‘esercitare’ il diritto alla procreazione”. Richiesta legittima? Se ne può discutere Certo è che il detenuto deve scegliere la strada del ‘permesso premio’, non quella del semplice ‘permesso’ Cassazione, sentenza n. 11581/13, Prima Sezione Penale, depositata oggi . Diritti. Cristallina la linea di pensiero seguita prima dal magistrato di sorveglianza e poi dal Tribunale la ragione addotta a sostegno della richiesta , ossia, come detto, il poter consumare il matrimonio”, contratto in costanza di detenzione , non è assolutamente catalogabile come evento familiare di particolare gravità . E solo questa motivazione può legittimare, ricordano i giudici, la richiesta di permesso Domanda da respingere, quindi. Ma il detenuto è fermamente intenzionato a proseguire la propria battaglia – ecco spiegato il ricorso ad hoc in Cassazione –, e per farlo si appiglia ai riferimenti forniti dalla Costituzione – articoli 29, 30 e 31, per la precisione – in materia di diritti della famiglia ricerca della paternità formazione della famiglia”. Secondo l’uomo, è proprio all’interno del quadro costituzionale che va collocata la richiesta di permesso finalizzata a consentirgli di vivere appieno il matrimonio e di potere costruire, con la propria donna, una famiglia. Piano sbagliato. Anche per i giudici di Cassazione, però, è erronea l’ottica utilizzata dal detenuto. Per una ragione semplicissima due sono le ipotesi previste per la concessione del premio, ossia l’imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente , da un lato, e il carattere eccezionale della concessione la particolare gravità dell’evento l’attinenza alla vita familiare , dall’altro. Evidentemente, quindi, l’obiettivo è la umanizzazione della pena , evitando al detenuto l’impossibilità di essere vicino ai congiunti o di adoperarsi in favore degli stessi in occasione di vicende particolarmente avverse della vita familiare . Conseguenza logica, e semplice, è quella di comprendere che la necessità di consumare il matrimonio, anche in vista della procreazione di figli, non può costituire un evento suscettibile di essere ricondotto alla categoria degli eventi eccezionali, caratterizzati da particolare gravità . E altrettanto consequenziale è la conferma della legittimità del rifiuto alla richiesta avanzata dal detenuto. Che, piuttosto, avrebbe potuto puntare sull’idea di un permesso premio”, che, come prevedono le norme sull’ordinamento penitenziario, è finalizzato anche a consentire di coltivare interessi affettivi

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 febbraio – 12 marzo 2013, n. 11581 Presidente Bardovagni – Relatore Cassano Ritenuto in fatto 1. Il 27 marzo 2012 il Tribunale di sorveglianza di Messina rigettava il reclamo presentato da R.G. avverso il procedimento col quale il locale Magistrato di sorveglianza aveva rigettato la richiesta di permesso dallo stesso avanzata ai sensi dell’art. 30 ord. pen. alla scopo di potere consumare il matrimonio” contratto, in costanza di detenzione, il 26 novembre 2009. Il Tribunale osservava che il provvedimento di rigetto si fondava sull’impossibilità di ricondurre la ragione addotta a sostegno della richiesta alla categoria degli eventi familiari di particolare gravità, cui l’art. 30, comma 2, subordina la concessione del beneficio invocato. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, G., il quale, lamenta inosservanza ed erronea applicazione di legge, nonché con vizio della motivazione con riferimento alle ragioni poste a base del diniego del beneficio invocato, considerato il quadro di riferimento dei diritti costituzionalmente garantiti artt. 29, 30, 31 in cui si colloca la richiesta di permesso, funzionale a garantire anche il diritto alla procreazione. Osserva in diritto Il ricorso non è fondato. 1. L’art. 30 ord. pen. contempla, due distinte ipotesi, in presenza delle quali è possibile concedere il permesso. La prima, disciplinata dal comma l, riguarda l’imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente. La seconda, disciplinata dal comma 2, è definita con riferimento a tre elementi il carattere eccezionale della concessione la particolare gravità dell’evento l’attinenza del medesimo alla vita familiare, l’eccezionalità delle concessioni e la particolare gravità dell’evento si confermano e rafforzano vicendevolmente, concorrendo a definire un fatto del tutto al di fuori della quotidianità sia per il suo intrinseco rilievo sia per la non frequenza del suo verificarsi. Quanto all’attinenza alla vita familiare, sebbene la disposizione faccia uso soltanto di questo aggettivo, è da ritenere che il legislatore abbia inteso contemplare, come ha espressamente fatto per l’analogo permesso premio previsto per l’imminente pericolo in vita di un familiare o di un convivente, eventi legati alla vita della famiglia sia legale che di fatto. 2. L’istituto del permesso ex art. 30 ord. pen. si connota, quindi, come rimedio eccezionale diretto a evitare, per finalità di umanizzazione della pena, che all’afflizione propria della detenzione si assommi inutilmente quella derivabile all’interessato dall’impossibilità di essere vicino ai congiunti o di adoperarsi in favore degli stessi in occasione di vicende particolarmente avverse della vita familiare. Sotto tale profilo, dunque, l’istituto di cui all’art. 30 ord. pen. si caratterizza in modo tale da non consentirne l’utilizzazione come strumento del trattamento cfr. sul punto anche Corte Cost. n. 84 del 1977 . 3. Il permesso ordinario deve essere tenuto distinto dal permesso premio art. 30-ter ord. pen. che ha, invece, una valenza premiale, come suggerisce, del resto, la stessa denominazione dell’istituto. La relativa esperienza costituisce parte integrante del programma di trattamento art. 30-ter, comma 1 . Il permesso premio è un incentivo alla collaborazione del detenuto con l’istituzione carceraria in funzione del premio previsto e, al tempo stesso, rappresenta uno strumento di rieducazione, in quanto consente un iniziale reinserimento del condannato in società. Corte Cost. sent. n. 90 del 1988 . Il beneficio diviene, altresì, attraverso l’osservazione da parte degli operatori penitenziari degli effetti sul condannato del temporaneo ritorno in libertà, strumento diretto ad agevolarne la progressione rieducativa Corte Cost. n. 227 e 504 del 1995 . 4. Nel caso in esame R.G. ha avanzato l’istanza di permesso ai sensi dell’art. 30, comma 2, e non - come astrattamente possibile - dell’art. 30-ter ord. pen. Correttamente, quindi, il Magistrato di sorveglianza ha respinto la richiesta e il Tribunale di sorveglianza ha rigettato il reclamo avverso il citato provvedimento, atteso che l’analogia delle situazioni disciplinate nel comma 2 dell’art. 30 con quelle previste dal comma 1 della medesima disposizione rende evidente che la concessione del permesso ai sensi dell’art. 30 ord. pen. presuppone la sussistenza di situazioni di pericolo o di emergenza familiare, connotate da eccezionalità e da particolare gravità. Sotto tutti questi profili, quindi, la necessità di consumare il matrimonio anche in vista della procreazione di figli non può costituire un evento suscettibile di essere ricondotto alla categoria degli eventi eccezionali, caratterizzati da particolare gravità, idoneo a giustificare il ricorso alla previsione contenuta nell’art. 30 ord. pen. Sez. 1, n. 48165 del 26 novembre 2008 . Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.