E’ illegittima la revoca della confisca per equivalente in fase esecutiva, tranne quando ...

In tema di confisca per equivalente, ove nel processo penale sia disposta la confisca definitiva, questa non è revocabile in fase esecutiva, fatti salvi i casi eccezionali in cui, con l’incidente di esecuzione proposto per la rimozione del provvedimento ablativo, si deducano non situazioni di fatto, coperte dal giudicato, ma elementi nuovi non valutati e non valutabili dal giudice che ha disposto la confisca.

Ne consegue che, all’esito del procedimento d’ufficio, avviato dal giudice dell’esecuzione esclusivamente al fine di procedere alla stima dei beni confiscati, non effettuata nel giudizio di cognizione, non può essere disposta la revoca della confisca dei beni oggetto di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p Lo ha stabilito la Prima sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4702, depositata il 30 gennaio 2013. La fattispecie. La pronuncia in esame prende le mosse dalla statuizione con la quale la prima sezione della Suprema Corte di Cassazione ha sostanzialmente negato la legittimità del provvedimento di revoca della confisca di beni mobili ed immobili, riconducibili alla società amministrata dall’imputato, disposto in fase esecutiva dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cosenza. Tale decisione veniva impugnata dai ricorrenti Pubblico Ministero e persona offesa dal reato , i quali agivano contro l’avvenuta restituzione, alla curatela della società nel frattempo fallita , dei beni mobili ed immobili in origine confiscati. Il rapporto con la confisca ex art. 12 sexies, d.l. n. 306/1992. Tanto il Pubblico Ministero quanto l’azienda sanitaria provinciale, ricorrenti in Cassazione, hanno fatto menzione, fra i loro motivi di gravame, all’applicazione estensiva della clausola di salvezza dei diritti della persona offesa alle restituzioni ed all’eventuale risarcimento dei danni, prevista dagli artt. 644, 600-septies c.p. e 12-sexies, d.l. n. 306/1992, ritenendo che la stessa abbia carattere e portata generale. Come è noto, mentre le prime due norme attengono a speciali misure, previste rispettivamente in favore di vittime di usura e di reati sessuali, la confisca prevista per i reati elencati all’art. 12 sexies, d.l. 306/1992 costituisce misura ablativa, avente natura punitivo-repressiva, che va disposta, in seguito a condanna, o ad applicazione concordata della pena, per determinati reati indicati dalla stessa norma, in relazione ai beni non direttamente collegati alla commissione dei reati, più specificamente per il denaro, i beni o le altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Tale motivo di ricorso non è stato tuttavia concretamente esaminato dalla prima sezione, la quale ha ugualmente deciso nel senso dell’annullamento del provvedimento di revoca impugnato, seppur per un vizio – evidentemente ritenuto assorbente rispetto agli altri – relativo alla carente competenza funzionale in capo al Giudice a quo . Il giudice non può revocare la confisca nella fase esecutiva. La sentenza de qua ha infatti accolto una delle doglianze prospettate in ricorso dalla persona offesa dal reato, facendo leva sull’incompetenza funzionale del giudice che aveva emesso il provvedimento di restituzione dei beni confiscati alla curatela fallimentare, ed ha dunque deciso nel senso della nullità del provvedimento stesso. Per il Supremo Collegio, infatti, il Gip calabrese non era investito, in sede di esecuzione penale, di un potere tale da consentirgli di decidere anche su questioni diverse ulteriori rispetto a quelle relative alla stima dei beni mobili ed immobili oggetto di confisca. Al più – sempre secondo l’estensore della pronuncia in commento – lo stesso Gip avrebbe potuto procedere alla revoca della confisca dei beni limitatamente al valore eccedente il prezzo o il profitto dei reati, cui si riferiva la sentenza che ha definito il giudizio di cognizione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 ottobre 2012 – 30 gennaio 2013, n. 4702 Presidente Chieffi – Relatore Posta Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 25 giugno 2007 il Gip del Tribunale di Cosenza aveva applicato la pena, condizionalmente sospesa, di anni uno, mesi undici e giorni venticinque di reclusione, oltre la multa, a C.C. in relazione ai reati cui agli artt. 110, 640 secondo comma n. 1, 479, 319 cod. pen Nel giudizio si era costituita parte civile l'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, persona offesa in relazione predetti reati. Contestualmente, il gip aveva disposto, ai sensi degli artt. 640 quater e 322 ter cod. pen., la confisca dei beni che erano stati oggetto di sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen In particolare, aveva disposto la confisca dei beni mobili ed immobili, fino alla concorrenza di Euro 2.102.293,38 come specificamente individuati nel dispositivo della sentenza, intestati a C.C. ed alla società C.O.M. s.r.l. della quale il predetto era amministratore unico, precisando che restavano rimessi al passaggio in giudicato della sentenza i relativi adempimenti estimatori. La sentenza è divenuta irrevocabile il 17 aprile 2008, allorché questa Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso proposto dal C. e da A.E.A. , moglie del predetto nella qualità di amministratore della società C.O.M. s.r.l La società C.O.M. s.r.l. è stata dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Cosenza del 6 febbraio 2008. 2. Con provvedimento in data 9.6.2008 il Gip del Tribunale di Cosenza, ritenendo che occorreva dare esecuzione alla misura di sicurezza della confisca per equivalente e che, a tale fine, occorreva preliminarmente procedere alla stima dei beni confiscati”, fissava udienza camerale per procedere al conferimento di incarico peritale per la stima, dandone comunicazione al pubblico ministero, al C. , al difensore del predetto, al custode giudiziario ed al curatore del fallimento della società C.O.M. s.r.l All'esito del deposito della relazione peritale sulla stima dei beni confiscati, il gip, sciogliendo la riserva dell'udienza del 15.1.2009, emetteva il provvedimento del 19.1.2009 con il quale disponeva la vendita di un veicolo e dei beni immobili intestati a C.C. - indicandone specificamente le modalità - e la conseguente devoluzione del ricavato al fondo unico giustizia disponeva, altresì, la restituzione alla curatela fallimentare dei beni mobili ed immobili confiscati intestati alla società C.O.M. s.r.l Il giudice dava atto del valore complessivo dei beni confiscati a C C. e alla società C.O.M. s.r.l., stimato in Euro 1.359.817 a fronte del profitto conseguito dal condannato a seguito della commissione dei reati in danno dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, pari ad Euro 2.102.293 della memoria con la quale la curatela fallimentare si opponeva alla confisca dei beni di proprietà della società C.O.M. s.r.l. perché estranea al reato, chiedendo, in subordine, la restituzione dei beni al fallimento della memoria depositata nell'interesse dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza per eccepire la nullità dell'incidente di esecuzione avviato di ufficio e per chiedere, comunque, l'attribuzione della somme ricavate dalla vendita dei beni del C. e della società C.O.M. ai fini del risarcimento dei danni patrimoniali della parte offesa della memoria del pubblico ministero con la quale si chiedeva in via principale l'attribuzione dei beni confiscati alla parte offesa, azienda sanitaria provinciale di Cosenza, ovvero in subordine, l'attribuzione dei beni confiscati all'Agenzia del Demanio di Cosenza. Affermava, quindi che la procedura era stata avviata di ufficio per procedere alla stima dei beni confiscati che non era stata effettuata nel giudizio di merito che non può essere applicata nella ipotesi di confisca di cui agli artt. 640, 640 quater e 322 ter cod. pen. la clausola di salvezza dei diritti della persona offesa alle restituzioni ed al risarcimento dei danni, prevista per alcune ipotesi di confisca per equivalente, come prospettato nella richiesta del pubblico ministero e dell'azienda sanitaria provinciale di che andava rigettata la opposizione alla confisca proposta dalla curatela fallimentare, atteso che sulla confiscabilità dei beni intestati alla società C.O.M, s.r.l. si è pronunciato il giudice della cognizione con decisione irrevocabile. Tuttavia, accoglieva la richiesta subordinata della curatela del fallimento intesa ad ottenere la restituzione dei beni e la loro acquisizione alla massa fallimentare”. A ragione affermava che se è vero che il sequestro di beni suscettibili di confisca obbligatoria è assolutamente insensibile alla procedura fallimentare, tale principio vale soltanto nel caso in cui la res suscettibile di confisca sia intrinsecamente pericolosa, diversamente l'obbligatorietà della confisca non impedisce al giudice di disporre la restituzione dei beni a favore della curatela, realizzandosi in tal modo sia l'interesse dello Stato allo spossessamento dei beni del condannato, sia l'interesse perseguito dalla procedura fallimentare richiama Sez. U., n. 29951, del 24/05/2004, Focarelli, rv. 228165 Sez. 3, n. 20443 del 02/02/2007, Sorrentino, rv. 236846 . 3. Avverso detto provvedimento il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza e la persona offesa, azienda sanitaria provinciale di Cosenza proponevano ricorso per cassazione. Con sentenza dell'11.2.2010 la Corte qualificava i ricorsi come opposizione, disponendo la trasmissione degli atti al Gip del Tribunale di Cosenza. All'esito dell'udienza camerale, il gip respingeva l'opposizione confermando integralmente il provvedimento emesso in data 19.1.2009 disponendo, altresì, la sospensione dell'esecuzione durante il termine per proporre impugnazione e fino all'esito del conseguente giudizio . Ribadiva che non poteva condividersi la prospettata applicazione analogica della clausola di salvezza dei diritti della persona offesa alle restituzioni ed al risarcimento dei danni artt. 644, 600 septies cod, pen. e 12 sexies l. 356/1992 , trattandosi di disposizione riferibile alla particolare tipologia dei reati per i quali è prevista che la obbligatorietà della confisca era stabilita non in funzione del intrinseca pericolosità dei beni da confiscare ma soltanto del loro legame con il soggetto che ha subito la condanna per determinati delitti, con la conseguente possibilità che, nel caso in cui sia sopravvenuto il fallimento del condannato, il curatore fallimentare possa chiedere l'autorizzazione alla vendita dei beni ed alla conseguente distribuzione del ricavato ai creditori concorsuali richiama Sez. 3, n. 20443, 02/02/2007, Sorrentino, rv. 236846 che nella specie i beni intestati alla società C.O.M. s.r.l. non sono intrinsecamente pericolosi, né potranno ritornare nella disponibilità del condannato all'esito della procedura concorsuale perché i crediti verso il fallimento superano ampiamente il valore dei beni confiscati che nel caso di fallimento le ragioni della confisca vengono meno quando i beni non sono più nella disponibilità dell'imputato e rientrano definitivamente nella massa fallimentare da destinare i creditori che sarebbero ingiustamente colpiti dalla misura ablativa. 4. Hanno proposto ricorso per cassazione avverso detta ultima ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza e l'azienda sanitaria provinciale di Cosenza. 4.1. Il pubblico ministero deduce la violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione alla confisca in oggetto della clausola relativa alla salvezza dei diritti della persona offesa alle restituzioni ed al risarcimento del danno prevista dagli artt. 644, 600 septies cod. pen. e art. 12 sexies l. 356 del 1992. Afferma il carattere compensativo - sanzionatorio della confisca per equivalente esclusivamente a favore della persona offesa dal reato con la conseguenza che i beni confiscati devono essere destinati alle restituzioni e al risarcimento nella specie dell'azienda sanitaria provinciale di . Rileva che, in ogni caso, se si afferma un interesse prevalente dello Stato ad acquisire i beni confiscati rispetto alla persona offesa dal reato, all'evidenza, ancor più errata è l'attribuzione dei beni alla curatela fallimentare che, pur svolgendo una funzione di interesse pubblico, certamente non tutela gli interessi dello Stato. 4.2. L'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, a mezzo del difensore e procuratore speciale, con il primo motivo di ricorso deduce la nullità del provvedimento impugnato, adottato all'esito di procedimento avviato di ufficio in mancanza di richiesta del pubblico ministero o dell'interessato. In secondo luogo denuncia l'incompetenza funzionale del giudice dell'esecuzione a disporre la revoca della confisca divenuta definitiva, deducendo la conseguente nullità del provvedimento impugnato che ha disposto la restituzione dei beni della società C.O.M. s.r.l. alla curatela fallimentare. Contesta, in particolare, che il giudice dell'esecuzione potesse nella specie provvedere nei sensi indicati dalla decisione della Corte di legittimità richiamata, atteso che la confisca per equivalente obbligatoria resta, comunque, insensibile alla procedura concorsuale. Afferma, inoltre, che la clausola di salvezza dei diritti della persona offesa alle restituzioni ed all'eventuale risarcimento dei danni fonda su un principio che ha nel tempo assunto portata generale. 5. Con memoria in data 28.9.2012 la curatela fallimentare della società C.O.M. s.r.l. ha chiesto dichiararsi inammissibili, ovvero, in subordine, rigettarsi i ricorsi. Rileva che con entrambi i ricorsi è stato chiesto esclusivamente l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata finalizzato alla destinazione dei beni confiscati a soddisfare i diritti alle restituzioni ed al risarcimento del danno della persona offesa, azienda sanitaria provinciale. Tale petitum si pone fuori dall'ordinamento - con conseguente inammissibilità dei ricorsi - tenuto conto che all'esito della sentenza di applicazione di pena, ex art. 444 cod. proc. pen., il giudice penale non può provvedere sulle richieste della parte civile ed è espressamente escluso che tale sentenza abbia efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Del resto, nella specie, la parte civile ha chiesto il ristoro delle somme indebitamente erogate e dei danni subiti al giudice civile e, essendo intervenuto il fallimento della società C.O.M., ha ottenuto l'insinuazione al passivo per un credito chirografario di Euro 3.174.552,49. Afferma che il ricorso del pubblico ministero è inammissibile, altresì, per carenza di interesse. Invero, lo stesso è fondato sulla pretesa erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 322 ter e 640 quater cod. pen. per l'omessa applicazione analogica alla fattispecie della clausola di salvezza dei diritti della persona offesa alle restituzioni ed al risarcimento del danno ed è, pertanto, diretto a tutelare gli interessi della parte civile esclusa dal processo penale. Come è stato affermato Sez. 1, n. 9174 del 2007 sussiste l'interesse del pubblico ministero ad impugnare soltanto quando risulti concreto ed attuale e tale non è l'interesse a che le parti civili possano far valere le proprie pretese risarcitorie in quanto il pubblico ministero è estraneo al rapporto processuale civile instauratosi incidentalmente nel processo penale quindi, il pubblico ministero non è legittimato ad impugnare un provvedimento all'esclusivo fine di tutelare gli interessi civili delle parti private. Né, ad avviso del curatore fallimentare, può condividersi la prospettazione del Procuratore generale che, nelle conclusioni scritte, ha affermato che i rilievi del pubblico ministero ricorrente devono trovare accoglimento sotto il profilo dell'interesse superiore dello Stato all'acquisizione dei beni confiscati, atteso che il pubblico ministero ricorrente ha articolato un unico motivo di impugnazione diretto ad ottenere la restituzione dei beni all'azienda sanitaria provinciale, tanto che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Il curatore fallimentare rileva, quindi, l'infondatezza della deduzione dei ricorrenti, laddove reclamano l'applicazione alla fattispecie in esame della clausola relativa alla salvezza dei diritti alla restituzione ed al risarcimento del danno della persona offesa, tenuto conto che soltanto per alcune fattispecie in relazione alle quali è prevista la confisca per equivalente è stata espressamente posta detta clausola, mentre per altre ipotesi non vi è alcuna previsione in ordine alle ragioni della persona offesa dal reato pertanto, si tratta di disciplina eccezionale non suscettibile di applicazione analogica. Contesta, altresì, la fondatezza della denunciata illegittimità della ordinanza perché in violazione, secondo le conclusioni del Procuratore generale, della prevista obbligatorietà della confisca del profitto del reato di cui agli artt. 322 ter e 648 quater cod. pen., richiamando in proposito la decisione della Corte di legittimità, cui pure si fa riferimento nell'ordinanza impugnata Sez. 3, n. 20443 del 2007 , nella quale è stata sottolinata la differenza tra confisca delle cose intrinsecamente pericolose e quella in cui il fondamento della ablazione patrimoniale risiede nel rapporto intercorrente tra bene e reato, con la conseguenza che soltanto la confisca delle cose intrinsecamente ed oggettivamente pericolose è sempre inderogabile, non essendo dirimente a tale fine la natura obbligatoria della confisca. Tali principi sono stati applicati correttamente nel provvedimento impugnato, trattandosi di beni non intrinsecamente pericolosi ma confiscabili per il legame con la persona condannata per determinati reati. Infine, evidenzia che la decisione di cui al provvedimento impugnato è conforme al principio di diritto affermato dalla Corte EDU con due pronunce che hanno condannato lo stato italiano per violazione dell'art. 7 della Convenzione EDU e dell'art. 1 del protocollo n. 1, in relazione a statuizioni giurisdizionali di confisca adottate in danno di persone delle quali non era stata processualmente accertata la corresponsabilità personale per il reato che aveva determinato l'irrogazione della misura di sicurezza. Infatti, la Corte EDU ha affermato che l'autorità giudiziaria non può infliggere sanzioni patrimoniali nei confronti di cittadini che non risultino colpevoli all'esito di un processo svolto nel rispetto dei principi della Convenzione. Considerato in diritto 1. Deve premettersi che non può ritenersi la inammissibilità dei ricorsi in ragione di quanto rappresentato nella memoria della curatela fallimentare. Invero, non è esatta l'affermazione che i ricorsi sono privi del petitum avendo entrambi i ricorrenti chiesto esclusivamente una decisione preclusa al giudice penale a seguito di sentenza di patteggiamento, ossia l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata al fine di destinare i beni confiscati alla società C.O.M. s.r.l. a soddisfare i diritti alle restituzioni ed al risarcimento del danno della persona offesa, azienda sanitaria provinciale. Come si è esplicitato in premessa, i ricorsi non si limitano a formulare tale richiesta in particolare, l'azienda sanitaria provinciale ha denunciato la nullità del provvedimento impugnato, adottato dal giudice dell'esecuzione all'esito di procedimento avviato di ufficio senza alcuna richiesta del pubblico ministero o dell'interessato, nonché, l'incompetenza funzionale del giudice dell'esecuzione a disporre la revoca della confisca divenuta definitiva con conseguente nullità del provvedimento impugnato che ha disposto la restituzione dei beni della società C.O.M. s.r.l. alla curatela fallimentare. D'altro canto, l'azienda sanitaria provinciale, avendo assunto la veste di parte - in mancanza di qualsivoglia contestazione in quella sede delle altre parti ed in specie dalla curatela fallimentare - nel procedimento avviato di ufficio dal giudice dell'esecuzione il quale ha anche esplicitamente valutato le richieste formulate dall'azienda sanitaria, respingendole, deve ritenersi legittimata a proporre impugnazione avverso il provvedimento emesso all'esito di detto procedimento, tenuto conto che la disciplina di cui all'art. 666 comma 6 cod. proc. pen., prevede che le parti possono proporre ricorso per cassazione. Certamente legittimato al ricorso è il pubblico ministero, parte nel procedimento all'esito del quale è stato pronunciato il provvedimento impugnato. Quanto, poi, all'interesse al ricorso, la finalità alla corretta applicazione della legge nel caso di specie è senza dubbio concreta ed attuale, a differenza di quanto afferma la curatela nella memoria. Infatti, l'impugnazione del pubblico ministero non è finalizzata esclusivamente a tutelare gli interessi della parte civile, bensì, alla rimozione del provvedimento di sostanziale revoca della confisca di beni che sono stati restituiti alla curatela fallimentare che costituisce un palese interesse concreto ed attuale alla corretta applicazione della legge cosa diversa è, all'evidenza, la valutazione della fondatezza degli argomenti utilizzati dal ricorrente pubblico ministero ed in particolare, l'applicazione alla fattispecie della clausola relativa alla salvezza dei diritti della persona offesa alle restituzioni ed al risarcimento del danno prevista dagli artt. 644, 600 septies cod. pen. e art. 12 sexies l. 356 del 1992. 2. Fatta tale premessa, deve rilevarsi che con il provvedimento impugnato è stata, senza alcun dubbio, disposta - come si afferma anche nella memoria depositata dalla curatela fallimentare - la revoca della confisca di beni della società C.O.M. s.r.l. che sono stati restituiti alla curatela fallimentare della società, ancorché detta confisca fosse stata disposta con sentenza passata in cosa giudicata. Così come è altrettanto incontestato ed incontestabile che tale revoca della confisca è stata disposta all'esito del procedimento avviato di ufficio dal giudice dell'esecuzione esclusivamente al fine di procedere alla stima dei beni confiscati, non effettuata nel giudizio” di cognizione. Tanto espressamente si afferma p.3 dell'ordinanza 19.1.2009 nel provvedimento impugnato - con l'opposizione prima e con il ricorso per cassazione poi - richiamando il dictum della sentenza di patteggiamento con la quale è stata disposta la confisca dei beni in oggetto, ormai divenuta irrevocabile. All'evidenza, quindi, ritiene il Collegio, il giudice non era investito, né poteva essere investito in quella sede di alcuna decisione ulteriore rispetto alla stima dei beni oggetto della confisca che, come pure esplicitamente si afferma nel provvedimento impugnato, era stata disposta nel giudizio di cognizione con la sentenza di patteggiamento ormai divenuta irrevocabile e come tale intangibile, ragione per la quale, del resto, il giudice ha rigettato l'opposizione alla confisca formulata dalla curatela fallimentare p. 4 . Il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato non era, quindi, competente a disporne la revoca della confisca in cui si sostanzia la restituzione dei beni della società C.O.M. s.r.l. alla curatela fallimentare, potendo, al più, revocare la confisca dei beni per il valore eccedente il prezzo o il profitto dei reati cui si riferisce la sentenza di patteggiamento e tuttavia, tale evenienza era nella specie esclusa, dandosi atto nello stesso provvedimento che il valore stimato della totalità dei beni confiscati era pari ad Euro 1.359.817, a fronte del profitto conseguito dal condannato a seguito della commissione dei reati pari ad Euro 2.102.293. Da tale incompetenza funzionale, rilevabile in ogni stato e grado, anche di ufficio Sez. 1, n. 47149 del 27/11/2009, Panunzio, rv. 245725 , deriva la nullità del provvedimento impugnato nella parte in cui dispone la restituzione alla curatela fallimentare dei beni mobili ed immobili intestati alla C.O.M. s.r.l Del resto, è principio più volte affermato da questa Corte quello secondo il quale la confisca definitiva, disposta nel processo penale, non è revocabile in executivis, fatti salvi i casi eccezionali in cui con l'incidente di esecuzione proposto per la rimozione del provvedimento ablativo si deducano non situazioni di fatto coperte dal giudicato, ma elementi nuovi non valutati e non valutabili dal giudice che ha disposto la confisca Sez. 1, n. 3877 del 20/01/2004, La Mastra, rv. 227330 Sez. 1, n. 4196 del 09/01/2009, Laforet, rv. 242844 Sez. 1, n. 26852 del 10/06/2010, Cavallaro, rv. 247726 . Nella specie, all'evidenza, il giudice non ha valutato alcun elemento nuovo rilevante ai fini della confisca rispetto a quanto aveva formato oggetto del giudizio di cognizione - certamente non potendosi ritenere tale l'intervenuto fallimento irrilevante sotto tale profilo - ed, anzi, ha dato atto dell'intagibilità del giudicato sulla confisca anche avuto riguardo alla qualità di terzo estraneo della società C.O.M. s.r.l., questione già esaminata e negativamente valutata nel giudizio di cognizione. Ciononostante, il giudice ha disposto la restituzione di parte dei beni oggetto di confisca alla curatela fallimentare della società C.O.M. s.r.l., richiamando arresti giurisprudenziali con riguardo ai rapporti tra beni sottoposti a sequestro preventivo e fallimento Sez. U., n. 29951, del 24/05/2004, Focarelli, rv. 228165 Sez. 3, n. 20443 del 02/02/2007, Sorrentino, rv. 236846 che, all'evidenza, non sono in termini avuto riguardo alla fattispecie in esame in cui il sequestro preventivo dei beni è stato superato dalla confisca che, peraltro, è intervenuta anteriormente alla dichiarazione di fallimento che è successiva alla proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento e di poco precedente alla declaratoria di inammissibilità del predetto ricorso per cassazione che ha reso irrevocabile la confisca . Tali principi risultano ancor più coerenti alla natura sanzionatoria - compensativa rispetto al prezzo ed al profitto del reato della confisca per equivalente obbligatoria prevista dall'art. 322 ter cod. pen. che è stata applicata nella fattispecie con la sentenza di applicazione di pena emessa nei confronti del C. in relazione ai reati di cui agli art. 640, secondo comma, e 319 cod. pen A tale proposito, infine, è opportuno precisare che deve escludersi la violazione dell'art. 7 della Convenzione EDU nei termini in cui è stata prospettata nella memoria della curatela fallimentare, posto che la confisca, anche per equivalente, per espressa disposizione delle norme richiamate consegue alla condanna o alla applicazione di pena in relazione ai reati specificamente indicati. Nella specie, la confisca è relativa a beni riferibili all'imputato cui è stata applicata la pena, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., per i reati di cui agli art. 640, secondo comma, e 319 cod. pen., che, peraltro, sono stati commessi attraverso la società C.O.M. s.r.l. le cui quote sociali appartavano al medesimo imputato e alla moglie. Per tutte le predette ragioni si impone l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato limitatamente alla restituzione alla curatela fallimentare dei beni mobili ed immobili intestati alla C.O.M. s.r.l. confiscati con la sentenza di applicazione di pena emessa nei confronti di C.C. in data 25.6.2007, divenuta irrevocabile il 17.4.2008. Il giudice dell'esecuzione al quale vanno restituiti gli atti dovrà procedere esclusivamente agli eventuali ulteriori adempimenti necessari per la concreta esecuzione della confisca dei beni indicati nella sentenza di applicazione di pena emessa nei confronti di C.C. in data 25.6.2007, divenuta irrevocabile il 17.4.2008. Restano assorbiti tutti gli ulteriori rilievi posti a fondamento dei ricorsi. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata limitatamente alla restituzione alla curatela fallimentare dei beni mobili ed immobili intestati alla C.O.M. s.r.l. e dispone la restituzione degli atti al Gip del Tribunale di Cosenza per il corso ulteriore. Rigetta nel resto i ricorsi.