Coca ed eroina sopra i limiti e già pronta in dosi: ancora in piedi l’ipotesi dell’uso personale

Vengono ritenute precise e pertinenti le contestazioni mosse da un uomo condannato per spaccio, eppure ignorate dai giudici di secondo grado. Questa lacuna dovrà essere ora colmata, anche perché la tesi difensiva, ossia quella dell’uso personale e della scorta preparata per il week-end, mette seriamente in discussione l’affermazione di responsabilità penale.

Riserva ‘doppia’, ossia eroina, da un lato, e cocaina, dall’altro, con quantità superiori ai limiti fissati dalla tabella ministeriale. E sostanze già belle e pronte in dosi. Eppure è comunque plausibile l’ipotesi dell’uso strettamente personale della droga Cassazione, sentenza n. 3706, Sesta sezione Penale, depositata oggi . Ultima stazione. Fatale il viaggio compiuto da un uomo per rifornirsi di sostanza stupefacente a conclusione del viaggio di ritorno dal centro di approvvigionamento più vicino al suo paese , difatti, appena sceso dal treno, viene ‘beccato’ con eroina e cocaina in tasca. Vengono rinvenuti sì piccoli quantitativi , ma comunque contenenti principio attivo utile per il confezionamento di cinque dosi di eroina e di tre dosi di cocaina. Uso personale? Ipotesi poco credibile, secondo i giudici così, in Tribunale prima e in Corte d’Appello poi, l’uomo viene condannato a dieci mesi di reclusione, con corredo di multa. Scorta per il week-end? L’addebito dello spaccio, però, viene duramente contestato dall’uomo. Anche perché, come evidenziato nel ricorso proposto in Cassazione, le osservazioni critiche mosse in Appello alla pronunzia di primo grado erano state completamente ignorate. Questa lacuna è considerata di notevole rilievo, dai giudici della Cassazione. Soprattutto tenendo presenti le censure mosse dall’uomo e reputate precise e pertinenti . Per essere precisi, l’uomo ha sottolineato, in premessa, di essere già stato segnalato al Prefetto perché era solito consumare sia cocaina che eroina , e poi ha aggiunto che la droga era suddivisa in dosi perché gli era stata venduta confezionata in quel modo la quantità era superiore al limite di soglia perché voleva costituire una piccola scorta per evitare frequenti viaggi al centro di approvvigionamento più vicino , e, infine, ha sottolineato che la quantità accostata era compatibile con il suo fabbisogno personale per il week-end . Tutte osservazioni ignorate, come detto, in secondo grado, e che, invece – anche perché serrate, precise e pertinenti e capaci di porre in discussione l’intero apparato motivazionale posto a base dell’affermazione di responsabilità penale per spaccio – avrebbero dovuto essere affrontate dai giudici per questo motivo, in Cassazione si decide di rimettere nuovamente la questione all’esame della Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 – 23 gennaio 2013, n. 3706 Presidente Di Virginio – Relatore Garribba Ritenuto in fatto P.M. ricorre per cassazione avversa la sentenza specificata in epigrafe, che confermava la condanna a mesi dieci di reclusione più la multa inflittagli per il delitto previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, per illecita detenzione di due piccoli quantitativi di eroina e cocaina contenenti principio attivo utile per il confezionamento, rispettivamente, di cinque e di tre dosi medie singole. Denuncia mancanza di motivazione in ordine sia all’affermazione di colpevolezza sia alla pena, censurando 1. che la corte distrettuale abbia adempiuto l’obbligo motivazionale con un mero rinvio per relationem alla decisione di primo grado, senza minimamente rispondere ai motivi d’appello con cui l’imputato sosteneva la destinazione dello stupefacente all’uso esclusivamente personale, contestando uno per uno gli argomenti utilizzati per affermare la pretesa finalità di spaccio 2. che sia stata negata l’applicazione della pena dei lavoro di pubblica utilità sull’erroneo presupposto che la richiesta non sarebbe stata formulata personalmente dall’interessato. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. La Corte territoriale, richiamando il principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice d’appello nel caso che le censure formulate a carico della sentenza di primo grado non contengono elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi, può legittimamente richiamare per relationem la motivazione posta a base della pronuncia di primo grado”, ha omesso di prendere in esame le puntuali e precise censure che, nel caso concreto, venivano rivolte - con carattere di novità - alle argomentazioni proposte dalla decisione impugnata. Infatti, per provare che la sostanza stupefacente rinvenuta indosso all’imputato non era destinata al suo uso esclusivo ma allo spaccio, la sentenza di primo grado aveva sottolineato 1. che l’imputato deteneva due diversi tipi di sostanza stupefacente cocaina ed eroina 2. che le sostanze erano divise in dosi per il pronto consumo 3. che la quantità detenuta era superiore al limite massimo indicato dalla tabella ministeriale 4. che la quantità detenuta era esuberante rispetto al fabbisogno prospettato dal detentore 5. che l’acquisto era stato fatto con denaro datogli dal genitore. Ma ciascuna delle inferenze probatorie tratte dagli elementi sopra elencati è stata investita dalle serrate censure enunciate nell’atto d’appello così riassumibili. 1. l’imputato, già segnalato al prefetto per gli effetti di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309/1990, era solito consumare sia cocaina che eroina 2. la droga era suddivisa in dosi, perché gli era stata venduta confezionata in quel modo e, inoltre, gli era stata trovata indosso, perché era appena sceso dal treno proveniente da Padova, ove si era recato per l’acquisto 3. la quantità era superiore al limite di soglia - peraltro di poco, trattandosi in tutto di otto dosi medie singole - perché voleva costituire una piccola scorta, per evitare frequenti viaggi a Padova che era il centro di approvvigionamento più vicino al suo paese 4. la quantità acquistata era compatibile con il suo fabbisogno personale per il fine settimana 5. le illazioni fondate sulla provenienza paterna del denaro impiegato per l’acquisto erano illogiche. Orbene il giudice d’appello, a fronte di censure così precise e pertinenti, che ponevano in discussione l’intero apparato motivazionale posto a base dell’affermazione di responsabilità penale, non poteva eludere la risposta, limitandosi al puro riferimento alla precedente motivazione, ma doveva riesaminare le risultanze processuali e far conoscere, esplicitandone i passaggi logici, il proprio convincimento al riguardo. Tale obbligo non è stato adempiuto e la sentenza, assolutamente priva di motivazione, avendo vanificato il secondo grado di giudizio, deve essere annullata. E’ fondato anche il secondo motivo di ricorso, perché la richiesta della pena del lavoro di pubblica utilità, avanzata in udienza nel corso del giudizio di primo grado, deve ritenersi personale”, essendo stata formulata dal difensore alla presenza del proprio assistito e, quindi, postulando in suo nome e per suo conto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.