Dove sta scritto che la Lista Falciani è illecita?

L’illecita provenienza della Lista Falciani è un giudizio che deve essere dato alla luce degli atti processuali, per cui se tra di essi non vi sono prove di illiceità nulla osta al suo utilizzo.

La sentenza n. 38753/2012 in rassegna affronta nuovamente la questione dell’utilizzabilità della lista Falciani, ma da un punto di vista completamente nuovo infatti, non è più in discussione la sua utilizzabilità o meno, ma il giudizio stesso di illiceità che della lamentata inutilizzabilità rappresenta il presupposto ineliminabile. La vicenda . Oggetto del giudizio di Cassazione è l’ordinanza del GIP di Como n. 39/2012 emessa il 14/02/2012 che ha rigettato la richiesta del PM di distruggere la lista, affermando che agli atti non vi erano elementi per giudicare come illegale la sua provenienza. In particolare, il GIP di Como aveva rilevato che, da un lato, l’acquisizione da parte degli organi investigativi italiani era sicuramente avvenuta in modo lecito, essendosi questi avvalsi sia delle forme di cooperazioni internazionale previste dalla Direttiva 77/799 CEE del 19/12/1977 sia della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Francia il 5/10/1989 e ratificata con la L. n. 20/1992 dall’altro, non vi era agli atti nulla che dimostrasse con certezza l’illiceità delle modalità di acquisizione della lista da parte delle autorità francesi. È bene sottolineare, tuttavia, che lo stesso GIP di Como, almeno stando alla ricostruzione dell’ordinanza fatta dalla sentenza in commento, non ha affermato l’effetto sanante della procedura di cooperazione internazionali tra amministrazioni straniere, ma ha confermato che, laddove fosse provata l’illecita provenienza della lista, occorrerebbe senza dubbio dichiararne l’inutilizzabilità. Il Supremo Collegio, dal canto suo, ha avallato molto lucidamente il giudizio del GIP, anche se occorre evidenziare che esso si è limitato a non ritenere contraddittoria ovvero illogica la motivazione dell’ordinanza appena richiamata. Una decisione ineccepibile ma molto problematica . Come è facilmente intuibile, la decisione della Corte e del GIP di Como appaiono difficilmente criticabili, essendo, anzi, applicazione del fondamentale principio garantistico per cui il giudice deve giudicare sulla sola base del materiale probatorio agli atti. Tuttavia, non può non emergere la problematicità delle conseguenze se, infatti, è doveroso non condizionare il giudizio con notizie o informazioni che non siano state vagliate e dimostrate nel contraddittorio delle parti, occorre, d’altro canto, che il principio del contraddittorio sia garantito rendendo concretamente possibile un simile esame. Occorrerebbe, in altre parole, intanto chiarire a chi spetta in questi casi l’onere della prova della liceità/illiceità in secondo luogo, permettere che un simile onere, soprattutto se in capo all’imputato/contribuente, sia concretamente assolvibile e non si risolva, invece, in una probatio diabolica infine, questione non da trascurarsi, risolvere positivamente la questione, sollevata anche di recente dalla sentenza 193/4/2012 della CTP Genova, sull’esistenza di giurisdizione anche incidentale del giudice italiano circa azioni di autorità straniere compiute all’estero. La questione diventa sempre più interessante, ma con essa avanza un grave sospetto stiamo cercando di curare un malato o risuscitare un morto?

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 settembre - 4 ottobre 2012, n. 38753 Presidente Squassoni – Relatore Orilia Motivi di fatto e di diritto Con ordinanza 16.2.2012 il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Como ha respinto la richiesta del Pubblico Ministero di dar corso alla procedura ex art. 240 cpp nel procedimento penale contro A M. , imputato del reato di cui all'art. 4 del DLGS n. 74/2000. L'istanza era stata formulata perché, nel corso del dibattimento, il difensore del M. aveva ribadito la richiesta già avanzata durante la fase delle indagini preliminari con cui segnalava la necessità della distruzione degli allegati nn. 1 e 2 al verbale redatto dalla Guardia di Finanza di Erba, trattandosi di documenti acquisiti - a suo dire - illegalmente. Nel motivare il rigetto della richiesta, il GIP di Como, dopo avere riconosciuto la propria competenza funzionale all'esame della domanda, ha ritenuto, sulla base di quanto presente negli atti del fascicolo, l'assenza di certezza sulla illegale raccolta dei documenti osservando che una eventuale illecita acquisizione all'estero non comporta analoga illiceità della acquisizione dei dati da parte della amministrazione finanziaria italiana attraverso le procedure di cooperazione internazionale in applicazione della Direttiva 77/799 CEE del 19.12.1977 e della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia stipulata il 5.10.1939 e ratificata con legge 7.1.1992 n. 20 . Per l'annullamento della ordinanza, il M. ha proposto ricorso per Cassazione deducendo con due complessi motivi l'abnormità di provvedimento e l'inosservanza ed erronea applicazione di norme processuali artt. 606 comma 1 lett. c cpp in relazione agli artt. 191, 568 e 240 cpp , la contraddittorietà nonché la manifesta illogicità della motivazione, rilevando in particolare che - il provvedimento è abnorme e affetto da vizio di ultrapetizione perché in sede dibattimentale il Tribunale di Como già aveva ordinato la distruzione della documentazione di formazione illecita, sicché si era determinato un insanabile contrasto di decisioni e una irreversibile paralisi della procedura incidentale che tenta di sanare ex post ciò che la decisione del tribunale aveva determinato cfr. primo motivo - il provvedimento, senz'altro ricorribile per cassazione trattandosi di pronuncia in camera di consiglio ex art. 240 che richiama a sua volta l'art. 127 cpp , è inficiato dal vizio di violazione di legge processuale ex artt. 568 e 240 cpp perché già esisteva un provvedimento di distruzione emesso dal Tribunale monocratico, perfetto ed esecutivo, per cui il GIP ha agito in sostanza come giudice di appello in totale dispregio del principio di tassatività dei casi e mezzi di impugnazione ex art. 568 cpp e dell'art. 240 cpp che non prevede l'appellabilità del provvedimento - la violazione degli artt. 191 e 240 del cpp sta nell'avere interpretato il contenuto dell'ordinanza del Tribunale monocratico come relativa alla inutilizzabilità della documentazione mentre invece il provvedimento aveva disposto la distruzione - secondo il GIP la Direttiva 77/799 CEE e la Convenzione internazionale produrrebbero un effetto sanante della precedente illecita acquisizione della documentazione bancaria - la errata interpretazione dell'ordinanza del tribunale monocratico come relativa alla inutilizzabilità piuttosto che alla distruzione dei documenti integra altresì il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione atteso che lo stesso GIP aveva dato atto che al Tribunale monocratico era stata richiesta l'attivazione della procedura prevista per la distruzione dei documenti e che il tribunale aveva disposto la distruzione a cura del pubblico ministero, facendo solo per mero errore materiale riferimento alla categoria della inutilizzabilità - il giudice, nel ritenere non raggiunta con certezza la prova della illiceità della raccolta di informazioni, ha utilizzato una regola di giudizio propria dell'accertamento dibattimentale e non la regola compatibile con le caratteristiche del procedimento camerale ex art. 240 cpp, dovendosi riconoscere il diritto della vittima del dossieraggio abusivo alla distruzione del documento illecitamente formato a suo danno e non accertarsi la penale responsabilità dell'indagato insomma - secondo il ricorrente - la tutela della riservatezza è un valore fondamentale, di rilievo costituzionale e si estende a qualunque informazione illecitamente carpita - i dati bancari illegalmente sottratti dal F. in ogni caso sono soggetti alle disposizioni del DLGS 196 del 2003 che richiede il consenso dell'interessato cfr. secondo motivo . Il ricorso è infondato in tutte le sue articolazioni. Va premessa la ricorribilità in cassazione del provvedimento, trattandosi di ordinanza emessa in procedimento camerale, soggetta per previsione di legge a tale rimedio cfr. art. 127 settimo comma cpp richiamato dall'art. 240 quarto comma cpp . La competenza a provvedere sulle istanze del pubblico ministero in ordine alla distruzione del materiale indicato nell'art. 240 cpp e quindi anche dei documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni spetta per legge al giudice delle Indagini preliminari, come dispone testualmente la norma stessa. Ciò posto, è opportuno rilevare che all'udienza dibattimentale del 23.11.2011 il difensore del M. aveva formulato due richieste, una principale e una subordinata. Con la prima aveva chiesto che fosse avviata la procedura di distruzione dei documenti contrassegnati dai numeri 18 e 19 fase, dibatt. nonché del verbale basato sugli stessi documenti . In subordine aveva chiesto l'espunzione dal fascicolo del dibattimento dei fogli da 3 a 38 . Il giudice monocratico aveva accolto integralmente la richiesta subordinata rilevando che i fogli dal n. 3 al 38 .dovevano essere espunti dal fascicolo e restituiti al PM e aveva provveduto in tal senso nella parte dispositiva. Quanto alla documentazione di cui ai foll 18 e 19 oggetto della richiesta principale della difesa aveva ritenuto fondata l'eccezione di inutilizzabilità e aveva disposto che il PM procedesse alla distruzione delle pagine 18 e 19. Ebbene, contrariamente a quanto denunciato dal ricorrente, il GIP non è incorso nel vizio di ultrapetizione perché l'istanza a lui diretta dal Pubblico Ministero in data 26.1.2012 era volta proprio a dar corso alla procedura di cui all'art. 240 cpp , che prevede una previa valutazione della sussistenza dei presupposti di cui al comma 2 formazione illegale dei documenti . Neppure può ritenersi sussistente un contrasto di decisioni perché dalla lettura dei due provvedimenti si evince che il giudice del dibattimento, a differenza del GIP, non ha provveduto direttamente sull'istanza di distruzione dei documenti, avendo accolto, come si è detto, la richiesta subordinata, ma si è limitato a ritenere fondata l'eccezione di inutilizzabilità eccezione che logicamente è sempre compresa in quella finalizzata alla distruzione , tant'è che contemporaneamente ha dato incarico al pubblico ministero di procedere in un secondo momento alla distruzione dei documenti. Se il giudice del dibattimento avesse provveduto direttamente sulla istanza di distruzione vi avrebbe dato anche esecuzione subito dopo alla presenza del pubblico ministero e dei difensori delle parti secondo le particolari formalità previste dall'art. 240 cpp, come peraltro rilevato anche dal giudice delle indagini preliminari. Neppure può ritenersi che l'impugnato provvedimento del GIP sia abnorme. Come, infatti, questa Suprema Corte ha già affermato è affetto da abnormità, non soltanto il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale ma, altresì, quello che, pur essendo in astratto espressione di un legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti o delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. Si è aggiunto, in dette decisioni, che l'abnormità dell'atto può riguardare tanto il profilo strutturale - quando l'atto si pone al di fuori del sistema normativo - quanto il profilo funzionale - quando esso, pur non ponendosi al di fuori del sistema, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo Cass. 10744 del 2012 che richiama anche l'orientamento delle sezioni unite . Ora, poiché il Tribunale monocratico di Como con l'ordinanza resa all'udienza dibattimentale del 23.11.2011 aveva disposto che il Pubblico Ministero procedesse alla distruzione delle pagine 18 e 19, ordinando di fatto il compimento di una attività non prevista da nessuna norma processuale e considerato altresì che il Pubblico Ministero non vi ha provveduto, ma - come già rilevato - con l'istanza del 26.1.2012 ha ritenuto di investire il magistrato competente, cioè il GIP, è evidente che nessuna stasi processuale si è verificata per effetto dell'ordinanza oggi impugnata per cassazione. 2 - Infondato è anche il secondo motivo nella sua plurima articolazione inosservanza di norme processuali con riferimento agli artt. 191 e 240 cpp e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione . Ed infatti a - non vi stata violazione della regola della tassatività dei mezzi di impugnazione perché il Pubblico Ministero ha proposto l'istanza ex art. 240 cpp e non una impugnazione contro l'ordinanza del tribunale monocratico e il GIP - che per legge è competente a provvedere sulla istanza promossa ex art. 240 cpp - ha deciso la questione sulla base degli atti in suo possesso senza procedere in alcun modo al riesame del provvedimento del Tribunale monocratico oggetto soltanto di una semplice interpretazione nel contenuto b - non sussiste contraddittorietà né illogicità della motivazione dell'ordinanza del GIP perché il Tribunale aveva considerato solo il profilo della inutilizzabilità cfr. ordinanza dibattimentale non essendo vincolato alla richiesta di avvio della procedura di distruzione contenuta nella richiesta principale avanzata a verbale dalla difesa. 4 - Resta invece da esaminare la censura relativa alla violazione della legge processuale artt. 191 e 240 cpp con riferimento ai rapporti tra l'acquisizione di documenti avvenuta in uno Stato estero e la successiva acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria italiana attraverso i regolari canali della cooperazione internazionale. Dall'impugnato provvedimento risulta che i fatti all'origine del presente procedimento sono conseguenti alla trasmissione di dati e notizie acquisite presso l'amministrazione fiscale francese attraverso i canali della collaborazione informativa internazionale prevista dalla direttiva n. 77/799CE del Consiglio del 19.12.1977 e della Convenzione contro conto le doppie imposizioni tra Italia e Francia stipulata il 5.10.1989 ratificata con legge 7.1.1992 n. 20. Dai documenti trasmessi con tale modalità ed in particolare dalle schede di sintesi individuale fiche di cui si chiede la distruzione emergeva l'esistenza di disponibilità finanziarie nella titolarità di M.A. presso l'HSBC private Bank di di cui si deduceva, nell'ipotesi accusatoria, che le somme oggetto di deposito all'estero fossero provento di redditi sottratti alla imposizione fiscale in Italia in modo tale da integrare il reato di cui all'art. 4 del DLGS n. 74/2000. Così ricostruita la vicenda, la violazione dell'art. 191 cpp non sussiste perché Dell'Impugnato provvedimento non viene esclusa, anzi viene espressamente fatta salva la possibilità di ritenere i documenti inutilizzabili in dibattimento qualora risulti la acquisizione in violazione cfr. pagg. 4 e 5 . Quanto alla denunciata contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione è opportuno richiamare il principio secondo cui il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti Cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110 Cass. 6.6.06 n. 23528 . Ebbene il percorso argomentativo del giudice del merito esiste ed appare tutt'altro che contraddittorio o illogico in quanto ha considerato esclusivamente la documentazione presente negli atti del fascicolo tralasciando sia gli articoli di stampa sia decisioni di altri giudicanti, osservando sotto quest'ultimo profilo che detti provvedimenti danno per scontata l'illiceità della acquisizione di documenti sulla base di atti che non risultano confluiti nel presente procedimento. E sulla base di tali considerazioni ha ritenuto non raggiunta con certezza la prova della illegalità della raccolta all'estero. Infine, va rilevato che le considerazioni finali sulla violazione della legge sulla protezione dei dati personali DLGS 196/2003 rientrerebbero nella violazione di cui all'art. 606 lett. b che però non risulta dedotta. Il ricorso va quindi respinto e le spese del giudizio vanno poste a carico del ricorrente. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.